Questo articolo è tratto dalla tesi di laurea “Storytelling e calcio” di Ludovica Guidobaldi, dottoressa in Linguaggi dei Media – Teoria e Tecniche dell’Informazione Sportiva presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Da sempre appassionata di calcio, ho vissuto il cambiamento di questo sport che negli anni ha rivoluzionato il suo modo di raccontarsi al mondo. Lo storytelling e tutto quello che gira intorno alla comunicazione sportiva rendono ancora più emozionante il tifo della squadra del cuore. La molteplicità delle sfaccettature che presenta, dall’aspetto atletico a quello psicologico, passando per quello pedagogico e educativo, fa sì che molte delle logiche applicate allo sport possano essere traslate ed applicate alla vita quotidiana, in virtù della centralità che tali aspetti rivestono all’interno della società. Ho deciso, infine, di focalizzarmi sul caso Juventus F.C. e su come il club dal 2017 – anno di cambiamenti rivoluzionari per l’intera società, a partire dal suo rebranding – ha iniziato un vero e proprio racconto di sé a 360 gradi. Dalle operazioni Higuaìn e Ronaldo alla continua cronistoria tra presente e passato delle imprese di squadra.
Cos’è lo storytelling
Lo storytelling è una forma di comunicazione dalle origini antiche: nasce infatti dall’arte della narrazione, dal racconto – prima orale e poi in forma scritta – che da millenni l’uomo utilizza per tramandare storie, conoscenze e tradizioni. In Storytelling (2008) di Christian Salmon si parla di questa tecnica come di quell’arte in grado di raccontare storie, nata quasi in contemporanea con la comparsa dell’uomo sulla Terra e che ha costituito un importante strumento di condivisione dei valori sociali. Negli Stati Uniti, così come in Europa, questa capacità narrativa è stata trasformata dai meccanismi dell’industria dei media e dal capitalismo globalizzato e dal concetto di storytelling: ad oggi una potentissima arma di persuasione. Dietro le più importanti campagne pubblicitarie (e ancor di più quelle elettorali, un esempio quella di Nicolas Sarkozy) si celano le sofisticate tecniche dello storytelling management o digital storytelling.
Con l’inizio dell’era del Web 2.0 viene segnata una svolta radicale nel mondo della narrazione. Il narratore ha la possibilità di disporre di nuove risorse per la creazione di storytelling permettendo al racconto di assumere nuove dimensioni e di economizzare l’uso delle parole. Oggi si utilizza soprattutto in ambito digital per comunicare in maniera efficace e coinvolgente i propri prodotti, un brand o un servizio in modo da ampliare la platea di potenziali clienti. È un metodo di comunicazione efficace proprio perché si basa su un’abitudine profondamente radicata nell’essere umano. Raccontare storie è il miglior modo per trasferire conoscenza ed esperienza, persuadere, coinvolgere le persone. Questa disciplina si basa sui principi della retorica e della narratologia per inquadrare gli eventi della realtà e spiegarne la logica; fondamentale la componente emotiva.
Il discorso narrativo permette di rendere comprensibile, comunicabile e facilmente memorizzabile il vissuto. Possiamo, quindi, dire che le emozioni scaturite la fanno da padrone in un racconto che vuole ampliare la partecipazione; il racconto di una storia implica sempre un confronto. Le storie persuadono: divengono mezzo di condivisione e permettono di dare una interpretazione della realtà anche in forma autobiografica. Fatta questa premessa, possiamo affermare che negli anni lo storytelling è stato sempre più sfruttato per i motivi più disparati, avendo di base una tecnica di scrittura neutra. Possiamo, quindi, distinguere gli obiettivi in:
- 1. Commerciali
- 2. Politici
- 3. Pubblicitari
- 4. Personal branding
Nel giornalismo questa tecnica inizia ad assumere particolare rilevanza in seguito alla nascita di Internet. Nell’era delle tecnologie connettive proprio il web rappresenta la fonte primaria di conoscenza della realtà, mettendo in discussione la centralità delle testate tradizionali come gatekeeper dell’informazione. Un primato reso possibile dalla pervasività, immediatezza e interattività dei nuovi mezzi digitali. In un sistema che tende alla disaggregazione le breaking news non possono più bastare. È per questo che i media internazionali di recente hanno cominciato a ricercare storie che potessero andare oltre la notizia in sé.
