Atlante storico dei calciatori italiani all’estero

Estero - Puntero

Il fenomeno della migrazione di calciatori ha subito molti mutamenti nel corso del tempo. Dai primordiali sbarchi di sudamericani nel Bel Paese alla chiusura delle frontiere dopo l’eliminazione azzurra per mano della Corea del Nord ai mondiali del ’66, fino alla riapertura ed al ritorno del mercato internazionale nel 1980. Se la Serie A è stata spesso meta ambitissima dai calciatori stranieri, lo stesso non si può dire del contrario. A lungo i trasferimenti all’estero sono stati quasi un tabù per gli italiani e solo gli anni ’90 e la sentenza Bosman hanno avviato un processo fin lì sopito.

Oggi è sempre più frequente il trasferimento di calciatori lontano dallo Stivale, sia nel pieno della carriera sia alle prime esperienze tra i professionisti. Abbiamo quindi tentato di ricostruire il fenomeno, intervistando anche un esperto in materia.

 

Storia degli italiani all’estero

La storia dei trasferimenti di calciatori italiani all’estero è ultracentenaria. Basti pensare che il primo esempio del massimo campionato a giocare fuori dal nostro Paese è nientemeno che Vittorio Pozzo. Il più decorato commissario tecnico della storia azzurra con due Mondiali, un oro olimpico e due Coppe Internazionali Europee. Egli inizia la sua carriera da calciatore nel lontano 1905 vestendo la maglia della squadra riserve degli svizzeri del Grasshopper.

In origine si tratta di un fenomeno saltuario, tendenzialmente slegato da ambizioni di carriera. Uno dei più celebri pionieri è senz’altro Giorgio Chinaglia. La carriera di Long John inizia con lo Swansea, in Galles, dove i genitori erano emigrati per cercare fortuna. Dopo aver legato indissolubilmente il suo nome alla Lazio, Chinaglia si trasferisce negli Stati Uniti nel 1976 per giocare con i New York Cosmos, raggiunto in seguito per una sola stagione dall’ex compagno di squadra e capitano Pino Wilson. Una scelta di cuore quella dell’attaccante, legata al matrimonio con l’americana Connie Eruzione.

Analogamente, il trentino Carlo Sartori ha il privilegio di vestire la maglia dei Red Devils dopo un trasferimento da bambino a Manchester con la famiglia. In altri casi, invece, si tratta di esperienze di fine carriera. Roberto Bettega ai Toronto Blizzard nel 1983 o del campione del mondo Giancarlo Antognoni agli svizzeri del Losanna nel 1987, entrambi 33enni. Questi ultimi due trasferimenti sono solo il preludio al cambiamento degli anni ’90.

Un documentario su Chinaglia ai Cosmos

 

Anni Novanta, decennio della svolta

Ad aprire il canale dei trasferimenti all’estero è Alessandro Nista. Cresciuto nel Pisa, diventa il portiere titolare dei nerazzurri in Serie A nella stagione 1987-88, prima di perdere il posto in favore dell’esperto Grudina. Dopo la retrocessione, preso atto della decisione del Pisa di puntare su un nuovo portiere – Luigi Simoni – Nista compie una scelta decisamente inusuale per l’epoca, accettando a metà stagione la corte del Leeds United per fare il “dodicesimo”. Non un grande successo, visto il ritorno in Italia già nell’annata successiva per vestire la maglia dell’Ancona ma, sicuramente, un punto di vista diverso.

Nuovissima è stata anche la strada battuta da Marco Osio, detto il Sindaco. Dopo gli esordi con il Torino e il passaggio all’Empoli, Osio esplode nel Parma, dove vive il periodo aureo di Nevio Scala e segnando il gol decisivo per la vittoria della Coppa Italia del 1992, primo trofeo della storia dei ducali.

