Il testo che segue è un estratto dal libro “Nikola Jokić – The Joker” di Marco A. Munno (editore Lab DFG).
I primi ad iniziare a dedicarsi da giocatori al basket in famiglia furono proprio i fratelli Jokić più grandi: stessa passione, stesso fisico massiccio, quasi la stessa età, ma per il resto molto diversi fra loro. Con la carriera a dimostrarlo.
Strahinja non aveva particolari qualità tecniche, ma una grandissima propensione al lavoro duro. Nemanja invece, dotato di molto talento naturale, aveva un’etica professionale piuttosto bassa.
La competitività nelle sfide a casa fra i tre da ragazzini era alta, con Strahinja e Nemanja a inginocchiarsi per permettere letteralmente al Nikola, ben più basso vista la differenza d’età e quindi di sviluppo all’epoca, di restare alla loro altezza nelle partitelle improvvisate al canestrino presente in casa, interrotte solo dai vicini che puntualmente andavano a bussare per far interrompere il frastuono provocato. Quindi, con la crescita del terzetto, i confronti si spostarono poi ai campi all’esterno fino alla separazione.
Perchè, se Strahinja con le sue modeste qualità trovò spazio solo nelle squadre più piccole in patria, Nemanja ricevette la chiamata dagli Stati Uniti nell’estate del 2004 da parte di un caro amico, con cui aveva condiviso diverse esperienze sui campi da quando i due avevano 16 anni, ora diventato famoso. Si trattava di Darko Miličić.
Già, quel Darko Miličić, che nel draft di un anno prima, quello del 2003, aveva fatto già parlare di sé, per poi continuare ad essere menzionato nel corso degli anni, ma in maniera tutt’altro che positiva dal punto di vista cestistico. Venne selezionato nella draft night quasi subito, con la pick numero 2 dai Detroit Pistons: prima di lui solo quel LeBron James già attesissimo nella Lega, soprannominato “The Chosen One” (“Il Prescelto”) senza ancora aver mai messo piede su un parquet della NBA.
Darko Miličić la notte del draft 2003
Dopo di lui, in una classe di draft fra le più ricche di talento di sempre, altri tre giocatori che si ritroveranno in futuro nella Hall of Fame: Carmelo Anthony, finito con la scelta numero 3 ai Denver Nuggets (meglio segnarsi questa cosa: la ritroveremo più in fondo…), Chris Bosh con la numero 4 ai Toronto Raptors e Dwyane Wade con la numero 5 ai Miami Heat.
Un gruppetto di assoluta élite, nel quale Darko si era trovato senza che moltissimi ne capirono il motivo, visto anche il pedigree inferiore con cui si presentò all’appuntamento: certo, l’impatto fragoroso dello stellare tiratore tedesco Dirk Nowitzki nella Lega fu tale che molte squadre, al di là dell’Oceano, erano alla ricerca di un suo emulo e il fatto che i Pistons fossero già una squadra ben strutturata diede una gran spinta al front office per tentare l’azzardo (ad una scelta molto alta nonostante i buoni risultati, derivante da una trade di sei anni prima con i Grizzlies, all’epoca franchigia ancora di base a Vancouver), rinunciando addirittura ad un Carmelo Anthony ben più pronto, corteggiato ma poi lasciato sul tavolo all’ultimo.
In un contesto con queste premesse, Miličić non riusciva assolutamente ad ambientarsi: dopo una stagione in cui fu visto quasi in maniera macchiettistica, mentre gli altri 4 ragazzi già si inserivano in alto nelle gerarchie della Lega, Darko si ritrovò con un titolo di campione NBA nel palmares ma ai margini della squadra, e per cercare di imporsi a Detroit, chiese conforto e compagnia all’amico Nemanja. Che già aspirava ad un’esperienza nei college americani e che quindi accettò prontamente una borsa di studio a Detroit Mercy.
Nemanja Jokić con la canotta dei Titans, la squadra dell’università di Detroit Mercy
Dedicandosi però per un anno e mezzo, fino al passaggio di Miličić ad Orlando, ai Magic, grazie alle possibilità economiche dell’amico a feste, alcol e lussi fuori dal campo, trascurando così il lavoro in palestra. Chiuse una carriera oltreoceano mai decollata a fine annata sportiva 2012/2013 con l’ultima partita ai Scranton/Wilkes-Barre Steamers, curiosamente proprio come Darko con l’ultima in NBA, ai Boston Celtics.
Al ritorno nella città natale di Sombor ritrovò Nikola, lasciato quando aveva solo 10 anni, diventato un ragazzone ormai diciassettenne. Alto intorno ai 2 metri ma con un peso di circa 135 chilogrammi, poco incline al lavoro. Non erano più i tempi in cui Strahinja lo sballottava per casa, bullizzandolo come quella volta in cui Nikola si rifiutò di arrampicarsi su un albero, e per tutta risposta lo schiantò con la schiena contro l’albero, lanciandogli dei coltelli intorno, per “motivarlo”.
Gli istinti cestistici che mostrava negli allenamenti erano sublimi: Nikola aveva la possiblità di diventare il migliore dei 3, incorporando le caratteristiche migliori dell’uno e dell’altro, senza rinunciare al proprio distintivo stile.
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