Raccontare emozioni
Riprendendo il discorso relativo all’emotività dello spettatore/lettore, ci rendiamo conto come questa tecnica di narrazione permetta di entrare in empatia con persone che spesso ammiriamo. Capita, quindi, che il tifoso comune veda i grandi dello sport come eroi, conoscendone anche le fragilità. Lo sport, qualunque esso sia e qualunque sia la “fede” di appartenenza, ha un grande potere: quello di unire nella diversità, aspetto che viene naturalmente amplificato dalla narrazione. Questo potere, accentuato da quando il digital ormai è quotidianità, rende la narrazione ancora più avvincente e coinvolgente. Protagonista di questa impresa, in primis, è la telecronaca. Negli anni è mutata e si è evoluta insieme prima alla radio e poi alla televisione; era il 13 dicembre del 1953 e la Rai trasmetteva in diretta per la prima volta il secondo tempo di Italia-Cecoslovacchia. Ad accompagnare l’intero decorso della partita c’erano le voci di Carlo Bacarelli e Vittorio Veltroni; ed è stato proprio da quel giorno, da quella vittoria in diretta da Genova, che lo sport, ma in particolare il calcio, ha iniziato ad avere un volto nuovo, cambiando notevolmente anche il lavoro del giornalista.
Il processo di evoluzione, però, è stato molto veloce, proprio come i tempi di modernizzazione dei mezzi televisivi e radiofonici fino ai giorni d’oggi. Per fare un veloce confronto, e chi le ha vissute entrambe può facilmente intendere, basti pensare alla telecronaca della finale di Coppa del Mondo di Spagna ’82 fatta da Nando Martellini, probabilmente ultimo telecronista della vecchia scuola, da solo in cronaca e senza voci di commento al suo fianco. L’altra sponda del confronto è la finale di Germania 2006 fatta da Fabio Caressa, che ha inventato e innovato le introduzioni emozionali alla partita, accompagnato da sempre dal commento tecnico di Beppe Bergomi, per quanto Italia – Germania del 198) sia stata decisamente una finale più entusiasmante (e ben giocata) di Italia-Francia del 2006.
Il modo di fare e di concepire la telecronaca del mondo del pallone nell’ultimo trentennio si è evoluto radicalmente: sono cambiati gli uomini, cresciuti in un ambiente storico e culturale totalmente differente da quello delle vecchie generazioni, sono cambiati soprattutto i mezzi, con l’avvento delle televisioni private prima e di Internet e i social network poi (fino agli anni Ottanta regnava il monopolio radiotelevisivo della Rai). Ed è ovviamente cambiato anche il linguaggio, divenuto molto più tecnico e artificioso rispetto a prima. Tutto il calcio minuto per minuto rappresenta la trasmissione simbolo di questo successo. Quello che nasce all’alba degli anni ’60 è un programma destinato a cambiare le vite di milioni d’italiani. Un format unico e longevo, in grado di modificare il costume e le abitudini di una nazione intera. Parliamo di cambiamento poiché nel Secondo dopoguerra la radio diviene finalmente “per tutti”, dopo anni sotto il regime fascista, capace di soddisfare il diffuso bisogno di “evadere” e il desiderio di una vita migliore dopo un lungo periodo di guerra. La radio, dal 1945 in poi, inizia a diventare strumento comune a tutte le famiglie, in particolare per la sua dimensione pratica, grazie alla diffusione del transistor. Neanche l’affermazione della televisione ne ridimensiona la popolarità: viene avviata una programmazione giornaliera e notturna. Oltre che nelle automobili, si sposta anche nelle aree più private delle abitazioni, nelle piazze e persino nelle scuole.
I protagonisti
È giusto, quando si parla di narrazione sportiva, ricordare chi dello sport ne ha fatto il suo pane quotidiano. È il caso di Gianni Mura (1945-2020), che fosse calcio, ciclismo o vita vissuta, voleva essere l’occhio del lettore; di essere un mezzo tramite la sua scrittura per far sì che più o meno importanti gesta sportive arrivassero tra le mani di diversi milioni di italiani. Beppe Viola (1939-1982) e il suo “derbycidio” durante il derby della Madonnina, 27 marzo 1977. Cronista sportivo, lavorava alla Rai, come inviato e telecronista, seguendo in particolare calcio, ippica, pugilato e automobilismo. Ha lasciato un segno con un linguaggio disincantato, anomalo, anticonformista, ricco di humour. E proprio da questa sua vena ironica nasce il Beppe Viola autore. Luigi Brera, detto Gianni (1919-1992) considerato il più grande innovatore del linguaggio calcistico. Grazie alla sua inventiva e alla sua padronanza linguistica, ha lasciato una profonda impronta sul giornalismo sportivo italiano del XX secolo con un lascito di numerosissimi neologismi da lui introdotti. Definito da Idro Montanelli come il “Meazza” dei giornalisti sportivi. Nel 2018, a vincere il prestigioso premio Montalban (importante riconoscimento assegnato dal Barcellona) è stata una donna, Emanuela Audisio (1953). Prima giornalista italiana a seguire i Giochi olimpici, le Coppe del Mondo di calcio, i Mondiali di box, atletica, basket e ciclismo, non solo focalizzandosi sull’aspetto sportivo ma anche su quello culturale ed economico di ciascun evento.