Dopo un breve ritorno al Torino, nel 1995 sfrutta i suoi buoni rapporti con la proprietà del Parma per tornare nella galassia Parmalat dalla porta di servizio: è il primo calciatore italiano a trasferirsi in Brasile per vestire la maglia del Palmeiras – società sponsorizzata dall’azienda casearia –  e condividere lo spogliatoio con futuri campioni del calibro di Cafu e Rivaldo, assicurandosi anche il Campeonato Paulista. Due trasferimenti non troppo pubblicizzati ma capaci di aprire una via che nel giro di pochi anni sarà estremamente prolifica.

 

Sogno britannico

Il campionato a cui si deve l’avvio definitivo di questa transumanza ormai diventata inarrestabile è sicuramente la Premier League. Il primo italiano a giocare nel massimo campionato inglese con l’attuale denominazione (che risale al 1992) è Andrea Silenzi, altissimo attaccante reduce da un ottimo triennio al Torino. Le sue prestazioni gli aprono le porte della Nazionale ma grande è la delusione con il suo passaggio al Nottingham Forest: un misero bottino di 12 presenze senza neanche un gol.

Un flop che non scoraggia i club Inglesi, tanto che un anno dopo arriva il primo colpo da novanta: Gianluca Vialli, fresco campione d’Europa con la Juventus, firma per il Chelsea. È l’inizio di una lunga storia d’amore tra gli azzurri e i Blues, che di lì a poco acquisteranno altri profili di prim’ordine come Roberto Di Matteo, Gianfranco Zola, Pierluigi Casiraghi, Gabriele Ambrosetti e Carlo Cudicini. Oltre ai nomi di grido, i londinesi danno il via ad un’altra pratica ad oggi molto in voga nel fenomeno migratorio: gli arrivi di giovani talenti dei vivai italiani da far crescere nella propria academy. Su tutti Samuele Dalla Bona, Valerio Di Cesare, Luca Percassi e, qualche anno dopo, Fabio Borini.

Ma non c’è solo il Chelsea. Sul finire degli anni ’90 vanno in Premier League anche Fabrizio Ravanelli e Gianluca Festa (Middlesbrough), Attilio Lombardo (Crystal Palace), Alessandro Pistone (Newcastle), Benito Carbone (Sheffield Wednesday), Marco Materazzi (Everton), Nicola Berti (Tottenham), Stefano Eranio e Francesco Baiano (Derby County).

E dove non arriva l’Inghilterra ci pensa la Scozia, capace di attrarre alcuni calciatori con le sue due squadre più titolate. Da una parte Paolo Di Canio ed Enrico Annoni al Celtic, dall’altra leggende dei Rangers come Lorenzo Amoruso, il bomber Marco Negri, Sergio Porrini e un giovanissimo Gennaro Gattuso, senza dimenticare la coppia Stefano Salvatori e Pasquale Bruno agli Hearts.

Un video tributo dedicato a Vialli, leggenda anche al Chelsea

 

Fratelli di Spagna

Ma se la Gran Bretagna ha avviato il processo, la terra del Mundial ’82 non è da meno, accogliendo il suo primo azzurro nel gennaio del 1997. Si tratta di Christian Panucci. Il suo passaggio al Real Madrid arriva per 8 miliardi di lire.

Il più longevo tra gli azzurri di Spagna è Amedeo Carboni, che lasciata la Roma diviene un simbolo del Valencia. E proprio il club dei Murcielagos negli anni immediatamente successivi accoglierà un gran numero di azzurri: Cristiano Lucarelli, Stefano Fiore, Emiliano Moretti, Bernardo Corradi, Marco Di Vaio e Francesco Tavano.

Sempre nel 1997 in Spagna nasce il mito di Christian Vieri, che con la maglia dell’Atletico Madrid diviene Pichichi nel suo unico anno in Liga, prima di tornare a peso d’oro in Serie A per vestire la maglia della Lazio. Negli anni a venire i club più importanti del Paese (Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid ma anche Valencia e Villarreal) continueranno ad avvalersi dei servigi dei nostri campioni, con risultati variabili (qualcuno ha detto Cassano e Cerci?).

 

Fuori dall’Italia per sbocciare

Come detto, se la parte più significativa del fenomeno consiste nell’acquisto di giocatori già formati, non è trascurabile neanche la corrente che vede sempre più giovani calciatori italiani spiccare il volo verso altri lidi nella speranza di fare il grande salto.

