Danimarca campione d’Europa 1992, la squadra del destino

Danimarca - Puntero

Duemila anni fa, l’orgoglio più grande era poter dire “Civis Romanus sum”, ovvero “Sono un cittadino romano”. Oggi, nel mondo libero, quello stesso orgoglio passa da una frase della potenza di “Ich bin ein Berliner” (“Sono un berlinese”). Il presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, deve fermarsi più volte durante il suo discorso a causa dei continui applausi delle oltre 200.000 persone che affollano la Rudolph Wilde Platz, il 26 giugno 1963.

È un momento cruciale della Guerra Fredda. Una frase che è un vero e proprio sostegno morale al popolo di una città divisa, tanto che tutta la forza comunicativa di quelle parole si legge ancora oggi su qualche muro della capitale tedesca. Ovviamente non su quel muro. Una barriera di cemento alta 3 metri e lunga circa 150 chilometri, costruita due anni prima dal governo della Repubblica Democratica Tedesca con il sostegno dell’Unione Sovietica per impedire ai cittadini dell’est di varcare il confine.

Quel muro che 26 anni dopo, il 9 novembre 1989, viene attraversato da migliaia di cittadini di Berlino Est, accolti calorosamente dagli abitanti della parte Ovest. Un abbraccio significativo e vivo delle due anime della Capitale. Col senno di poi, una sfida vinta quella di Kennedy, che forse durante il volo di ritorno si era già immaginato l’epilogo di tutto, al punto da dichiarare ai suoi collaboratori: “Non vivremo mai più un giorno come questo”.

 

La Storia che si mischia col calcio

La riunificazione tedesca è uno di quei momenti che hanno cambiato gli equilibri del mondo, compresi quelli dello sport e il Campionato Europeo di calcio del 1992 ne è il primo esempio. L’epilogo della Guerra Fredda e la conseguente fine dell’Unione Sovietica, portano all’onda lunga del crollo dei regimi comunisti. Ciò si traduce nell’inizio della sanguinosa guerra dei Balcani con la dissoluzione della Jugoslavia, ovviamente anche dal punto di vista sportivo.

È questo il contesto politico in cui comincia EURO 1992, la prima e unica competizione continentale che racconta della vittoria di una Nazionale chiamata solo all’ultimo minuto. Un successo che, a distanza di 30 anni, è rimasto indelebile nel cuore di tifosi e appassionati. Peter Schmeichel, Kim Vilfort, Brian Laudrup, Richard Møller Nielsen: questi sono solo alcuni nomi dell’impresa della Danimarca negli Europei di Svezia ‘92 .

Il 16 dicembre 1988 il Paese scandinavo si aggiudica l’assegnazione della nona edizione del Campionato Europeo di calcio. Un’occasione irrinunciabile, dato che per i Blågult si tratterà di un esordio assoluto in questa competizione. La UEFA ha deciso che si tratterà dell’ultimo Europeo a 8 squadre, motivo per cui le qualificazioni assumono un ruolo fondamentale.

 

Il percorso dell’Italia

L’Italia si presenta alle qualificazioni con la delusione del Mondiale casalingo disputato nel 1990. Il commissario tecnico Azeglio Vicini è stato confermato alla guida degli Azzurri perché, nonostante tutto, per molti addetti ai lavori si tratta di una delle nazionali più forti di sempre. L’obiettivo primario di Vialli, Baggio e compagni diventa quello di spazzare via le critiche e assicurarsi un posto a Euro ‘92, dove si presenterebbero sicuramente tra i favoriti.

La Nazionale di Vicini incappa però in qualche passo falso e si presenta così alla penultima giornata di qualificazione seconda in classifica, alle spalle dell’Unione Sovietica. Le due squadre si fronteggiano nella gara decisiva il 12 dicembre 1991. Un momento tutt’altro che banale per la Storia. Solo tre giorni prima infatti, i rappresentanti dei governi di 12 Paese del Vecchio Continente avevano iniziato a gettare le basi per il futuro della Comunità Europea con il trattato di Maastricht.