Federico Buffa, classe 1959, punto di riferimento nel mondo della narrazione sportiva, è considerato da molti il miglior narratore della televisione italiana. Voce storica dell’NBA e opinionista, è autore di Federico Buffa racconta su Sky Sport. Definire Federico Buffa non è impresa semplice: avvocato, procuratore, conduttore, giornalista, commentatore e narratore a metà tra basket e calcio. Con una certezza:
Non mi sono mai sentito un giornalista. Non credo di avere le caratteristiche di un giornalista, non credo di essere bravo a scrivere. Oltretutto quello del giornalista è un lavoro molto duro, più di quanto sembri, appare molto bello ma è faticoso. Spesso ti capita di dover scrivere in poco tempo un pezzo o un articolo che non vuoi scrivere. Io questo problema non l’ho mai avuto, nessuno mi ha mai detto: ‘Entro mezzanotte voglio questo pezzo’. Ma non essere un giornalista per me significa anche non essere uno di quei tipi d’assalto disposti a tutto pur di avere una notizia, quindi ci sono sia lati positivi che negativi nel non essere un giornalista. Io mi sento come uno che cerca un nuovo sistema per fare quello che dovrebbe fare.
Le storie sanno generare valore ed è per questo che sono uno strumento così importante e, se ben usato, efficace per il marketing. Con una storia si può accedere all’immaginario di un pubblico, si può conquistare un posto privilegiato nella sua mente. “Non ho mai capito la differenza tra cantastorie e storyteller: secondo me sono la stessa cosa” raccontava Federico Buffa, sul palco di Performance Strategies. Proprio lui è autore e divulgatore di alcune delle storie più potenti e memorabili della contemporaneità, storie che hanno ridefinito lo stile della narrazione sportiva e televisiva in Italia. Ogni storia è costituita da fatti che solo a volte sono eccezionali e diventa grande solo quando sa parlare con chi la ascolta, quando entra in risonanza con precisi valori, quando è in grado di risvegliare emozioni, di toccare le corde del coinvolgimento. E a pensarci bene, a colpirci nella storia di Cristiano Ronaldo raccontata da Buffa non è l’incredibile rovesciata che costa alla Juventus l’eliminazione dalla Champions League, né la sua serie di record e palloni d’oro. È il complicato svolgersi del suo passato, la storia delle sue origini e la forza del suo legame materno a tenerci incollati all’ascolto.
E allo stesso modo, ecco che non sono le storiche vittorie sul ring di Muhammad Ali a stregarci, ma il susseguirsi di tutte quelle piccole vicende, dei cambiamenti, degli ostacoli superati che hanno trasformato un uomo in un messaggio per il mondo intero. Altra chiave dello storytelling efficace di Buffa è la memoria che, esattamente come un muscolo, va allenata e accompagnata con la costruzione di un reference, una sorta di archivio, un database di dettagli, porzioni di vita, avvenimenti, impressioni, che vanno prima raccolti, poi accuratamente selezionati. Perché, spiega Buffa che a sua volta ha acquisito il metodo da Chuck Palahniuk – autore del celebre Fight Club e tanti altri romanzi – “la storia tu non la scrivi quando la stai scrivendo, la scrivi mettendo insieme cose che hai trovato in precedenza”. Fondamentale per lui è anche la tecnica della digressione funzionale, ovvero tornare indietro per recuperare un dettaglio cruciale che non possiamo lasciare fuori, ma con un’accortezza: restare sempre a un grado di separazione dalla storia principale, per non rischiare di far smarrire l’ascoltatore. L’Avvocato, così come viene soprannominato, si sente di certo più vicino al racconto: “Non so se definirmi un narratore, ma raccontare è l’espressione che mi viene meglio perché mi piace”, racconta in un’intervista a Il Giornale.it.
Storytelling digitale
Tra i cambiamenti e le evoluzioni citate, non possiamo non approfondire quella relativa a Internet. Con l’avvento e la successiva espansione di quest’ultimo anche il modo di raccontare è cambiato. I club calcistici, ormai da qualche anno a questa parte, si approcciano ai social per un confronto continuo con il tifoso. La piattaforma di base è rappresentata da Facebook, però quella con cui si riesce ad avere un maggiore riscontro, ad oggi, è Instagram. Non è quindi soltanto la diffusione di immagini di giocatori e di performance sportive, ma uno storytelling continuativo nei giorni. Il racconto dietro le quinte, le iniziative a cui i giocatori prendono parte sul territorio: va sottolineato, infatti, che negli anni i club – specialmente quelli di Serie A – si sono trasformati in delle aziende a tutti gli effetti ed è quindi importante la cura dell’immagine di queste, identità e storia comprese. Raccontarsi è importante per gli sponsor, che sempre più spesso si informano attraverso i canali social, ma anche per le persone che vivono nel territorio e per quella molteplicità di soggetti, pubblici e privati, che possono trovare nel club sportivo un interlocutore con cui sviluppare progetti.
