“Ci sono Yaya Touré, Didier Drogba, Samuel Eto’o. E c’è Trésor Mputu“. Un sorrisetto furbo gli invade il volto. Lo sguardo è quello di chi sa di averla detta grossa ma che neanche tanto sotto ci crede veramente. Basterebbero questi pochi istanti per inquadrare Trésor Mputu Mabi: bandiera del TP Mazembe, croce e delizia della Repubblica Democratica del Congo per quasi vent’anni, personaggio nazional-popolare e soprattutto unicum, o quasi, nel panorama del calcio africano contemporaneo. La sua è la storia di un talento riconosciuto in Europa fin da tenera età ma che, per un motivo o per l’altro, ogniqualvolta se ne è presentata l’occasione, alla fine ha sempre declinato l’invito del cosiddetto “calcio che conta”.
Mputu e il TP Mazembe, l’inizio dell’amore
Nel 1955 in Belgio uscì un articolo che evocava un fantomatico piano di sviluppo che potesse traghettare gradualmente l’allora colonia del Congo verso l’indipendenza, o quantomeno verso un’autonomia. Trent’anni più tardi, quando quel piano avrebbe dovuto giungere a compimento, Trésor Mputu nasce in un Paese molto diverso da quello immaginato dai coloni belgi. Si chiama Zaire, è indipendente già da 25 anni e dopo una crisi internazionale, un paio di tentativi di secessione e un colpo di stato, si trova alle prese con le conseguenze della crisi del debito che negli anni ‘80 investe gran parte dell’Africa e dell’America Latina. Qualche anno più tardi, sulle macerie della guerra che mette fine alla trentennale dittatura di Mobutu, a Ndjili, quartiere a sud di Kinshasa, comincia a circolare il nome di un ragazzino che con la palla tra i piedi si dice faccia miracoli. Si chiama Trésor, “Tesoro”, ma c’è chi sente comunque il bisogno di aggiungere un nick a quel nome già così evocativo: Le Diable. Gioca – ironia della sorte – nel JAC Trésor, squadra locale dove, neanche diciassettenne viene prelevato dal Kin City FC che lo fa esordire in seconda divisione.
La svolta arriva nel 2003, quando Il TP Mazembe gioca un’amichevole a Kinshasa e Mputu attira l’attenzione di Joseph Mukeba, tecnico e dirigente di lungo corso con un passato nel Ministero dello Sport e nella Federcalcio congolese. Mputu lascia così la sua casa per volare dall’altra parte del Paese: destinazione Lubumbashi. Al suo arrivo nella capitale del Katanga, il giovane Mputu trova una città relativamente tranquilla, figlia dell’industria mineraria che da più di un secolo non smette di tormentare un sottosuolo traboccante di rame e cobalto ma che è stata solo sfiorata dalla guerra che nei cinque anni precedenti ha di fatto tagliato a metà il Paese. La Seconda Guerra del Congo — quella che qualcuno azzarda a definire la Guerra Mondiale d’Africa — è un conflitto che tra il 1998 e il 2003 ha coinvolto ben nove Paesi africani, tutti più o meno invischiati nella lotta di potere scatenatasi tra il governo congolese e le milizie di origine ruandese, un tempo alleate contro Mobutu e ora ostili al presidente che loro stesse avevano instaurato a Kinshasa. Quel presidente si chiamava Laurent Kabila e ora a guidare il Paese c’è suo figlio Joseph.
Nel 2003 il presidente invita un certo Moise Katumbi Chapwe a fare ritorno dal suo esilio in Zambia per risollevare le sorti dell’industria mineraria nella provincia più ricca del Paese. Figlio di un commerciante greco sefardita sfuggito alle leggi razziali che colpirono la sua Rodi, nelle vene di Chapwe, come lo chiamano i suoi sostenitori, scorre anche il sangue reale di una principessa lunda dalla cui famiglia Moise mutua il cognome. Con il pesce, i trasporti e la logistica, Katumbi accumula la fortuna che, secondo un canovaccio a noi italiani ben noto, nel 1997 gli consente di acquistare la squadra per cui fa il tifo fin da bambino: il TP Mazembe. Quando Moise Katumbi diventa presidente, il TP Mazembe è lontano dall’essere, come recita il suo prefisso, Tout Puissant (onnipotente) ma è piuttosto una nobile decaduta che divide i cuori dei tifosi con l’altra squadra storica del Katanga: l’FC Lupopo. Dopo qualche piazzamento, all’inizio del nuovo millennio la bacheca dei Corvi accoglie nuovamente un trofeo nazionale che rinverdisce i fasti degli anni ‘60, quando in onore della ditta belga di pneumatici che lo sponsorizzava il club si chiamava TP Englebert e faceva incetta di finali e Coppe dei Campioni.