L’area di rinnovamento che si respira in tutta Europa riesce ad arrivare anche in Unione Sovietica. Lo stadio Luzhniki di Mosca si chiama ancora Lenin e, tre mesi prima di quella partita, un gruppo di dissidenti di Michail Gorbaciov aveva tentato di prendere il controllo del Paese attraverso un colpo di Stato. I cittadini di Mosca e gran parte dell’apparato militare avevano però raccolto l’appello del futuro presidente russo Boris Eltsin sbarrando la strada ai golpisti, agevolando così il processo di dissoluzione dell’Unione Sovietica avvenuto definitivamente 14 giorni dopo quella famigerata sfida calcistica.

In quel clima surreale, allo stadio Lenin anche i giocatori dell’URSS avevano ben presente la situazione: la Nazionale in cui militavano avrebbe chiuso i battenti di lì a poco e nessuno di loro poteva immaginare se e per quali colori avrebbe giocato in futuro. Sul campo però c’era una qualificazione da conquistare. Una partita bloccata fino all’ultimo minuto, con gli Azzurri a sprecare la palla gol che avrebbe significato vittoria.

L’Italia si ferma così a Mosca e il vento del cambiamento colpisce anche gli Azzurri. L’era di Vicini si chiude per lasciare spazio alla rivoluzione tattica di Arrigo Sacchi. L’ultima partita disputata dall’Unione Sovietica è quella che conclude il girone di qualificazione per Euro ‘92, una vittoria per 3-0 ai danni di Cipro. Così, agli inizi del 1992, con la Mosca del pallone nel caos, si sviluppano due Federazioni parallele su base nazionale.

 

La nascita della CSI

Due proposte di cambiamento molto diverse tra loro. A rassicurare tutti è l’ex presidente della Federcalcio sovietica Vyaceslav Koloskov: “In Svezia ci saremo. La nostra Nazionale sarà formata dalla selezione dei migliori giocatori di club della neonata Comunità degli Stati Indipendenti. Niente più bandiera rossa con falce e martello, ma un anonimo vessillo bianco con la sigla CSI scritta in blu”.

Talmente poco tempo per organizzarsi che non si riesce nemmeno a studiare un inno adeguato. La scelta ricade su “L’inno alla gioia” (An die Freude), ode del poeta tedesco Friedrich Schiller e musicata da Beethoven nella parte corale della sua nona sinfonia. Si tratta dell’augurio per l’inizio di una nuova storia del mondo. L’auspicio di raggiungere il traguardo della fratellanza tra tutti gli uomini. Una celebrazione di uguaglianza a tutto tondo.

La caduta del muro di Berlino, la crisi e il successivo crollo dell’Unione Sovietica. Una moltitudine di ingredienti che creano le migliori premesse per un radioso avvenire dell’Europa, probabilmente mai stata unita come in quegli anni. Nel frattempo, a fare da contraltare a una situazione così idilliaca, prendono drammaticamente il sopravvento le mai sopite questioni etniche dei paesi balcanici.

 

La Jugoslavia non esiste più

In seguito alla morte del maresciallo Tito, in Jugoslavia si era infatti progressivamente rotto un equilibrio che aveva fatto affiorare antichi odi sociali, territoriali e religiosi. Cresce la preoccupazione per gli evidenti squilibri economici tra il nord e il sud della Federazione e con l’emergere di movimenti nazionalisti, la sopravvivenza della Nazionale jugoslava viene messa a rischio. 

Quando Croazia e Slovenia dichiarano la propria indipendenza dalla Jugoslavia nel 1991, la risposta militare dell’armata popolare jugoslava è pressoché immediata. L’occidente torna così a conoscere il dramma della guerra per la prima volta dal 1945. Un’evoluzione degli eventi così rapida da sembrare fuori controllo. Simbolo di quei conflitti, è la città croata di Vukovar, devastata tra l’agosto e il novembre del 1991 da sanguinose battaglie, con la morte di più di 6000 persone tra civili e militari.

