Un vecchio adagio sostiene che l’Italia è un Paese con 60 milioni di ct della nazionale di calcio. Negli ultimi anni però sono prepotentemente giunti alla ribalta anche quelli che troppo brutalmente vengono definiti “fratelli minori” dello sport più popolare del mondo: il futsal e il beach soccer.
A questo proposito, abbiamo avuto la possibilità di chiacchierare con Matteo Marrucci, attuale allenatore del Pisa Beach Soccer, che tra le altre cose ci ha raccontato come è andato il mondiale da poco terminato in Qatar.
Matteo Marrucci, attuale allenatore del Pisa Beach Soccer
Qual è stato il tuo primo approccio a questo sport? E come lo consideravi prima di iniziare a praticarlo?
“I miei primi calci su sabbia risalgono al 2006 a Viareggio, in un torneo in memoria di un amico scomparso qualche tempo prima, Matteo Valenti. Fino ad allora giocavamo in spiaggia come giocano in tanti in giro per l’Italia, con regole un po’ amatoriali. Grazie a quel torneo entrai nell’ottica del regolamento del beach soccer vero e proprio e fu amore a prima vista. Fino ad allora per me, come per gli altri miei compagni d’avventura, non era uno sport conosciuto, non sapevamo bene cosa fosse. Da quel momento in poi però il beach soccer entrò prepotentemente nelle nostre vite e nella vita della nostra città, Viareggio”.
La differenza col calcio è più marcata rispetto a quella che c’è, ad esempio, col futsal?
“Permettimi di rispondere con una mia frase storica: “Il calcio e il beach soccer hanno in comune il pallone, le porte e le bandierine”. Questo a dimostrazione del fatto che i due sport, per quanto possano sembrare simili, presentano in realtà abissali differenze. In primo luogo la superficie di gioco, che determina in maniera decisiva la logica e i tempi di gioco. La sabbia ti condiziona anche nei movimenti più semplici. Al contrario, col futsal c’è in comune, oltre al numero di giocatori in campo, anche il ruolo del portiere: certo, nel calcio a 5 non è così centrale come lo è nel beach soccer, ma qualche analogia c’è. Nel beach il portiere è fondamentale, è un vero regista della fase d’attacco”.
Qual è il tuo ricordo più bello da giocatore di beach soccer?
“I ricordi belli sono tanti e legati soprattutto alla Nazionale. Penso in particolare al mio gol al Brasile nella semifinale del mondiale 2017. Fu la rete del momentaneo 1-1 ma l’emozione di quel momento, nonostante la sconfitta finale, mi ritorna ancora alla mente con una forza incredibile. Un posto speciale nel mio cuore ce l’ha anche la vittoria della Coppa Italia del 2011 col Viareggio, una squadra appena nata, formata da soli giocatori viareggini, in grado di battere team con campioni di livello internazionale. Eravamo terribili”.
Veniamo al presente: come giudichi l’avventura dell’Italia al mondiale in Qatar?
“Il mondiale è stato positivo. Una medaglia d’argento, per giunta al cospetto di questo Brasile, è sicuramente un ottimo risultato. Se si considera che l’Italia era una squadra molto giovane, questo dà la dimensione del lavoro fatto dai tecnici oltre che del livello del nostro campionato, forse il più competitivo del mondo. Il mio pronostico iniziale era un’Italia tra le prime quattro, direi che ci ho preso. Certo, l’aver vinto il girone ha permesso di evitare incroci pericolosi già dai primi turni ad eliminazione diretta, ad esempio con Brasile e Iran, ma questo a mio avviso è stato un ulteriore merito dei ragazzi”.
Un dettaglio della finale Italia-Brasile
Quali sono state le partite spartiacque per gli azzurri? Credi che il risultato della finale rispecchi i valori espressi dal torneo?
“La finale col Brasile, in tutta onestà, era una partita molto, molto complicata. Il livello tecnico messo in campo dai verdeoro era tra i più alti mai dimostrati in un mondiale, quindi credo che la loro vittoria sia stata del tutto meritata. Il percorso degli azzurri è stato invece piuttosto lineare dal girone fino ai quarti di finale. Ecco, se dovessi individuare la partita che ha dato la consapevolezza ai nostri di potersela giocare con chiunque, è sicuramente la semifinale con la Bielorussia. Fino a quella gara, gli avversari dell’Italia non mi avevano impressionato. La Bielorussia, al contrario, fino a quel momento aveva disputato un mondiale quasi perfetto. Averli battuti ai rigori è stata la dimostrazione che questo gruppo ha dei valori importantissimi e che la base di partenza per costruire qualcosa di ancora più solido è lì da vedere”.