Alcuni tentano di trovare nuovi stimoli dopo essere finiti ai margini delle proprie squadre (si pensi a Davide Santon ma anche a Luca Caldirola e Giulio Donati, compagni nelle giovanili nell’Inter e ritrovatisi al Monza dopo una lunga militanza in Bundesliga), altri anticipano ulteriormente i tempi. Detto di Gattuso e Dalla Bona, agli inizi del nuovo millennio l’esodo dei nostri ragazzi verso l’estero prende il via in maniera quasi preoccupante.

I risultati sono quantomeno oscillanti. C’è chi ha successo, su tutti Pepito Rossi al Manchester United ma anche Gianluca Scamacca, migrato giovanissimo verso il PSV, mentre altri usano l’esperienza come trampolino per una carriera dignitosa in Italia. Ne sono esempi Nicola Sansone e Roberto Soriano, nati e cresciuti in Germania da migranti italiani, Pierluigi Gollini e Federico Macheda.

Tuttavia, non mancano i grandi flop come quello della promessa Arturo Lupoli. Il “gemello del gol” di Giuseppe Rossi nelle giovanili del Parma, finito all’Arsenal, deluse nettamente le aspettative per poi ritagliarsi un ruolo da attaccante non troppo prolifico delle serie minori italiane. Altri esempi sono due prodotti del vivaio romanista: Davide Petrucci, altro scippo “made in Manchester United“, o il più clamoroso caso di Raffaele De Martino, che lascia la Roma già nel giro della prima squadra per accasarsi al Bellinzona.

 

Estero per sempre

Se un tempo il trasferimento all’estero era finalizzato a svernare per gli ultimi anni di carriera o per arricchirsi (e parzialmente lo è stato anche in tempi recenti, si pensi a Chiellini e Pirlo negli USA, Nesta in USA e India, Del Piero in Australia e India, Materazzi anche lui in India, Gilardino, Pellè e Diamanti in Cina, con quest’ultimo finito poi anche in Australia), ad oggi il fascino di altri campionati è più allettante.

Alcuni dei campioni più importanti del nostro calcio hanno deciso di sviluppare la loro carriera quasi interamente al di fuori dei confini italiani. L’esempio più celebre è Verratti, centrale nel progetto del PSG per oltre dieci anniforse per questo motivo un po’ sottovalutato in patria.  Terminata l’esperienza francese, il centrocampista abruzzese è diventato il primo calciatore italiano a giocare nel massimo campionato del Qatar, bruciando di un giorno Ibrahim Bamba. Probabilmente, concluderà la carriera senza neanche una presenza in Serie A.

Altri sono partiti da giovani, tornando solo sporadicamente e senza particolare successo, come Mario Balotelli, o forse senza tornare mai. Solo il tempo ci dirà se nel cuore di Gianluigi Donnarumma, il miglior portiere della sua generazione, ci sarà mai spazio per un ritorno nel nostro campionato. Un discorso a parte va fatto per per Vincenzo Grifo, 9 presenze e 4 gol in azzurro ma nativo di Pforzheim: per lui, classe 1993, la carriera fin qui si è svolta interamente in Germania e le sirene di mercato provenienti dalle nostre società non hanno mai cantato troppo rumorosamente.

Ciò che è stato Verratti per il PSG si può facilmente capire dal tributo del Parco dei Principi

 

Primi coloni

Già detto di Pozzo, Panucci, Verratti e Osio, è giusto menzionare altri pionieri del calcio italiano che per primi hanno esportato il Bel Paese nelle leghe estere. Sorprendentemente, Giorgio Chinaglia non è stato il primo a piantare la bandiera né in Inghilterra, né negli States. Il primo azzurro nella terra di Albione è Attilio Fresia che, squalificato per due anni per un trasferimento oneroso al Genoa a quei tempi vietato (era ancora obbligatorio il dilettantismo), nel 1913 sposa la causa del Reading.