La Nazionale jugoslava era riuscita, nonostante tutto, a centrare la qualificazione per Euro ‘92. Merito soprattutto dell’affermazione dell’attaccante della Stella Rossa Darko Pancev, successiva meteora nell’Inter di Moratti. Sono però molti i giocatori talentuosi di quel gruppo: Boban, Mihajlovic, Savicevic, solo per citarne tre. Molti di loro hanno vinto la Coppa dei Campioni nella stagione 1990-91 con la Stella Rossa di Belgrado, alzando il trofeo dalle grandi orecchie nel neonato stadio San Nicola di Bari, l’impianto sportivo progettato da Renzo Piano.

Ivica Osim, allenatore della Jugoslavia, ci crede fino all’ultimo, ripetendo a se stesso che calcio e guerra non possono stare sullo stesso piano. Vorrebbe gridare al mondo che l’anima di quella squadra può trionfare nonostante tutto. Osim vuole esserci in Svezia, anche perché la sua squadra sarebbe certamente una delle Nazionali favorite.

I giorni della vigilia del Campionato Europeo coincidono però con l’agonia di sangue che si sta drammaticamente consumando in tutta la Jugoslavia. La situazione non è più tollerabile. È il 1º giugno 1992, mancano appena 9 giorni all’inizio della competizione, quando UEFA e FIFA prendono una decisione storica: estromettere la Nazionale di Osim dalla rassegna europea.

La gloriosa storia calcistica della Jugoslavia, sempre ricca di talento, si conclude ufficialmente quasi con una punta di farsa. Il gruppo rimane infatti bloccato per diversi giorni a Stoccolma ed è costretto addirittura a cambiare la sede del ritiro per motivi di sicurezza. Finisce tutto così, in un clima tesissimo. In attesa di un volo per Belgrado, la Nazionale balcanica viene sostituita all’ultimo con la prima eliminata del proprio raggruppamento di qualificazione: la Danimarca.

Alla terza partecipazione a un Europeo, la compagine danese era stata in grado di lasciare il segno nell’opinione pubblica con il raggiungimento degli ottavi di finale all’esordio nei Mondiali, nell’edizione di Messico ‘86. Allora l’allenatore era il tedesco Sepp Piontek, capace di costruire un collettivo eterogeneo di calciatori pratici e creativi. Un mix esplosivo, tanto da valere a quel gruppo il soprannome di Danish Dynamate.

 

C’è del calcio in Danimarca

Naturale successore di Piontek alla guida dei danesi fu il suo ex assistente Richard Møller Nielsen, il quale dovette però fare i conti con il declino dei protagonisti del Campionato del Mondo di sei anni prima. Si trova così obbligato a promuovere dei giovani emergenti durante la fase di qualificazione. Il nuovo tecnico entra anche in rotta con i due talenti più cristallini della squadra: i fratelli Brian e Michael Laudrup, probabilmente i calciatori danesi più forti della storia.

Un rapporto che si deteriora sempre di più fino a spingere Michael ad abbandonare la Nazionale. La Danimarca era allora arrivata seconda nel girone, mancando la qualificazione per un solo punto, a vantaggio della Jugoslavia. Quando Møller Nielsen viene a sapere del ripescaggio mancano appena 9 giorni alla partita di esordio. Il tecnico si ritrova così a telefonare di persona ai propri calciatori, molti dei quali già in vacanza ben lontano dalla Danimarca.

Riesce persino a ottenere il sì di Brian Laudrup, assicurando al giocatore del Bayern, che con lui avrebbero vinto l’Europeo. La stella danese sorride alla cornetta del telefono, ma accetta l’invito. A nulla valgono invece gli sforzi per smuovere il fratello, Michael Laudrup, fresco campione d’Europa con il Barcellona. Brian e Nielsen provano a convincerlo fino al 5 giugno, termine ultimo per consegnare la lista definitiva, senza riuscire però a strappare un sì.