Il presidente Katumbi raccoglie gli applausi del pubblico dello Stade TP Mazembe
L’approdo in Nazionale e l’incontro con Le Roy
L’ambientamento di Mputu procede spedito con la vittoria del campionato provinciale e la chiamata di Claude Le Roy che lo promuove subito in Nazionale maggiore. Il 9 maggio 2004 va in scena l’incontro di qualificazione mondiale contro il Sudafrica. Allo Stadio dei Martiri di Kinshasa sono in 85.000 a spingere i Leopardi (allora si facevano chiamare Simba) che, a dieci minuti dalla fine, sono ancora bloccati sullo 0-0. All’82’ Le Roy toglie il veterano Marcel Mbayo e manda in campo il suo prediletto. La maglia è quella gialla e blu recante i colori della vecchia bandiera, ma l’inseparabile numero 8 sulla schiena e i caratteristici mezzi corn-rows, con le treccine svolazzanti dietro la testa, sono gli stessi che ne hanno contraddistinto l’intera carriera. Nessuno però si ricorda di quei primi minuti di Trésor Mputu con la maglia della Nazionale perché la scena se la prende un altro enfant prodige dell’epoca: Mbala Biscotte. Biscotte ha solo qualche mese più di Mputu ma conta già diverse presenze in Nazionale, con la quale gioca già da un paio d’anni e, ancora più di Mputu, è indicato come giocatore di sicuro avvenire. Quando mancano cinque minuti alla fine dell’incontro Biscotte fa ciò per cui in patria sarà eternamente ricordato: un assist irreale, che scaturisce da un dribbling antimaterico che, non si sa bene per quale legge fisica, riesce a far materializzare il pallone oltre il difensore che gli è davanti, sulla linea di porta, dove l’accorrente Kabamba deve solo spingere in rete. La R.D. Congo vince, Biscotte diventa Le pied de Jesus e Mputu scrive l’incipit di quella che sarà la sua tormentata storia con la selezione nazionale.
Passerà più di un anno prima che Le Roy lo chiami una seconda volta. Nel frattempo Mputu perde la sfida con Biscotte che, accasatosi al Motema Pembe dopo una fugace parentesi proprio con il TP Mazembe, beffa la sua ex squadra in entrambi gli scontri diretti di campionato. L’esito finale non cambia l’anno seguente con il Motema Pembe ancora vincitore ma con Trésor Mputu che segna gol pesanti contro i futuri campioni e i rivali storici dell’AS Vita. I tempi sono maturi per un altro gettone in Nazionale. L’occasione è un’amichevole contro la Guinea che finisce 3-1 con gol finale proprio di Mputu che poche settimane dopo si ripete, stavolta in partita ufficiale, contro Capo Verde. La partita che forse cambia una volta per tutte la sua dimensione arriva però un mese più tardi, l’8 ottobre del 2005, quando i ragazzi di Claude Le Roy affrontano i Bafana Bafana nel ritorno della partita di un anno prima.
A Durban, con la sua squadra sotto di uno dopo un quarto d’ora di gioco, Mputu si fa trovare pronto su un traversone dalla destra producendosi in uno stacco alla Cristiano Ronaldo che sovrasta il suo alto, ma non molto attento, marcatore. Raggiante per il gol appena segnato, termina la sua corsa tra le braccia di Le Roy prima di stampargli quello che pare a tutti gli effetti il bacio di un figlio all’amato padre. Un rapporto speciale quello tra il vecchio stregone bianco e il giovane talento, che non esita a definirlo un secondo padre. Il gioco riprende, l’intervallo è ormai prossimo ma il Sudafrica sbaglia un disimpegno e regala il possesso ai Simba. Mputu riceve palla, con un dribbling fa secco un difensore e serve – con quella che sembra più una sassata che un assist – Shabani Nonda che proprio grazie a quel passaggio così difficile da addomesticare segna il gol più bello della sua carriera. La palla infatti si impenna e l’ex attaccante della Roma è costretto a compiere una semirovesciata che si infila sotto la traversa, dritta nella memoria dei tifosi congolesi. Nel secondo tempo il Sudafrica pareggerà, ai Mondiali di Germania la R.D. Congo non ci arriverà mai, battuta dal Ghana, ma il ricordo di quella prestazione di Mputu e della prodezza di Nonda resta vivo tra quanti – con un velo di nostalgia, a quasi vent’anni di distanza – sentono ancora il bisogno di lasciare un commento sotto allo sgranatissimo video della partita.
Le immagini non esattamente nitide del match di Durban
Croce e delizia della R.D. Congo
Smaltita la delusione per la mancata qualificazione ai Mondiali, i Simba sono chiamati a non sfigurare alla Coppa d’Africa che nel gennaio 2006 si tiene in Egitto. È la prima grande vetrina internazionale per Mputu che, raccomandato da Le Roy, parte con gli occhi degli osservatori puntati addosso. Non ha ancora vent’anni ma è già piuttosto completo. Calcia bene con entrambi i piedi e, a dispetto di una statura di poco sopra il 1,70 m, non è raro vederlo segnare di testa. Sul fronte offensivo ricopre un po’ tutti i ruoli: prima o seconda punta ed esterno, posizione da cui può accentrarsi aiutato dal dribbling. Fatte le debite proporzioni si potrebbe azzardare un paragone con lo stile di Cristiano Ronaldo, o almeno questo vorrebbe lui, fan dichiarato del portoghese. Al di là dei dribbling e delle giocate spettacolari, quello che però gli riesce meglio è la rifinitura, con assist resi possibili da un destro dotato di GPS. Con il tempo, la sua capacità di giocare anche in mezzo al campo gli varrà il lusinghiero soprannome di Touré.
Nella prima partita contro il Togo, Mputu mostra subito quanto di buono va dicendo il suo mentore, che non gli ha risparmiato lo scomodo paragone con un altro dei suoi figliocci, quel Samuel Eto’o che proprio Le Roy fece esordire diciassettenne ai Mondiali del 1998. A pochi minuti dall’intervallo illumina la scena con un tocco di prima per LuaLua che gli restituisce il pallone al limite dell’area da dove Le Diable colpisce un palo che fa mettere le mani nei capelli a Le Roy. Poi a distanza di poco, conclude un contropiede iniziato ancora da LuaLua che gli apparecchia un pallone prelibato. A tu per tu con il portiere, Mputu sembra gustarsi il momento indugiando una frazione di secondo, il tempo di sbilanciare Agassa e superarlo con uno scavetto invece che con una banale conclusione tesa. A distanza di qualche mese ecco riproporsi la scena di Durban, con Mputu che si volta, treccine al vento e guanti neri, puntando il dito verso la panchina. È ancora questa la prima immagine che Google sputa dal suo archivio quando cercate “Tresor Mputu”. Quello che segue ha qualcosa di toccante: Le Roy attende a braccia aperte, sotto gli occhiali fumé ha il sorriso di chi vede per la prima volta il figlioletto alzarsi sulle gambe e venirgli incontro. Tutta la squadra segue la sua nuova stella e avvolge quel signore venuto dall’Europa in un abbraccio che, per qualche istante, sembra lavare il retrogusto di retorica che accompagna sempre queste storie.
La dedica di Mputu al suo primo estimatore Le Roy
Carichi per la vittoria all’esordio, i Simba si presentano al completo per la seconda partita contro l’Angola. Ci sono tutti: c’è Biscotte, c’è Mputu, c’è LuaLua, autore della seconda rete contro il Togo e ci sono anch’io. Già, perché il caso vuole che in quel gelido pomeriggio di gennaio i compiti siano straordinariamente pochi e il clima sia talmente proibitivo da scoraggiare ogni proposito di uscita. Eccomi dunque con il telecomando in mano sintonizzarmi su Eurosport alla ricerca di una sana dose di Coppa d’Africa. I primi minuti scorrono bene, con occasioni da entrambe le parti. Al 18’ il giovane talento del Mazembe riceve un passaggio in profondità ma viene anticipato da un difensore angolano, tale Manuel Alonso, detto Kali, che protegge l’uscita della palla dal campo. Mputu spinge rabbioso alla ricerca del pallone ma, impotente di fronte alla superiorità fisica dell’avversario, non può fare altro che pensare fuori dagli schemi ed è così che sceglie di mollare un calcio fortissimo ai testicoli di Kali che cade come un piombo in preda agli spasmi. Incredulo a quello che ho appena visto ho una reazione alla cereal guy (i “memofili” della prima ora capiranno) e assisto basito ma anche un po’ divertito ai replay che per un minuto buono ripropongono il folle gesto di un uomo che, con invidiabile nonchalance, prima mima spudoratamente il gesto del pallone e poi si finge affranto e stupito per l’espulsione decretata dall’arbitro. Così, in un freddo pomeriggio d’inverno, scoprii Trésor Mputu.