La scelta di farlo sui social, infine, permette di raggiungere un pubblico più settorializzato e meno generalista come, al contrario, non riuscirebbero televisione e giornale cartaceo. Grazie all’utilizzo costante dei social, lo storytelling ha sempre avuto un ruolo decisivo nel marketing di successo: oggi, che i brand diventano i nuovi media, nell’era del Brand Entertainment e del Brand Journalism, il suo valore è ancora più importante perché permette all’azienda di costruirsi una brand identity ancor più forte e creare una connessione diretta, disintermediata – più coinvolgente – con i consumatori. Raccontarsi e coinvolgere sono pilastri che ben si adattano allo sport, soprattutto al calcio, la cui storia è fortemente legata alle vicende umane. Da qui la decisione dei grandi club di raccontarsi al grande pubblico in modo diverso, strutturato, per catturarne l’attenzione. Per vincerne il tempo. È un errore definire questo come un trend o un hype da cavalcare, si tratta di strategia non solo comunicativa: contenuti come vere e proprie redazioni, sperimentandone la diffusione su nuove piattaforme, adattando i formati e creandone continuamente di nuovi prodotti mediali. Il risultato di tutta la narrazione porta ad una parentesi più ampia e che riguarda il marketing digitale: c’è il fattore della fan engagement e quello della membership loyalty e, cioè, di una loyalty finalizzata al passaggio dalla condizione di cliente a quella di fan e member, quindi di un profilo che sceglie di usufruire di uno scenario premium.
Nel confronto/rapporto tra brand sportivo e fan è importante che quest’ultimo costruisca la sua identità – come tifoso – in coincidenza con quella del club, in modo da condividerne i valori nel tempo. La fan identity è costruita intorno a questi aspetti fondamentali: 1) l’identificazione con la squadra, per la quale il fan vive i successi e i fallimenti come suoi; 2) un maggiore senso di cameratismo e di connessione con chi condivide la sua stessa passione. Lo sport diventa così strumento di rivalsa e rivincita sociale. Dalle imprese sportive nascono grandi storie che tramandano grandi valori, che hanno il potere di avvicinare le persone. Questo è il caso dello spot di Sky Sport, in onda durante il periodo di lockdown. #Orgogliosulcampo è l’immagine di un’intera nazione che, in un momento di sofferenza e dolore, resta unita e riesce a riemergere facendosi forza, in prima linea, sul campo; in tutti i campi da gioco in cui, con grinta, ci si è battuti per la nazione. Un orgoglio comune: l’Italia, un popolo che non si arrende e, ispirato dalle sue più care eccellenze sportive, supera la pandemia.
È il caso anche degli Europei del 2020, dove si è giocato molto sulla componente emotiva del periodo e le suggestive telecronache (dominate ancora da Fabio Caressa e Beppe Bergomi) l’hanno fatto da padrone per l’intero mese di competizioni. Il malore di Eriksen il secondo giorno, il ritorno del pubblico negli stadi dopo due anni di pandemia, la gente che si è riunita in piazza per guardare la partita come nell’estate del 2006, l’incidente di Spinazzola e le sue lacrime, gli abbracci tra Vialli e Mancini. Tutto questo climax emotivo, che da spettatori ci ha fatto avvicinare, tra di noi ma soprattutto alla squadra, sono stati resi possibili dall’utilizzo delle giuste parole, così come delle immagini. A proposito di immagini, è stata realizzata una docu-serie dedicata dal titolo Sogno Azzurro, ripercorrendo tutte le vicende che hanno portato la squadra a vincere. Con la narrazione di Stefano Accorsi e i dietro le quinte inediti si è creato un filo sottilissimo tra il tifoso e il calciatore, sempre meno vissuto come un eroe irraggiungibile.