È invece Gino Gardassanich, portiere, a portare per primo il tricolore nel calcio statunitense. Nato in una Fiume ancora italiana, dopo aver militato nel campionato croato e in quello nostrano, nel 1949 viene acquistato dai Chicago Slovak con i quali gioca dieci anni, prendendo la cittadinanza statunitense e partecipando ai mondiali del 1950.

Con una storia analoga a quella di Grifo, il primo connazionale in Bundesliga è l’attaccante Raffael Tonello, che esordisce nella massima seria tedesca nel 1995 bruciando di un anno l’acquisto di Rizzitelli. Già compagno di squadra proprio di Rizzitelli alla Roma, l’ex juventino Marco Antonio De Marchi colonizza i Paesi Bassi nel 1997 scegliendo di vestire per tre anni la casacca del Vitesse, mentre Ivone De Franceschi nel 1999 esporta i nostri colori in Portogallo, allo Sporting.

Nel campionato russo, il traguardo viene tagliato da due giocatori contemporaneamente: si tratta di Dario Passoni ed Alessandro Dal Canto, che hanno esordito il 15 marzo 2003 con la maglia dell’Uralan Ėlista. Il primo azzurro in Ucraina è invece Cristiano Lucarelli allo Shakhtar.

Nonostante si attribuisca lo sbarco del calcio italiano in Argentina a De Rossi (ultimo anno di carriera al Boca Juniors), va precisato che, seppure la squadra è la stessa, la realtà è diversa. Il cosentino Nicolas Novello nel 1966 esordisce nel massimo campionato albiceleste proprio con la maglia del Boca. E sempre negli Xeneizes è partita la formazione calcistica di Francesco Serafino, attaccante classe 1997 oggi al Castrovillari e primo italiano a giocare in Uruguay, con l’Huracán di Montevideo. Novello ha anticipato di soli due anni Delio Onnis, che si consola più tardi, nel 1971, diventando non solo il primo italiano a giocare in Francia ma, addirittura, il più prolifico cannoniere di sempre nel campionato transalpino.

Qualche anno fa la Cina ha riversato soldi su molti giocatori occidentali, ma c’è chi è arrivato 20 anni prima. Si tratta del tirolese Arnold Schwellensattl, attaccante. Che dopo il vivaio dell’Atalanta e qualche esperienza in Austria e Germania, sposa la causa del Chongqing Lifan nel 2001. E a proposito di soldi, come non citare l’Arabia Saudita. La prima volta risale al finire del millennio scorso con l’approdo di un ex Nazionale come Roberto Donadoni. Il centrocampista, reduce dall’esperienza ai New York Metrostars a cui segue un rapido rientro al Milan, accetta la corte dell’Al Ittihad. La stessa società negli anni a seguire provvederà a tesserare anche Michele Gelsi e Gennaro Ruotolo.

In Australia il primo portacolori italiano è Fabio Vignaroli, attaccante con una buona carriera alle spalle in B e una chiamata prestigiosa nella Lazio. Nel 2009 il suo trasferimento ai Newcastle Jets. Altra celebrità in Italia e non solo è stato Salvatore Schillaci: l’eroe delle notti magiche italiane. Quando il rendimento cala in Serie A accetta la corte dei giapponesi del Jubilo Iwata, dove torna a segnare e sentirsi amato.

Chiudiamo con una curiosità che riguarda Mario Ferri. L’esterno di centrocampo classe 1987, vero e proprio giramondo (ha giocato anche in Giordania, India e San Marino), è il primo calciatore italiano a giocare in Africa quando, nel 2018, sbarca nelle Seychelles per vestire la casacca del Cote d’Or FC.

 

L’intervista con Giorgio Bacci

Per capire meglio l’espansione del fenomeno migratorio dei talenti del nostro calcio abbiamo intervistato Giorgio Bacci, esperto in materia di calciatori italiani all’estero e proprietario delle pagine social “Calciatori/Allenatori Italiani all’Estero” su Facebook e “calciatori_italiani_estero” su Instagram.

 

Da cosa nasce questa tua vocazione per i calciatori italiani all’estero? E da quanto tempo hai iniziato ad interessartene?

Non c’è una data precisa, sicuramente la curiosità nasce dai primi anni ’90, quando Nista andò al Leeds per fare il portiere di riserva e poi nel 1995 per l’esperienza di Silenzi al Nottingham Forest. Per quanto riguarda il mio lavoro, è iniziato quasi per caso. Da appassionato di tutti gli sport e di calcio in particolare ero assetato di informazioni e, quando ci fu il boom di trasferimenti all’estero, ero curioso di capire come stessero andando i nostri calciatori. Quando ho visto che non c’era molto in rete, ho deciso di farmi arrivare le notizie direttamente dai protagonisti e circa dieci anni fa ho aperto la pagina.

Hai detto che le notizie “le hai fatte arrivare direttamente dai protagonisti“. Come hai reperito i contatti dei calciatori italiani all’estero?

Inizialmente ero io a chiedere conferma delle notizie che scovavo in rete. Oggi, nella maggior parte dei casi, sono i protagonisti stessi o i loro rappresentanti che mi contattano per informarmi, perché ci tengono ad avere il post sui social.

Hai assistito alla nascita di alcune carriere. Ce n’è qualcuna che ha spiccato il volo più di altre o semplicemente qualcuna che ti ha affascinato in modo particolare, vuoi per il percorso o per il Paese in cui i nostri ragazzi hanno militato?

Nessuna più di altre, ognuno ha dato il massimo e raggiunto obiettivi soddisfacenti per le proprie qualità. Sicuramente le più affascinanti sono quelle dei giramondo: Michele Di Piedi, Giacomo Ratto o Mario Fontanella. Senza dimenticare la carriera tutta british di Raffaele De Vita. Ma non è semplice ricordarle tutte, ce ne sono state tante.

In base ai dati in tuo possesso, quanti sono oggi i calciatori italiani che militano fuori dal Paese?

Non ho dati precisi ma, in base alle mie stime e contando i calciatori con passaporto italiano, direi circa 2500, forse qualcosa di più.

Quali sono i campionati in cui il calciatore italiano viene visto con più fascino? Ci sono invece territori ancora “inesplorati” per i calciatori italiani?

Sicuramente Romania e Turchia. Per quanto riguarda i territori meno battuti, al momento ci sono pochi italiani che giocano in Africa, in Sud America o nei paesi del blocco sovietico che appartengono alla federazione asiatica. Ultimamente anche l’Australia ha perso appeal e non viene più vista come meta attraente per i nostri calciatori.

Ultima domanda: a tuo parere, in un momento in cui la Nazionale fa così fatica, potrebbe valere la pena pescare più spesso dall’estero? Stai già vedendo più apertura in tal senso?

C’è sicuramente più apertura, fermo restando che non sono così tanti i giocatori italiani nei campionati più importanti. Ci sono pochi convocabili. Nelle giovanili, invece, già oggi si tende a convocare i giocatori più bravi e quindi anche quelli provenienti dall’estero, soprattutto i ragazzi che militano in Germania.

 

Bomber per tutte le latitudini

Tra i nomi citati da Giorgio merita una menzione Mario Fontanella, rapido attaccante napoletano classe 1989. Prodotto del vivaio partenopeo, il bomber ha dichiarato di essersi sentito umiliato dal Napoli, spedito spesso in tribuna nelle giovanili per salvaguardare compagni che “dovevano giocare per vari motivi”.

Dopo qualche anno tra Serie C e Serie D, la svolta arriva nella stagione 2014-15, quando in quarta serie vince la classifica cannonieri con la maglia del Budoni. Circostanza che attira interessi dalla C e dal campionato maltese. Fontanella accetta la corte del Floriana e inizia una nuova vita all’estero, una carriera da bomber di razza in un campionato di massima serie europea.

E pazienza se Malta non è la Premier, per lui vale più della C italiana. Tanto da rispedire al mittente le numerose offerte che continuano ad arrivare. Perché Fontanella segna e tanto: in tre anni al Floriana gonfia la rete avversaria 51 volte. Quindi passa al La Valletta, dove per varie vicissitudini l’apporto medio è inferiore ma rimangono, comunque negli almanacchi 47 gol in quattro anni.

Sette anni di esperienza maltese in cui vince anche un titolo con il La Valletta, una coppa nazionale con il Floriana, tre supercoppe e un titolo di capocannoniere. Sognando persino la naturalizzazione che gli avrebbe permesso di scendere in campo con la Nazionale dei Cavalieri di San Giovanni.

Nel 2022, complice il dissesto finanziario del suo club, decide di sbarcare in Bahrain con la maglia dell’Al-Muharraq. Oggi gioca in Kuwait, nell’Al-Yarmouk. Con un tratto in comune tra tutti questi campionati: il feeling con il gol.

Un video di Fontanella che domina in Kuwait

 

Da Palermo alle colonne d’Ercole

Altra storia interessante è quella di Michele Di Piedi, anch’egli attaccante, classe 1980 nativo di Palermo. Sebbene il suo score non sia paragonabile a quello di Fontanella, è stato anche lui un grande giramondo.

Cresciuto nelle giovanili della Fiorentina, si fa notare a 19 anni con la maglia del Siracusa, in Eccellenza, tanto da guadagnarsi la chiamata del Perugia in Serie A, pur senza mai esordire. Nel 2000 il primo trasferimento all’estero, in Championship, dove lo accoglie lo Sheffield Wednesday: 7 gol in due anni, quindi i prestiti ai norvegesi dell’Odd Grenland e al Bristol Rovers.

Il rientro in Italia per giocare nelle categorie inferiori sembra proprio il classico passaggio di chi sta per mollare tutto, ma Di Piedi ci riprova. Nella stagione 2004-05 diventa il primo calciatore italiano a militare nella massima serie cipriota con la maglia dell’APOEL e nel 2006 torna in Inghilterra, al Doncaster.

Dal 2007 al 2013 torna in Italia per giocare in varie squadre con un’unica parentesi all’estero con la maglia del Tauras, in A Lyga lituana. Da gennaio 2014 il suo girovagare diventa carico di soddisfazioni umane prima ancora che professionali, esplorando culture diverse: veste le maglie di Nay Pyi Taw (Myanmar), Persib (Indonesia), Metropolitanos (Venezuela), Mons Calpe (Gibilterra) e Atletico dos Arcos (Portogallo).

Dopo un breve rientro in Italia con i colori del Paceco, nel 2019 torna a Gibilterra per giocare prima con il Mons Calpe e poi con il Glacis United fino al 2021, anno in cui si è ritirato ed è diventato direttore sportivo del suo ultimo club. Punta fisica e grande lavoratore di squadra, ha raggiunto la doppia cifra solo in Myanmar.

 

Guantoni intercontinentali

Ancora più pittoresca è la carriera di Giacomo Ratto, portiere nato a Varese e cresciuto nelle giovanili del club biancorosso. Dopo qualche annata in Italia, Ratto capisce qual è la sua vera vocazione: girare il mondo giocando a calcio. Un sogno per tanti, che il nostro esaudisce militando all’estero in ben dieci paesi. D’altronde, il suo amore per i viaggi è una costante sin da ragazzo quando, tra le altre cose, il suo cuore batte per il Deportivo che incanta l’Europa.

Con il sogno di arrivare all’Estadio Riazor inizia il suo viaggio per il globo. Dopo le prime esplorazioni nella vicina Svizzera, sono le autocandidature inviate a Malta a far partire il treno (anzi, l’aereo) dei desideri: Victoria Wanderers (Malta), Tauro (Panama), UNAM Managua (Nicaragua), Suva (Isole Fiji), Taverne (Svizzera), Ulaanbaatar (Mongolia), ancora Victoria Wanderers, Vestri (Islanda), Fgura United (Malta), la terza avventura ai Victoria Wanderers, quindi il trasferimento alle Maldive.

L’ultima esperienza nel meraviglioso arcipelago nell’Oceano Indiano con la maglia del Nilandhoo, prima del ritiro annunciato lo scorso aprile.

Un video con tutto il meglio di Ratto nel 2021

 


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Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.