“Ci sono momenti in cui è insopportabile” confessa Le Roy in un’intervista. Momenti come quello appena andato in scena allo Stadio Militare del Cairo, in cui al tecnico francese non resta che ammutolire di fronte alla prima, fragorosa manifestazione del lato oscuro di Mputu. Se sulle qualità tecniche in pochi hanno dubbi, ciò che spaventa gli osservatori europei è infatti il suo temperamento. Il compagno di una vita, il portiere Robert Kidiaba (sì, quello che ballava sulle chiappe), parla fuori dai denti di comportamenti talvolta infantili e di un’attitudine un po’ anarchica che non fanno di Mputu esattamente un esempio di etica del lavoro: “Ma comunque, quando c’è qualcuno a sorvegliarlo, è un buon lavoratore“. Con l’espulsione di Mputu contro l’Angola finisce di fatto la Coppa d’Africa della R.D. Congo che, ad eccezione di un autogol nel quarto contro l’Egitto, non segnerà più fino alla fine del torneo.
Non bisogna forzare Trésor. Soprattutto se deve correre o fare gli addominali
– Robert Kidiaba
Il match contro l’Angola e la clamorosa follia di Mputu
Il rapporto con Katumbi
Quando, quasi un anno più tardi, Mputu torna a vestire la maglia della Nazionale, Le Roy è già lontano, così come lo è la successiva Coppa d’Africa, che la R.D. Congo manca clamorosamente cedendo il passo alle modeste Etiopia e Namibia. Privato dell’uomo che fin lì lo aveva sempre sostenuto, Mputu trova una nuova figura paterna nel presidente del suo club, quel Moise Katumbi che elegge il giovane fantasista di Ndjili a suo feticcio personale. Quello con Katumbi è un altro rapporto che meriterebbe una bella seduta psicoanalitica che potrebbe aiutarci a comprendere la relazione quasi carnale instauratasi tra i due e che ha assunto talvolta connotati a dir poco grotteschi, come nel filmato in cui è possibile vederli girare mano nella mano mentre osservano i cantieri che il presidente del TP Mazembe, all’epoca governatore dell’Alto Katanga, ha aperto con la sua compagnia di costruzioni in giro per Lubumbashi. Semplice propaganda o educazione sentimentale declinata alla greca? Quel che è certo è che i titoli vinti giustificano l’amore di Katumbi per Mputu molto più di quello che Moratti nutriva per Recoba. Dal 2006 al 2013 infatti il TP Mazembe vince sei campionati nazionali, oltre alle due Champions League africane che costituiscono il tesoro più cospicuo dell’eredità che Mputu ha lasciato alla sua squadra e al calcio congolese.
L’inizio del dominio domestico del TP Mazembe coincide grossomodo con l’ascesa politica del suo presidente che nel 2006 si guadagna un seggio nel Parlamento nazionale prima di diventare, come detto, governatore l’anno seguente. Come Mobutu quarant’anni prima, Katumbi ha ben chiaro il peso che può avere il calcio nel consolidamento del consenso, ma mentre il primo vietò per decreto il diritto di espatrio ai migliori calciatori del Paese, il proprietario del TP Mazembe vara il suo personale protezionismo attraverso gli investimenti. Le disponibilità economiche del suo presidente hanno preservato il TP Mazembe più di altre squadre dalle cicliche razzie a cui l’Europa sottopone i club africani e sudamericani, costituendo una sorta di enclave nel cuore di un continente votato storicamente all’esportazione. È così che, mentre Biscotte lascia il Motema Pembe per vedere la sua carriera deragliare nella seconda divisione svizzera, Trésor Mputu diventa il calciatore più pagato d’Africa.
Nel 2007 vince la classifica cannonieri della CAF Champions League terminando l’anno solare come miglior marcatore al mondo. Mezza Premier League lo cerca, Anderlecht e Olympiacos chiedono di lui. Oggi può farci sorridere ma le tracce di questo matrimonio mai celebrato tra Mputu e il vecchio continente sono ancora visibili sui motori di ricerca. Link impolverati risalenti al 2007 e al 2008 sono lì a ricordarci come Arsène Wenger rimase positivamente impressionato dal provino che il giovane congolese svolse con l’Arsenal o come il Blackburn fosse alle prese con il rilascio di un nuovo visto per riportarlo in Inghilterra. L’affare giunge più volte alle battute finali ma nessuno affonda il colpo. L’ostacolo è sempre rappresentato dalle richieste economiche di Katumbi che tratta alla pari con società abituate a considerare l’Africa come un outlet, se non come un vero e proprio ricettatore. Illuminante in tal senso è la ricostruzione che lo stesso Mputu ha fatto della trattativa con i Gunners, secondo cui lo stesso Wenger gli avrebbe ribadito come, indipendentemente dal valore del giocatore, la ragione di tutte le operazioni che si fanno in Africa è il basso costo di partenza.
Mano nella mano tra i cantieri del presidente
Le due facce di Trésor Mputu
A quasi 25 anni Mputu è un grosso pesce in uno stagno ma guadagna 520.000 dollari all’anno in un campionato che non figura neanche tra i primi dieci del continente per valore di mercato, ha popolarità, una villa con un colonnato nel soggiorno e la famiglia accanto. Più che l’Europa, quello di cui Mputu ha bisogno è un lauto stipendio. Claude Le Roy definisce la sua condizione come emblematica del calcio africano che verrà, un calcio più professionale, più emancipato, non più ostaggio dei soldi che arrivano dall’Europa. Un futuro idilliaco che forse non vedremo mai ma che assomiglia molto a quanto costruito da Katumbi che, oltre ai titoli, a Lubumbashi ha portato un’organizzazione societaria, un nuovo stadio di proprietà, un’academy, una squadra satellite e un aereo privato per le trasferte. L’Europa, dopotutto, può aspettare.
A marzo 2009 comincia l’anno magico di Trésor Mputu. Se fin lì le soddisfazioni con la Nazionale hanno scarseggiato, il caso vuole che la CAF decida di cucirgli addosso un torneo che sembra fatto a sua immagine e somiglianza. Si chiama African Nations Championship ma tutti la chiamano CHAN: in pratica una Coppa d’Africa destinata ai soli giocatori militanti sul continente. La R.D. Congo, che rispetto ad altre squadre solitamente più quotate non si discosta troppo dalla propria formazione tipo, veleggia verso la vittoria finale trascinata dal suo leader che, dopo essere stato ironicamente omaggiato da alcuni tifosi che gli lanciano una bandiera ghanese come fosse Figo ad Euro 2004, alla fine viene eletto miglior giocatore del torneo. In patria il successo è accolto come quello di una Coppa d’Africa vera, con le folle lungo le strade durante i tour della vittoria a Kinshasa e Goma e con il presidente Kabila in costante favore di camera. Anche il TP Mazembe procede spedito incontro alla finale del campionato dove, a settembre, sbaraglia i rivali cittadini dell’FC St. Eloi-Lupopo. Un mese dopo è la volta del trofeo più prestigioso, quello che Katumbi sogna da quando prese in mano la società più di dieci anni prima. Nella finale contro i nigeriani dell’Heartland, Mputu segna il gol della bandiera nel 2-1 dell’andata. Un gol apparentemente inutile ma che invece si rivela decisivo al ritorno dove ai congolesi basta un autogol del capitano avversario per tornare sul tetto d’Africa 41 anni dopo l’ultimo successo. Ciliegina sulla torta, a dicembre si gioca il Mondiale per Club, che si rivela però indigesta per i Corvi con due sconfitte in due partite. C’è giusto il tempo per Mputu di mettersi in mostra con un assist di tacco nell’inutile partita di consolazione con i campioni d’Oceania dell’Auckland City.
Nel marzo 2010, a dodici mesi dalla vittoria della CHAN, ecco che a margine della premiazione di Didier Drogba, arriva il riconoscimento che certifica lo status di Trésor Mputu quale miglior giocatore sul suolo africano. Mputu succede a Mohamed Aboutrika, l’altro grande what if del calcio africano degli ultimi anni, che con il congolese condivide una scelta di vita che in molti faticano a capire. Se la decisione dell’egiziano di legarsi a vita all’Al Ahly è comunque ascrivibile a una personalità che chi lo conosce definisce quasi ascetica, dotata di grande profondità politica e quindi lontana da quella che siamo soliti attribuire ai calciatori, più spiazzante ci appare l’evoluzione di un tamarro come Mputu che, con le sopracciglia rasate e le stories sui macchinoni, non ha mai forzato la mano del suo presidente affinché gli concedesse una chance in Inghilterra o in Francia. Vista dalla sua gabbia dorata di Lubumbashi, in fondo l’Europa è un’opzione come un’altra, non è la ragione ultima di un’infanzia di sacrifici e privazioni come quella che normalmente pensiamo animi ogni calciatore africano. Da qualsiasi prospettiva la si guardi, in un certo senso la parabola di Trésor Mputu è lì a sfidare i nostri preconcetti sul calcio africano.
È così che Mputu rinuncia anche all’Olympique Marsiglia che per bocca del suo presidente dell’epoca, il compianto Pape Diouf, è costretta a incassare ancora una volta il veto Katumbi. Una scelta che forse il magnate congolese rimpiange qualche tempo più tardi, quando il suo feticcio dà nuovamente prova della follia che alberga in lui. Vedendosi negare un gol nel mezzo di una partita di un torneo minore, Mputu salta addosso all’arbitro come fosse Jet Li. Non lo dico io ma è proprio il titolo del video che testimonia quanto accade in quella partita del maggio 2010. A ben guardare, a piantare la suola della scarpa sul petto dell’arbitro è il compagno di squadra Guy Lusadisu mentre Mputu si limita ad assalire vigliaccamente il malcapitato quando questo si trova già a terra. La FIFA lo punisce con un anno di squalifica nel corso del quale Mputu assiste da spettatore ai mesi più importanti nella storia del TP Mazembe. Prima la cavalcata verso la seconda Champions consecutiva, compreso lo storico 5-0 inflitto all’Esperance Tunisi nell’andata della finale e poi quello che, senza dubbio, è il momento di massima esposizione mediatica della squadra e probabilmente di ogni club africano: la finale del Mondiale per Club contro l’Inter del triplete. Rispetto all’anno prima infatti i Corvi stupiscono tutti superando in serie i messicani del Pachuca e i campioni sudamericani dell’Internacional, accedendo così, prima volta per una squadra africana, alla finale. Uomo immagine del torneo è il portiere Kidiaba che mostra al mondo la sua danza e anche se la finale termina 3-0 per i nerazzurri, l’impresa del TP Mazembe gode di una risonanza senza precedenti, il tutto mentre la sua stella è a casa a guardare la TV.
Gli highlights della finale della CHAN, il lascito più grande di Mputu alla R.D. Congo
La seconda vita di Mputu
Quell’anno di inattività forzata è un po’ uno spartiacque nella carriera di Mputu che da lì ripiega definitivamente entro i confini del culto locale senza più suscitare l’interesse di grandi club europei; e anche se dal suo ritorno in campo impiega 46 secondi per andare in gol, dalla nostra parte di mondo su di lui cade il buio. Almeno fino al gennaio 2013. In quel periodo infatti si tengono a Zurigo le votazioni per eleggere il Pallone d’Oro, monopolizzate anche quell’anno dal dualismo tra Messi e Cristiano Ronaldo. I CT e i capitani delle Nazionali che formano il corpus elettorale prendono posto ordinatamente nei due campi. Ci sono solo sei eretici che osano mettere in dubbio il bipartitismo imposto da Barcellona e Real Madrid. Due di questi rispondono ai nomi di Trésor Mputu, capitano della R.D. Congo e di Claude Le Roy che nel frattempo è tornato ad allenare i Leopardi. La coppia più bella del Congo elegge a sorpresa Radamel Falcao come proprio Pallone d’Oro e lo fa in modo apparentemente disinteressato, al contrario di quanto si potrebbe pensare di Emre, compagno del colombiano all’Atletico Madrid, e Mario Yepes, suo capitano in Nazionale.
Con il ritorno dello stregone bianco la R.D. Congo ritrova la fase finale di Coppa d’Africa dopo sette anni. E a sette anni da quel calcio nelle parti basse che gli costò l’espulsione, Trésor Mputu gioca una di quelle partite che rinnova il rimpianto di quanti avevano sperato per lui in un altro destino. Nella prima partita del girone un rimaneggiato Ghana si fa subito sorprendere da un lancio in profondità di Makiadi che pesca proprio Mputu il quale, a dispetto della corporatura ridotta, riesce ad avere la meglio sul più prestante Akaminko, prima di mettere in mezzo per LuaLua che colpisce la traversa. Tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo le Black Stars però colpiscono due volte con Kwadwo Asamoah ed Emmanuel Badu. Sotto di due gol, Mputu si carica la squadra sulle spalle e in combinazione con LuaLua riporta indietro l’orologio di sette anni quando quest’ultimo guadagna campo, serve Makiadi che mette un filtrante a smarcare Le Diable, svelto a liberarsi ancora di Akaminko e a depositare in rete con l’esterno destro.
I ragazzi di Le Roy esultano con una danza da “esercito del surf”, come se il pareggio sia già cosa fatta o come se sapessero che è solo questione di tempo. Un quarto d’ora dopo è Mbokani a trasformare il rigore da lui stesso procurato, chiamando l’inesorabile danza di Kidiaba. Un’altra grande occasione nei minuti finali regala per qualche istante l’illusione della vittoria e fa dimenticare le polemiche della vigilia sui premi partita (un classico). Forti di un 2-2 stretto ma incoraggiante, la R.D. Congo si presenta quindi fiduciosa davanti al modesto Niger che invece è tutt’altro che arrendevole e, tolto un assist di Mputu sprecato da Mbokani, si rende più pericoloso. Lo 0-0 finale inguaia i Leopardi che perdono il loro capitano, infortunatosi nel secondo tempo e li obbliga a vincere il decisivo incontro con il Mali. Buttato nella mischia a venti minuti dalla fine, con il punteggio bloccato sull’1-1, a Mputu non riesce il miracolo e la R.D. Congo esce eliminata al primo turno senza aver mai perso.