L’avvento della pay tv
Nel 1993 Tele+ si affermò come prima piattaforma televisiva commerciale a offrire partite in diretta a pagamento. Metteva in scena i drammi della gente comune, alternando lo studio televisivo al collegamento telefonico con gli spettatori e agli strumenti di inchiesta. Fu il primo passo della nuova era inaugurata dalle pay tv che sarebbe proseguita con Stream TV fino ad arrivare ai giorni nostri con Sky e Mediaset Premium. Nasce un vero e proprio business in cui niente sarà più come prima. Le gare non sono più eventi da raccontare, è offerta la possibilità di “tele-vedere”, di “vedere da lontano” ciò che non era possibile osservare dal vivo. L’intervento è diretto: i diritti tv diventano i nuovi padroni del calcio. Il calcio, insieme al cinema, fa da apripista alla nuova tv narrowcasting, a pagamento e tematica grazie a un’offerta multicanale rivolta ad audience segmentate in base alle loro esigenze. L’alta definizione e addirittura il 3D consentono ai telespettatori di immergersi in esperienze uniche, di respirare l’atmosfera del campo quasi come fossero seduti in tribuna. Lo spazio di gioco e i suoi contorni non vengono ricostruiti con inquadrature totali, ma sempre più tramite dettagli e particolari di atleti, tecnici e spettatori; il racconto resta un elemento centrale.
Negli anni, per favorire maggiormente questo rapporto sport-narrazione, sono stati creati canali ad hoc che tracciano le fila di una narrazione minuto per minuto. È il caso di Sky con L’arte del Calcio, I Signori del Calcio, Buffa Racconta e Sky Calcio Club. A partire dal 2018, in Italia, tra le pay tv dedicate allo sport, è subentrata Dazn, trasmettendo le partite in esclusiva con i post gara, ma non solo. Infatti, il rilascio di contenuti esclusivi che vanno oltre il fuorigioco, rendono lo spettatore (non più generalista) più vicino al gioco. Ed è con la nascita di un nuovo prodotto mediale rilasciato dai colossi dello streaming (Netflix, Amazon Prime, Rai Play, ecc.), che lo storytelling si avvicina anche al mondo della televisione. Non si limita a raccontarci la partita di calcio della squadra del cuore, ma tutto quello che solitamente non si è mai visto prima. Ed è il caso di All or Nothing (su Prime) e First Team (su Netflix) che raccontano la Juve, di Mi chiamo Francesco Totti che narra i 25 anni del campione con la maglia della Roma; Simpatico – Massimo Moratti, l’ultimo dei romantici (su Dazn) dedicato ai 18 anni di presidenza di Moratti all’Inter e così via.
La storia del racconto dello sport, come racconta il Professor Giorgio Simonelli a Magazine.it, è divisa in due fasi: quella precedente e quella successiva all’arrivo della televisione. Prima lo sport era narrato a persone che non avevano visto l’avvenimento, dopo invece si parla a un pubblico che già sa quanto accaduto. In questo caso ci si concentra su fatti ed elementi sfuggiti alla visione televisiva. L’evoluzione dello sport in TV è così passata dalla rappresentazione di una prospettiva privilegiata, possibile dal vivo e visibile a tutti ad una più particolare, fatta di tutte quelle componenti anti naturalistiche che un occhio umano non potrebbe mai vedere, come dettagli, replay e moviole. In conclusione, possiamo affermare di trovarci difronte ad un cambiamento radicale del racconto sportivo. Prima esisteva solo la competizione in quanto tale; ad oggi la gara è solo il centro di un intrinseco insieme di eventi: pre e post partita, match day experience e altro.
Il caso Juventus
Seguita da milioni di tifosi di tutto il mondo, la Juventus è uno dei club, a livello mondiale, a vantare una capacità comunicativa e narrativa da non sottovalutare. Al di là della fede calcistica, ci troviamo davanti ad una società che a partire dal 2017 ha rivoluzionato completamente il suo modo di esporsi e ha reso questo un’ulteriore fonte di guadagno. La Juventus, poi divenuta Juventus Football Club, nasce a Torino il 1° dicembre 1897. Sono un gruppo di ragazzi del liceo classico “Massimo D’Azeglio” ad avere l’idea di fondare una società calcistica, diventando quindi la squadra più anziana d’Italia dopo il Genoa, e quella con la proprietà più longeva. Prima dell’ingresso in campo degli Agnelli non si sa molto ed è difficile ricostruire gli eventi della società: qualche notizia è stata assimilata grazie al testo Storia del Foot-Ball Club Juventus di Torino scritto nel 1915 dal socio fondatore Enrico Canfari. La prima sede fu quella dell’officina dei fratelli Canfari in Corso Re Umberto 42, dove si tenne la prima riunione costitutiva. All’epoca era ancora una associazione dove ogni socio doveva pagare una quota ed era composta da ragazzi compresi tra i 14 e 17 anni. Dal 1923 il nome della Juventus e quello della famiglia Agnelli sono indissolubilmente legati in un rapporto oggi più che mai stretto.
Quando la Juventus nel 2017 ha cambiato logo, decise di presentare il progetto al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano chiamando l’evento Black and White and More. Anche il titolo dell’evento, che poi è il claim che ha accompagnato il lancio del nuovo logo e di altri touchpoint della Juventus, definisce bene l’obiettivo rincorso dal club con il cambio di identità visuale: la squadra di calcio del futuro può essere anche molto altro. Un brand, un’idea, una visione capace di ispirare la propria community. Infatti, non si parla più di semplice tifoseria – come gli ultras – ma di una community che è stata creata anche grazie all’internazionalizzazione, discussa durante il periodo di progettazione del nuovo prodotto nel 2017, per estendersi al mercato mondiale. La mission presentata dalla Juventus è chiara, come si può leggere dall’estratto qui riproposto dal sito web del club:
Lo si fa per adattarsi a una nuova realtà, per veicolare un nuovo messaggio. Un messaggio che parla non tanto di cambiamento quanto di comprensione del mondo circostante, a cui necessariamente consegue la necessità di evolversi, di ampliare il brand in diversi mercati e in diversi Paesi. Tutti elementi che derivano dal piano strategico elaborato da Juventus.
La Juventus, così come l’Inter, ha cambiato logo per riposizionarsi in questo cambiamento d’epoca, ma anche per tutelare e proiettare nel futuro più di un secolo di storia e tradizione identitaria. Cambiare logo, per il club, significa presentarsi con una veste moderna; vuol dire trasformarsi in un brand di abbigliamento – subito dopo il lancio del nuovo logo è stata ufficializzata anche la linea “Icon” – nonché contaminarsi e contaminare altri sport, come il basket NBA, fino a diventare un modello pop amplificabile grazie a campagne di star recruiting di personaggi come Rihanna, Donovan Mitchell, Peggy Gou, Martin Garrix e altri. Qualcosa che va oltre i 90 minuti, oltre alla mera fede calcistica, ma che stende l’invito identitario a livello globale o verso una particolare community. Live Ahead è il claim con cui la Juventus, come club e brand, vive il mondo quotidiano. Un mood che fa intuire come la squadra di Andrea Agnelli vuole posizionarsi: un modello di ispirazione per la community e per chi condivide alcuni valori come il coraggio, la voglia di essere innovativi e orgogliosi.
Live Ahead è la nostra mentalità e il nostro DNA, dentro e fuori dal campo. Racchiude lo spirito del nostro scopo e l’autenticità dei nostri valori. Riecheggia in tutto ciò che facciamo, guidando le nostre azioni e proiettandoci avanti. E, soprattutto, sprona la nostra gente ad abbracciare questa mentalità.
L’arrivo di CR7
Nel 2018 la Juve acquista per 115 milioni Cristiano Ronaldo, operazione per la quale il club si preparava da sette anni. Per prepararsi all’arrivo del talento portoghese è stato creato intorno a lui uno storytelling non indifferente, per alzare ancora un po’ l’asticella delle emozioni. Il passaggio di Ronaldo alla Juventus sembrava quasi un segno del destino, scandito dal numero 7 (emblema della sua carriera) e i legami con la storia del club, quasi a voler chiudere un cerchio che ha avuto inizio nel 1897. Con l’ingaggio dell’ex del Real la Juve ha puntato molto sulla capacità mediatica che questo era in grado di procurare: permettendo all’intera società di ottenere un’audience ancora più vasta; spingendosi oltre i confini nazionali. In questo acquisto, oltre alle competenze tecniche, si racchiude tutto quello che di cui il club – successivamente al suo rebranding – aveva bisogno in quel momento: raccontare l’inizio di una nuova storia, di un sogno, ma anche l’attesa. Proprio così, infatti la Juventus ha presentato Ronaldo sui social media, come sempre coinvolgendo i fan, portandoli a vivere in prima persona ogni momento del sospirato arrivo: dall’atterraggio in aeroporto, al backstage, dall’incontro con i compagni di squadra, alle visite mediche, fino all’ufficialità della prima conferenza stampa.
Su Facebook, un post al giorno – pubblicato rigorosamente alle 7 di sera – nei giorni che hanno preceduto l’arrivo di Ronaldo a Torino, ha accompagnato il countdown: nei video pubblicati si chiedeva ai supporter bianconeri di raccontare la loro attesa, attraverso foto e commenti. Sono bastate 24 ore perché la Juventus beneficiasse dell’effetto Ronaldo: l’account Twitter è cresciuto di 1,1 milioni di follower, mentre su Facebook, la fanbase è cresciuta di 500.000 unità – un aumento incredibile, considerando che la crescita media giornaliera sulla pagina Facebook della Juventus è di 50.000 fan – per un totale di 1,5 milioni di follower sulle sue reti di social media in poco più di un giorno. Lo stesso grado di partecipazione ha incontrato Welcome Cristiano, l’iniziativa lanciata dal club per invitare i fan a condividere sui social una card di benvenuto a Ronaldo. In questo modo il suo arrivo non è stato un fatto privato, ma qualcosa di coinvolgente che il club ha voluto condividere con tutti i fan e che è culminato con il #CR7DAY: un evento multimediale che ha coinvolto tutti i canali social del club torinese in un video-racconto real time. Profili social che, in quei giorni, hanno continuato a registrare numeri da record: il video in cui Ronaldo annuncia “Eu Estou Aqui” sul canale YouTube della Juventus ha di gran lunga superato il milione di visualizzazioni, e così gli altri video a lui dedicati.
Matchday Experience
Stiamo vivendo in un’epoca in cui noi spettatori non ci limitiamo solo a voler vedere i 90 minuti di partita, ma la curiosità ci spinge oltre. Ed è per questo che da qualche anno a questa parte si parla di Matchday. Ma in cosa consiste? “Oggi comincia la nuova Juve, oggi comincia il calcio nuovo [..] oggi ci porterà indietro nel tempo ai trionfi juventini del passato, grazie a questa meraviglia la Juve e il calcio italiano fanno un passo in avanti nella storia” queste le parole di Fabio Caressa alla cerimonia di apertura del nuovo stadio, l’8 settembre 2011, giorno in cui la Juventus ha inaugurato il suo Allianz Stadium, sulle basi dell’ex Delle Alpi. Riscatto ambientale, economico e sportivo, la Continassa rappresenta un punto di riferimento per il tifoso. La partita amichevole tra Juventus e Notts County fu una chiara scelta dettata da strategie narrative: ad avere la meglio non doveva essere lo spettacolo calcistico ma il racconto della tradizione. Fu così che l’avversario contro cui giocare il primo match fu la squadra a cui la Juventus si ispirò per la scelta relativa ai colori sociali.
Andare allo stadio non è più rappresentato solo dai 90 minuti di battaglia sul terreno di gioco, quanto, piuttosto, un modo di passare una giornata all’insegna della passione per lo sport da vivere come protagonista. Questo vivere il match più da vicino possibile è stato reso possibile grazie alla nascita dei Matchday Experience: occasioni in cui la squadra gioca nella città di origine e prima e dopo la gara vengono organizzate iniziative – a volte dagli sponsor, a volte dalla società – per mantenere alto lo spirito della giornata. La concezione dello stadio secondo il modello inglese non è semplicemente legata alla sua architettura, che la vede come prima struttura calcistica italiana priva di barriere architettoniche, ma sposa nel concept la vicinanza tra tifoso-consumatore e squadra-brand. Lo stadio, rientrando a pieno titolo tra gli elementi che contribuiscono alla creazione della brand identity, è il luogo di condivisione di un’esperienza passata o di costruzione di esperienze future, un luogo in cui conoscere o costruire il mito di una squadra. L’attivazione di un villaggio fuori dall’impianto sportivo (Area42, JMedical, JMuseum) consente ai club di attirare un target sempre più ampio e di estendere l’esperienza di chi è già presente abitualmente, contribuendo a generare interesse verso la partita e quindi migliorando le componenti di ricavo provenienti dagli introiti dallo stadio, dalle sponsorizzazioni e dalle attività commerciali, essendo anche un luogo appetibile dai partner – definiti o potenziali – per ampliare la loro brand image accompagnandola a quella del club.
L’obiettivo, però, non è solo quello di raggiungere chi fisicamente è presente, ma anche, attraverso contenuti inediti, chi non ha la possibilità di esserci grazie alle dirette, i contenuti social e le app dedicate. Entrambe le soluzioni, infatti, permettono il duplice obiettivo di migliorare l’esperienza del tifoso fornendo importanti benefici strategici ai club e ai loro partner. L’Allianz Stadium è costruito seguendo lo stile degli stadi moderni e riducendo il numero di posti disponibili al suo interno. Questa scelta è dettata dall’esigenza di garantire una maggiore percentuale di riempimento in funzione delle esigenze dei broadcaster televisivi, mentre l’assenza di barriere che separano gli spalti dal campo migliora l’esperienza di fruizione generando un’atmosfera ancor più coinvolgente e stimolando il senso di appartenenza. Il coinvolgimento e l’appartenenza sono stati inoltre espressi attraverso la forte valenza narrativa di un’iniziativa che prende il nome di Cammino delle Stelle, un viale adiacente l’esterno dello stadio in cui delle stelle sulla pavimentazione celebrano i giocatori più rappresentativi della storia della Juventus. Accanto a questa walk of fame bianconera anche trentanove stelle d’argento con incisi i nomi delle vittime della strage dell’Heysel di Bruxelles del 1985 e le stelle di coloro che hanno deciso di partecipare all’iniziativa Accendi una Stella. Se il Cammino delle Stelle permette al tifoso di percorrere un tratto di storia della squadra attraverso i nomi che hanno fatto la storia del club, con l’iniziativa Accendi una Stella il tifoso ha avuto la possibilità di acquistare una stella e porla su questo percorso, contribuendo metaforicamente a scriverne un pezzo di storia. Ciò fa sentire il tifoso parte integrante della squadra. L’ottimizzazione della Matchday Experience, coadiuvata da una nuova generazione di stadi che aiuti ad aumentare la competitività, dovrebbe essere una priorità soprattutto in Italia, per tentare di ridurre il più possibile e nel breve periodo questo gap.
Un caso di successo è quello della A.S. Roma, che con La Magica Land ha intrattenuto i tifosi giallorossi grazie ad attività che spaziano dall’entertainment per i più piccoli al coinvolgimento dei più grandi, affidandosi ad IQUII per la gestione dell’eTicketing. Un’area che “supera il vecchio concetto di fan village”, come dichiarato da Andrea Fabbricini, Fan & Stadium Activation Manager del club giallorosso, offrendo soluzioni come la Virtual Reality, che permette ai tifosi un viaggio nel centro sportivo della società, e lavorando in sinergia con il Media Center per implementare diversi format di spettacolo così da attirare fasce di pubblico differenti, portando i bambini sul palco o coinvolgendo le vecchie glorie del club per conquistare l’attenzione di un segmento della fanbase più maturo. Un altro esempio degno di nota è quello dell’Expérience Stade App dell’OGC Nice, touchpoint che introduce contenuti e funzionalità esclusive e di semplificazione dell’esperienza, offrendo ai tifosi la possibilità di vivere le partite all’Allianz Riviera in un modo del tutto nuovo, rivedendo le azioni salienti da diverse angolazioni tramite smartphone e ordinando food & beverage e merchandising direttamente in app, vedendo recapitato l’ordine presso il posto a sedere senza perdere tempo in noiose code agli store. Alcune società si stanno muovendo in questa direzione trasformandosi gradualmente in vere e proprie aziende di intrattenimento, tanto da adattare la propria mission aziendale integrando lo scopo della vittoria finale con il fine di intrattenere i tifosi. Ad esempio, il Napoli si pone l’obiettivo di “trasformarsi in poco tempo in una vera e propria impresa di entertainment, offrendo, in futuro, ai propri tifosi e partner, qualcosa di più di una semplice partita di calcio, accompagnando l’evento sportivo con ampi e qualificati momenti di spettacolo e di intrattenimento.”
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La nuova identità della Juventus e il bisogno di creare un legame con il tifoso fondato sull’intrattenimento sono i presupposti che hanno permesso la nascita di un ricco ecosistema digitale fatto di svariati media e dell’implementazione di diverse strategie. A essere al centro di questo racconto fatto di hashtag e user generated content sono i giocatori e i tifosi che, coinvolti sul piano personale, danno vita a un rapporto one-to-one con il brand. Per poter raccontare il proprio claim al mondo, il club piemontese, ha intensificato una strategia comunicativa al passo con i cambiamenti del web 2.0. L’utilizzo degli hashtag creati ad hoc, utilizzando spesso giochi di parole, ha dato una svolta al suo storytelling. Lanciato nel 2014, il #finoallafine agli occhi dei fan (e non solo) rende facile l’identificazione, e i risultati parlano chiaro. Ecco alcuni esempi: #nonc’è2senza3 #Stron9er #4JU #Cris7iano #Hi5tory #Chi3llo #Le6end #My7h #W8nderful.
Le vittorie delle squadre (Prima Squadra Maschile, Juventus Women e Primavera) vengono celebrate sui profili social della società così come spesso le partite da giocare vengono precedute da un racconto dei trascorsi. La narrazione digitale che avviene sul sito Juventus.com, sull’app dedicata e su Juventus TV permette al tifoso di sentirsi pienamente parte di un grande progetto e di una grande realtà che gli offre la possibilità di vivere a tutto tondo le emozioni scaturite.
Se lo storytelling, come abbiamo visto, è sempre esistito e si è evoluto con i cambiamenti digitali, prima con la tv e poi online, tanto da essere utilizzato per mantenere viva l’emozione dei tifosi nei confronti di una squadra, è vero anche che non tutte le società sono al passo con le evoluzioni mediatiche, neanche tra le big. Sotto questo aspetto la Juventus F.C., per la continua narrazione che ha di sé e delle proprie iniziative, può considerarsi un club “completo” dal punto di vista comunicativo.
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