Tornando al personale, da qualche anno sei allenatore: come sta andando?
“Questa ormai è la settima stagione e l’abitudine al ruolo ha chiaramente preso il sopravvento. Ammetto che nelle prime partite soltanto da allenatore, dopo che i primi due anni col Pisa ero stato allenatore-giocatore, mi sono sentito veramente un leone in gabbia. Ci è voluto un po’ di tempo per terminare la transizione, chiamiamola così, ma credo sia normale”.
In Germania e Olanda hai allenato delle selezioni: quali differenze hai notato rispetto alle tue esperienze nei club?
“La differenza principale è il tempo a disposizione. Quando alleni un club per una stagione, tutto si svolge nell’arco di tre mesi e in quel periodo il contatto con i giocatori è praticamente quotidiano. Riesci ogni giorno a imbastire un lavoro tattico, tecnico, condizionale. Ecco, la mano dell’allenatore è veramente decisiva lavorando con una squadra di club. Nel caso delle Nazionali, penso ad esempio all’esperienza con la Germania, seppure anche in quel caso il tempo a disposizione era circa tre mesi, la frequenza con cui potevo allenare i giocatori era decisamente inferiore: capitava di poterci lavorare per cinque giorni filati, poi li rivedevo dopo quasi un mese per disputare una competizione. In questo modo non si riesce a stabilire un piano di lavoro definito”.
Attualmente fai parte del Technical Study Group insieme, tra gli altri, ad Arsène Wenger. Di cosa vi occupate esattamente?
“È stato un grande onore essere inserito in questo gruppo che, ci tengo a precisare, viene formato per ogni competizione FIFA. Il mio rapporto lavorativo è stato principalmente con Pascal Zuberbühler, ex portiere della nazionale svizzera di calcio. Wenger purtroppo non è stato fisicamente con noi a Dubai e quindi ci sono state meno occasioni per poter discutere con lui. Zuberbühler invece spesso ci raccontava che al Mondiale 2006 è stato eliminato senza aver subito gol: ogni occasione era buona per rimarcare quanto lui fosse più forte di Buffon (ride, ndr)”.
Pascal Zuberbühler, membro del Technical Study Group
Quest’anno ripartirai alla guida del Pisa dopo lo storico successo nella Supercoppa della scorsa stagione: quali sono gli obiettivi tuoi e della squadra?
“Sì, un successo che però – è giusto sottolinearlo – nasce da quelli in campionato e Coppa Italia nelle stagioni precedenti. Purtroppo l’anno scorso ci è mancata la Euro Winners Cup (la Champions League del beach soccer, ndr) che abbiamo perso in finale ai rigori e che era il nostro principale obiettivo. Col Pisa negli ultimi tre anni abbiamo giocato la bellezza di nove finali. Quest’anno la rosa è un po’ cambiata ma l’obiettivo è sempre mettere in bacheca trofei, con un occhio di riguardo alla Euro Winners Cup, naturalmente”.
La vittoria della Supercoppa Italiana
Sei stato inserito nella lista dei 40 migliori allenatori di beach soccer per il 2023: allenare la nostra Nazionale è un sogno o una reale possibilità?
“È senza dubbio la mia massima ambizione. Sarebbe un onore essere scelto per questo incarico. L’amore per la maglia azzurra me lo porto dietro dalle mie esperienze da giocatore e tre Mondiali sono lì a testimoniarlo. Detto questo, l’attuale CT Del Duca sta facendo un lavoro meraviglioso, ha vinto due Europei e fatto due finali mondiali: per adesso la nostra Nazionale è in buone mani”.
Qual è secondo te lo stato di salute del beach soccer italiano? Vedi analogie con quanto sta capitando al “fratello maggiore” calcio o secondo te sono mondi totalmente separati?
“Ogni anno vedo il beach soccer progredire rispetto al precedente. Ad esempio nel tempo sono stati creati un campionato Under 20 e uno femminile; come detto la nazionale maschile sta attraversando un periodo splendido. Nonostante ciò io credo comunque che si possa fare di più a livello di movimento, a partire dal non limitare la stagione del beach soccer a pochi mesi all’anno. L’altro aspetto fondamentale è riuscire finalmente a scindere le carriere dei giocatori di beach da quelle dei calciatori, così da specializzare ancora più e meglio i nostri atleti. Rispetto allo stato di salute del calcio invece preferisco non pronunciarmi, ma posso dire che di certo la separazione delle carriere farebbe bene sia a noi che a loro”.
Marrucci all’opera come CT della Germania
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