 

Euro ’92

Il resto della rosa si costituisce in gran parte di calciatori del campionato danese con l’aggiunta di qualcuno proveniente dalla Bundesliga, come il centrocampista Andersen. Tra i pali c’è il nuovo numero 1 del Manchester United, Peter Schmeichel, capace di arrivare a un passo dalla finale di Coppa Uefa nella stagione precedente con il Brøndby, il miglior risultato di sempre per una squadra danese.

Già a partire dalla fase a gironi, le possibilità di passaggio del turno per la Danimarca sembrano bassissime. I biancorossi capitano nel gruppo con i padroni di casa della Svezia, alla sempre temibile Inghilterra, e alla favorita della vigilia, la Francia di Deschamps, Papin e Cantona, guidata in panchina dalla leggenda Michel Platini. L’altra potenziale dominatrice della competizione, è invece nel gruppo B: l’Olanda di Rijkaard, Gullit e van Basten, le tre stelle del Milan targato Berlusconi, a cui si è aggiunto il talento dell’Ajax Dennis Bergkamp.

Sono loro i campioni in carica e dovranno affrontare la Scozia, esordiente assoluta del torneo, la già citata Nazionale della Comunità degli Stati Indipendenti, e la novità Germania. La prima partita di Euro ‘92 si conclude in pareggio. I padroni di casa della Svezia riescono a sorpresa a fermare la Francia per 1-1. Pareggia anche la Danimarca in uno scialbo 0-0 contro l’Inghilterra.

 

Il primo turning point della Danimarca

La seconda giornata mette di fronte le due Nazionali del nord Europa: il derby scandinavo Svezia-Danimarca. La sfida termina con l’affermazione degli svedesi, grazie a una rete dell’attaccante del Parma Brolin. L’avventura dei biancorossi sembra giunta al termine, anche se Francia e Inghilterra danno una grossa mano, dividendosi la posta con un diplomatico 0-0. Nell’ultima partita serve dunque sconfiggere la Francia e augurarsi che la Svezia riesca a battere l’Inghilterra. Una congiunzione astrale difficile, ma non impossibile.

Larsen riesce a portare in vantaggio i danesi dopo solo 8 minuti, ma nella ripresa arriva il pareggio di Papin. Sembra tutto finito, ma al 78’ una zampata dell’attaccante Elstrup rimette la Danimarca avanti. Passano appena 4 minuti, quando arriva l’incredibile notizia. Il risultato di Svezia e Inghilterra, anch’esse ferme sul momentaneo 1-1, è cambiato. È ancora Brolin ad andare a segno, mandando in estasi i tifosi di casa.

 

Olanda e Germania non tradiscono

Grazie alla vittoria sugli inglesi, la Svezia finisce addirittura prima nel girone, con la Danimarca che riesce incredibilmente ad avanzare in semifinale ai danni di Francia e Inghilterra, eliminate. Nell’altro girone invece, non ci sono sorprese, con l’Olanda a finire davanti a tutti. Gli Oranje sconfiggono all’esordio la Scozia per 1-0 e vengono fermati sul pareggio dalla Comunità degli Stati Indipendenti (0-0). La prova di forza che vale però la qualificazione è contro la Germania, battuta per 3-1 all’ultima giornata. Seppur sconfitta, la Nazionale tedesca riesce comunque a strappare il pass per le semifinali grazie alla vittoria sulla Scozia.

La breve storia della Nazionale della CSI è invece destinata ad esaurirsi in quel Campionato Europeo. Un progetto transitorio, quello che nasce dalle ceneri dell’Unione Sovietica, che naufraga senza mai essere realmente compreso, tanto che gli ex sovietici vengono sconfitti anche dalla Scozia con un perentorio 3-0. Un regalo per la Tartan Army, soprannome originato dal tessuto con cui realizzano i tradizionali kilt, che ottiene la prima gioia in campo internazionale.

