Agli appassionati di calcio lo stadio Azteca di Città del Messico richiama subito alla memoria la “Partita del secolo”, l’incredibile Italia-Germania 4-3, semifinale dei Mondiali del 1970, che portò gli azzurri guidati dal ct Ferruccio Valcareggi ad affrontare il Brasile di Pelé. Pochi sanno che, circa un anno più tardi, quello stesso prato ha ospitato un evento che ha permesso di scrivere altre pagine di storia del calcio, meno conosciute eppure altrettanto importanti, soprattutto agli occhi delle nuove generazioni e dell’evoluzione globale che ha avuto questo sport negli ultimi decenni.
All’Azteca, infatti, vennero giocate alcune partite del primo campionato Mondiale di calcio femminile della storia: un torneo non ufficiale e per molti versi “dimenticato”, perché rimasto a lungo sepolto sotto la polvere del tempo e non riconosciuto dalla FIFA. Tale competizione viene raccontata nel dettaglio dal documentario Copa 71 di James Erskine e Rachel Ramsey, uscito lo scorso anno nel Regno Unito e che ha permesso ai posteri di conoscere un angolo rimasto ancora oscuro nella storia del calcio.
Copa 71: la recensione
Che sia una storia sorprendente lo dimostrano gli occhi di Brandi Chastain, calciatrice statunitense simbolo della nazionale femminile a stelle e strisce negli anni Novanta e primi Duemila, vincitrice di due titoli mondiali e di altrettante medaglie d’oro alle Olimpiadi, mentre guarda su uno smartphone un video con le immagini di quelle partite. “È incredibile”, commenta con stupore quando scopre che si tratta di un torneo internazionale di calcio femminile di oltre mezzo secolo fa, ammettendo poi di non averne mai sentito parlare prima.
Copa 71 racconta la nascita e lo svolgimento di quel primo “Mondiale”, organizzato in Messico in seguito all’esperienza positiva dell’anno prima a livello maschile. Le selezioni invitate furono sei, suddivise in due gironi: Messico, Inghilterra, Argentina, Italia, Francia e Danimarca. Fin dall’inizio, la FIFA osteggiò questa iniziativa, tant’è che a oggi la prima edizione riconosciuta dei Mondiali di calcio femminile è quella svolta in Cina nel 1991, cioè vent’anni dopo questa incredibile vicenda.
Nonostante polemiche e difficoltà, per gli organizzatori fu un enorme successo di pubblico, marketing e copertura mediatica. Durante le partite, decine di migliaia di persone riempirono gli spalti dell’Azteca – la cui capienza raggiungeva i 100.000 posti – per fare il tifo. Alla luce del forte interesse generato, numerose aziende fecero a gara per sponsorizzare la manifestazione attraverso i propri loghi, pubblicità e merchandising. E gli incontri ebbero una notevole eco sui mezzi di comunicazione, tramite articoli di giornale e servizi televisivi.
Il lascito del Mondiale dimenticato
A distanza di oltre cinquant’anni, il ricordo di quell’avventura oggi è ancora presente e vivido nella mente di chi l’ha vissuta e nel corso del documentario intervengono diverse protagoniste che raccontano la propria esperienza. Tra le voci che si susseguono c’è quella di Elena Schiavo, friulana: oggi ha 76 anni e all’epoca era la stella della Nazionale italiana, di cui era anche capitana. Le loro storie aiutano gli spettatori a comprendere meglio ciò che quel torneo rappresentò per ciascuna: la soddisfazione di partecipare a una competizione internazionale dall’altra parte del mondo, l’orgoglio di rappresentare il proprio Paese, l’affetto dimostrato in quei giorni dalle persone che seguivano le partite e chiedevano foto e autografi alle giocatrici.
Il racconto costruito da Erskine e Ramsey risulta gradevole da seguire, grazie a un ritmo incalzante che tiene sempre vivo l’interesse e a numerosi contributi d’epoca, come per esempio articoli, fotografie e sequenze video delle partite. Nel corso della narrazione, la cronaca lascia spesso il posto alle emozioni provate dalle giocatrici: un modo sia per dare ulteriore profondità al documentario, sia per coinvolgere lo spettatore e stimolare una riflessione.
La tripletta di Susanne Augustesen che ha deciso la finale. Danimarca-Messico 3-0
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