Mputu esulta per il gol siglato al Ghana nel primo, illusorio match della Coppa d’Africa 2013
Il lento declino
Da qui comincia quella che potremmo definire la fase crepuscolare di Mputu che, alla soglia dei trent’anni, sente il venir meno di quello status di giocatore speciale accordatogli fin dai tempi in cui, appena maggiorenne, veniva paragonato ad Eto’o. In dieci anni passati al TP Mazembe ha vinto tutto ma ha lasciato più di una volta la squadra da sola nei momenti importanti. Il nuovo allenatore dei Corvi, il francese Patrice Carteron, afferma senza mezzi termini:
Mputu ha compreso che la squadra può vincere senza di lui.
Riguardo al suo percorso con la Nazionale c’è invece chi esce allo scoperto obiettando come, ad esclusione della CHAN del 2009, non sia mai stato veramente decisivo. Mputu sta diventando un giocatore normale. Privato del suo principale propellente, cioè la fiducia di chi gli sta attorno, trova finalmente la motivazione per cambiare aria. Solo che a bussare alla sua porta non c’è più l’Arsenal ma il Kabuscorp SC. Il Kabuscorp è la squadra che un paio di anni prima aveva fatto parlare di sé portando in Angola il quarantenne Rivaldo e che, dopo aver scommesso su un improbabile rilancio di Biscotte, evidentemente ha ancora qualche soldo per provarci con Mputu. I presidenti di TP Mazembe e Kabuscorp si mettono d’accordo per un prestito oneroso da 1,5 milioni di dollari che ha più il sapore di un Erasmus con cospicua borsa di studio che di una scelta di vita. Katumbi non se la sente di recidere il cordone ombelicale e il saluto al suo amore finisce solo per essere un arrivederci. La gita in Angola parte bene, con un assist e un gol nella partita di Supercoppa, ma finisce nel peggiore dei modi. Gli infortuni lo costringono fuori dal campo per la maggior parte del tempo facendogli saltare la Coppa d’Africa del 2015. A questo si aggiunge il contenzioso che si apre a seguito dei mancati pagamenti del Kabuscorp, con Mputu che fa le valigie e il club angolano che gli chiede un risarcimento per non aver rispettato il contratto. Alla fine, dopo una prima sentenza sfavorevole, la FIFA dà ragione al giocatore che torna sano e salvo dal suo amato presidente.
Di nuovo al sicuro, come un ragazzino prelevato dai genitori dopo una notte in questura, Mputu dice: “Ho fatto una stupidata“. In due anni di inattività o quasi, Katumbi ha provveduto personalmente a versargli lo stipendio senza che fosse tenuto a farlo. Questo gesto cementa ulteriormente l’attaccamento di Mputu al club, dove passa gli ultimi anni alternando ripetute insubordinazioni a proclami di fedeltà assoluta. Simpatizzante di Mobutu, come più volte dichiarato alle telecamere, Mputu si schiera ora anche a favore del Katumbi politico, quello che negli anni si è progressivamente allontanato dal suo padrino Joseph Kabila fino a sfidarlo alle presidenziali del 2018.
Il ritorno del figliol prodigo: Katumbi riabbraccia il suo pupillo
Last dance
Nel frattempo i minuti in campo diminuiscono, gioca non sempre bene e quando viene sostituito ha l’ardire di lamentarsi. Litiga con la Federazione rifiutando la convocazione alla CHAN nel 2014. Bullizza i compagni, come accade a Vanden Borre (quel Vanden Borre) e non si presenta agli allenamenti.
A un certo punto l’allenatore ed ex compagno Pamphile Mihayo si sente in dovere di spiegare come andarlo a prendere direttamente a casa non sarebbe corretto nei confronti degli altri. Persino la pazienza di Katumbi vacilla. Il grande romanzo pop di cui è protagonista, fatto di interviste esclusive, amicizie famose, ospitate TV che coinvolgono anche la moglie – un po’ Antonella Clerici e un po’ Ilary Blasi mentre viene ripresa ai fornelli per i bambini del quartiere – sembra sul punto di inghiottirlo definitivamente. Quando tutto sembra perduto ecco però che dal suo piede torna a promanare la luce che fu. La zampata del vecchio leone d’altra parte è un topos letterario che non stanca mai e al quale la stampa non vede l’ora di attingere quando Mputu torna a fare vedere di cosa è capace. In un articolo del 2018 si magnificano le sue qualità dopo un derby vinto con il Lupopo mentre un gol in Champions League e gli assist sfoderati in campionato fanno dimenticare il ritardo e la conseguente esclusione da una trasferta in Sudan. Succede così che, a più di cinque anni dalla sua ultima convocazione, il CT Florent Ibenge si ricordi di lui per la Coppa d’Africa del 2019, dove Mputu giocherà 45 minuti al trotto prima di costringere l’allenatore a sostituirlo.
Mputu a contrasto con Salah nell’ultima e poco gloriosa apparizione in Coppa d’Africa
Il ritorno di Mputu? Una questione di fiducia, amore e orgoglio.
– Christian Nsengi
Due anni più tardi l’ultimo capitolo della sua storia con la Nazionale. A scriverlo è il nuovo CT Christian Nsengi che, alla disperata ricerca di un miracolo che possa portargli una qualificazione in Coppa d’Africa ormai compromessa, finisce anch’egli per cercarlo in quel controllo di palla e in quei passaggi millimetrici che, per qualche ragione, alla fine tutti si convincono che saranno decisivi. Ancora una volta. A proposito dell’ennesimo ritorno con la maglia dei Leopardi Mputu mostra una punta di realismo pur non rinunciando alla sua mistica: “Credo sarà la mia ultima Coppa d’Africa. Ma l’ultima parola spetta a Dio”. A Franceville però, il 25 marzo del 2021, la parola fine la mette il suo allenatore che, in svantaggio all’intervallo dell’incontro decisivo contro il Gabon di Aubameyang, decide che giocare con un uomo in meno è troppo, anche se quell’uomo che da 45 minuti si trascina per il campo si chiama Trésor Mputu.
I mesi a seguire procedono spediti verso l’epilogo che ormai a tutti appare inevitabile. A tutti tranne uno. Senza più una missione all’altezza del suo genio, senza più un Paese da salvare, nel successivo anno e mezzo Mputu gioca poco più di una decina di partite. C’è però il tempo per un ultimo acuto: è l’assist di tacco che a cinque minuti dalla fine decide la sfida contro il Cotonsport Garoua in Confederation Cup. È un colpo dei suoi: preciso, beffardo, diabolico. All’ingresso della palla in rete lo stadio esplode ma Mputu rimane solo, in disparte. Non c’è nessuno a voltarsi verso di lui per ringraziarlo, nessuno ad abbracciarlo e a farlo sentire speciale come 18 anni prima a Durban.
Nel febbraio del 2023 l’annuncio ufficiale: Trésor Mputu si ritira. Ha 37 anni e i chili accumulati negli ultimi mesi di inattività deformano le strisce bianche e nere che lo hanno vestito per quasi tutta la vita. Sono i minuti che precedono un incontro di coppa, gli ultimi che lo Stade TP Mazembe gli concede da protagonista. Al centro della scena, il suo “Grazie” risuona dagli altoparlanti per poi schiantarsi in un pianto che affoga dapprima in un asciugamano e poi nella commozione di quanti lo accolgono nel proprio abbraccio durante la risalita della tribuna.
L’ultimo saluto di Trésor Mputu
Un tesoro inestimabile
Riavutosi dalla tempesta emotiva, Mputu prende posto alla destra del suo presidente, amico, padre putativo Moise Katumbi, in compagnia del quale si gode la vittoria sull’avversario di giornata. Non è chiaro cosa sarà di lui una volta smessi i panni del calciatore. Si vocifera di non meglio precisati incarichi in seno alla società ma nessuno ha le idee chiare su quale sarà il suo futuro. A fugare i dubbi – o ad addensarne di nuovi potrebbe obiettare qualcuno – ci pensa il diretto interessato che, a pochi giorni dall’addio al calcio, annuncia il suo ingresso in politica.
La campagna elettorale lo riporta nel suo quartiere, a Ndjili, laddove tutto è cominciato. Candidato alla Camera dei Deputati per la lista del suo presidente, quando questo giunge in visita dalla lontana Lubumbashi Mputu è come sempre al suo fianco. Maglietta viola griffata Versace, lo accompagna per le strade di quello che è il distretto più periferico e rurale di Kinshasa, pronto a sostenere tra la sua gente la causa di quell’uomo dalla pelle chiara venuto dall’altra parte del Paese per chiedere la loro fiducia. La visita non manca di momenti toccanti come l’abbraccio tra Katumbi e la madre di Mputu o la visibile commozione del Sig. Chamala nello stringere la mano all’uomo che ha fatto fruttare il diamante grezzo da lui scoperto più di vent’anni prima sulla terra battuta del campo di quartiere. Occhi lucidi presto asciugati dai numeri che nei primi giorni di gennaio condannano l’avventura elettorale dei suoi protagonisti.
Staccato di oltre cinquanta punti percentuali, dalla sua roccaforte nel sud-est del Paese Katumbi è costretto a rinunciare al sogno presidenziale mentre gli appena 2.422 voti racimolati nel suo distretto hanno insegnato a Mputu come non sempre si possa quantificare l’amore e l’emozione di quel popolo che, per oltre vent’anni, ha custodito l’inestimabile tesoro del calcio africano.
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