 

Le semifinali

Il tabellone mette dunque di fronte in semifinale Svezia e Germania da una parte, Olanda e Danimarca dall’altra. Lo stadio di Stoccolma è una bolgia per sostenere i padroni di casa, ma la Germania è ancora più forte dopo la riunificazione. I tedeschi si portano sul doppio vantaggio con Hassler e Riedle, prima di subire il momentaneo 2-1 con un calcio di rigore del solito Brolin. Nel finale gli svedesi si sbilanciano alla ricerca del pari, quando all’80’ subiscono il 3-1 ancora ad opera di Riedle. Nei minuti di recupero, un gol di Kenneth Andersson fissa il risultato sul 3-2 ma vale solo per gli almanacchi. La Germania è la prima finalista di Euro ‘92.

La seconda semifinale sembrerebbe avere esito scontato. L’Olanda, oltre a essere campione in carica, appare una vera e propria corazzata. Ma ecco che una piccola idea, semplice e banale, cambia il corso della narrazione. Nielsen sente la necessità di rafforzare lo spirito di gruppo, e decide così di portare la squadra a cena in un fast food. Un gesto che compatta l’ambiente ed elimina ogni tensione. La Danimarca parte forte. Dopo appena 5 minuti arriva un traversone dalla linea di fondo di Laudrup, che trova Henrik Larsen indisturbato sul secondo palo per la rete dell’1-0.

Gli olandesi non ci stanno e cominciano a macinare gioco, raggiungendo il pareggio al 23’ grazie a una conclusione al limite da parte di Bergkamp. La Danimarca dunque si trincera e schiera un 5-3-2 tutto fisico e muscoli, cercando di sfruttare le ripartenze e lasciando il pallino ai giocolieri arancioni. I minuti passano, e si arriva al 33’. Un lancio quasi alla disperata della retroguardia danese trova il centrocampista Vilfort in buona posizione. Colpo di testa dal fondo per mettere al centro, altra zuccata di Laudrup ribattuta da un ennesimo contrasto aereo di Koeman. Il pallone è al limite dell’area. Lì vicino c’è un giocatore, indossa la maglia numero 13 biancorossa. È ancora Henrik Larsen ad andare a segno. E pensare che solo l’anno prima era retrocesso in Serie B con il Pisa segnando un solo gol in tutto il campionato.

Nella ripresa gli oranje attaccano ma non sfondano. La Danimarca è vicina a centrare una clamorosa finale ma, in un contrasto al limite, arriva il grave infortunio del centrocampista Andersen. Uno scontro violentissimo con van Basten, che terrà il calciatore danese lontano dal campo per i successivi 11 mesi.

Minuto 86, calcio d’angolo per l’Olanda, cross teso sul primo palo. Un rimpallo fortunoso e una selva di gambe al limite dell’area piccola, Frank Rijkaard anticipa tutti e trafigge Schmeichel portando il risultato sul 2-2. Si arriva così ai tempi supplementari. La Danimarca sembra aver finito la benzina e lo stesso Schmeichel è chiamato agli straordinari in un paio di occasioni. La Nazionale biancorossa resiste: si va ai calci di rigore.

Dal dischetto i danesi sono glaciali e, come nel più classico dei thriller, a sbagliare è proprio il più forte. Dagli 11 metri van Basten viene respinto da Schmeichel. L’ultimo rigore spetta a Kim Christofte, un difensore. Una rincorsa quasi assente la sua, solo un passo, ma è quanto basta per spiazzare il portiere olandese. La Danimarca è incredibilmente in finale.

 

Il dramma nella gioia

Nel clima di festa che precede ogni finale, i media fanno trapelare una notizia che con il calcio non ha nulla a che fare. La figlia del centrocampista della Danimarca Vilfort, a soli 8 anni, ha contratto una grave forma di leucemia. Papà Kim, dopo ogni partita di quello Europeo, prende un aereo che lo porta a Copenaghen per starle vicino. Poi ritorna senza mai farlo pesare a nessuno.

L’opinione pubblica internazionale è sconvolta, e si stringe nel dolore di Vilfort, operaio del centrocampo del Brøndby dai piedi non particolarmente raffinati. La situazione della piccola Line si aggrava, ma papà Kim vuole esserci. È il 26 giugno 1992, si gioca Danimarca-Germania, la finale. Se l’Olanda era la Nazionale campione d’Europa in carica, il Mondiale di Italia ‘90 aveva invece premiato quella che fu la Germania Ovest, consacrandola a Campione del Mondo. I tedeschi si erano poi ulteriormente rinforzati dopo la riunificazione, con l’introduzione di tre giocatori della ex Germania Est.

Møller Nielsen carica i suoi con una frase che ripete come un mantra: “Bisogna partire aggressivi e non aver paura di nessuno”. E così fanno i danesi. Passano appena 18 minuti e ancora una volta c’è un pallone al limite. Questa volta il destinatario non è Larsen, autore dell’assist. C’è Johnny Jensen, altro giocatore del Brøndby. Una botta violenta la sua: è la rete del vantaggio. 

La Germania reagisce e crea, ma si trova davanti a uno straordinario Peter Schmeichel. L’estremo difensore danese sembra insuperabile. Con un colpo di reni riesce a deviare sopra la traversa una potente incornata di Klinsmann, prima di respingere un preciso tiro angolato dello stesso attaccante dell’Inter solo qualche minuto più tardi. Il traguardo si avvicina metro dopo metro.

 

Gli uomini del destino 

Al 78’ arriva un altro, ennesimo, pallone al limite. Sulla sfera questa volta c’è il numero 18 biancorosso. Una finta che manda a vuoto due avversari per spostarsi il pallone dal destro al sinistro e lasciar partire il tiro. Come nelle favole, è Kim Vilfort a scagliare quel pallone in rete per il definitivo 2-0. La Germania è annichilita, mentre la Danimarca realizza il sogno laureandosi Campione d’Europa per la prima volta nella sua storia. In quel singolo frangente, sono in molti a ripensare a quella frase del presidente Kennedy: “Non vivremo mai più un giorno come questo”.

Peter Schmeichel e Kim Vilfort, questione di padri e di figli. Quello di Peter si chiama Kasper e nel 1992 ha 6 anni. Nella stagione successiva diventerà una specie di mascotte del Manchester United che vincerà la Coppa dei Campioni del 1999, affiancando il padre durante numerose sessioni di allenamento. Fare il portiere e scrivere la storia evidentemente è una cosa di famiglia, dato che Kasper Schmeichel sarà il protagonista dell’incredibile cavalcata del Leicester di Claudio Ranieri fino alla conquista della Premier League. Ma questa è un’altra storia.

 

Fiaba danese

La Danimarca ha dato i natali a un celebre scrittore di fiabe: Hans Christian Andersen. Una delle sue opere più famose, “La piccola fiammiferaia”, ci racconta di una bimba che, nel tentativo di ricordare la nonna, vola insieme a lei in paradiso grazie al bagliore sprigionato dall’ultima scatola dei suoi fiammiferi. Una favola triste, senza lieto fine.

Una morale che ci suggerisce di non sprecare le occasioni, di apprezzare quello che resta, di circondarci di persone che sappiano valorizzarci e che ci apprezzino per quello che siamo. Esistono le favole tristi. È questione di padri e di figli. Passano sei settimane dalla vittoria dell’Europeo quando Line Vilfort, figlia di Kim, muore.

Non solo il popolo danese, ma i tifosi di tutto il mondo sono testimoni del triste epilogo della fiaba del centrocampista del Brøndby. Un eroe normale che ha saputo vestirsi da Superman, rimanendo con la figlia fino all’ultimo istante, regalandole fino all’ultimo fiammifero di quella scatola. L’ultimo grande bagliore prima del buio.

 


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Di Alessio Castagnoli

Scrivo storie di calcio e sport su Puntero e su Bologna Sport News. Studente del XVII biennio presso la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia