Una storia di calcio e di vita estremamente potente, tanto da aver ispirato il famosissimo film Fuga per la Vittoria. È il racconto di un match realmente disputato ma sulle cui conseguenze ci sono contorni sfumati e romanzati al punto da sfociare nella leggenda mista alla propaganda sovietica e anti-nazista.
Si tratta della breve vita di una squadra di calcio chiamata Start e di un match diventato noto come “la partita della morte”.
Contesto storico
Siamo nel 1942, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, a Kiev, una delle città sovietiche più provate dal conflitto. L’attuale capitale dell’Ucraina è reduce da una battaglia sanguinosissima che, a cavallo tra agosto e settembre dell’anno precedente, ha portato all’occupazione della città da parte delle truppe tedesche.
Nel pieno dell’Operazione Barbarossa, la Wehrmacht ha condotto una manovra di accerchiamento tremendamente efficace con conseguenze terribili: un bilancio di oltre 600.000 morti tra i soldati sovietici di stanza nella zona situata tra la Desna ed il Dnepr, la sacca di Kiev.
La tensione e la paura in città sono palpabili e gli uomini al servizio del Terzo Reich vorrebbero mantenere un certo grado di serenità. E quale passatempo migliore del calcio per risollevare il morale del popolo? In un momento in cui i campionati nazionali sono sospesi, le truppe di Hitler decidono di istituire un torneo cittadino, così da fornire qualche momento di svago e spensieratezza dagli orrori della guerra.
Alla competizione però, non avrebbe partecipato la Dinamo Kiev. Nel mondo sovietico, infatti, il Ministero dell’Interno ha istituito alcune squadre con un profondo legame con alcuni corpi speciali di polizia, identificate proprio dalla denominazione “Dinamo”. Chiaro quindi lo scarso gradimento da parte del Führer. La squadra è ritenuta un’emanazione diretta del governo. Stessa sorte tocca anche alla Dinamo Tbilisi e alla Dinamo Mosca. Stando così le cose, a seguito dell’invasione di Kiev, la Dinamo viene sciolta e i suoi calciatori dapprima internati nel lager di Darnitsa e successivamente separati dalle loro famiglie trasferite a Odessa. Saranno liberati solo dietro giuramento di fedeltà al regime nazista.
Alcuni di loro vagano per la città, privati del vecchio lavoro e in cerca di sostentamento. Finché un’occasione bussa alla loro porta.
Il panificio del rilancio
Una figura cruciale per il neonato campionato è un uomo che non ha nulla a che fare con il mondo del calcio, se non per la sua grande passione in materia. Si tratta di Iosif Ivanovič Kordik, un cecoslovacco emigrato a Kiev ed ex soldato dell’esercito austro-ungarico durante la Prima Guerra Mondiale. Con arguzia, al momento dell’invasione della Wehrmacht, finge di essere austriaco grazie alla conoscenza del tedesco acquisita durante la militanza nelle file dell’Impero, circostanza che gli vale la protezione da parte degli invasori.
Avvalendosi della sua conoscenza della città e ritenendolo uno di loro, i tedeschi garantiscono a Kordik un ruolo strategico, ovvero quello di gestore di un’attività importante in un momento di razionamento degli alimenti, un panificio.
Una mattina Kordik entra in un bar e riconosce tra gli avventori un ragazzo mal ridotto, poco più che un vagabondo ma con un segno particolare, inconfondibile per un appassionato di calcio come lui: una cicatrice sul volto, procurata in uno scontro di gioco in uscita sull’attaccante avversario.
Il ragazzo è Nikolaj Trusevič, portiere della Dinamo Kiev, ormai derelitto e in rovina dopo esser stato liberato da Darnitsa. Kordik si ferma a parlare con lui e decide di offrirgli un lavoro al panificio che Trusevič accetta con entusiasmo. Il benefattore propone al suo nuovo dipendente di cercare gli altri compagni, così da garantirgli un posto in cui stare, dei fondi per vivere e soprattutto protezione dai tedeschi che, pur avendo concesso loro la libertà, sono ancora diffidenti e tutt’altro che amichevoli.
Alla fine, il panificio radunerà altri sette ex Dinamo Kiev e tre calciatori della Lokomotiv Kiev. In tutto undici lavoratori, proprio come una squadra di calcio, una coincidenza che non cadrà nel vuoto.
Trusevič in uscita plastica alla Dinamo Kiev
Start
Undici ex calciatori in mano ad un appassionato, perché non farne una squadra vera e propria? I ragazzi si mostrano subito d’accordo, decidendo di partecipare al campionato organizzato dalla Wehrmacht. La formazione messa in piedi da Kordik prende il nome di Start.
Una parola evocativa, che evidenzia l’intento di mettersi alle spalle il recente passato fatto di angherie e di dolore. Ripartendo dal calcio, la volontà è quella di restituire un sorriso alla gente e, perché no, anche ai calciatori in rosa, colpiti dalla guerra, dalla detenzione forzata, dalla fame data da mesi a tentare di sbarcare il lunario senza un lavoro, con la propria dimora a rischio per le persecuzioni del regime tedesco.
I mezzi a disposizione non sono molti e ci si arrangia con quel che si può. Lo Start partecipa con un’unica divisa, una maglia di lana rossa poco adeguata al periodo estivo in cui il campionato sarebbe iniziato. Anche il colore è una coincidenza che agevolerà la creazione degli aspetti favolistici che avvolgeranno una squadra divenuta leggendaria.
La formazione dello Start è la seguente: Trusevič, Balakin, Svyrydovs’kyj, Tjutčev, Klymenko, Korotkikh, Sucharev, Komarov, Mel’nik, Kuz’menko, Hončarenko.
Non avrà il peso di un campionato ufficiale ma il ritorno al calcio rinfranca lo spirito di tutti i ragazzi. Trusevič, che aveva chiamato a raccolta i compagni, verrà nominato capitano, mentre l’allenatore sarà l’ex Dinamo Kiev Mikhail Putistin, che alla bisogna avrebbe rappresentato anche un sostituto per la mediana.
Sono tutti pronti a rituffarsi nel calcio giocato, seppur tra le mille difficoltà date dalla precaria salute degli undici protagonisti e dall’assenza di mezzi adeguati: non solo le maglie fuori stagione con le maniche rimboccate, a tutti mancano gli scarpini, ad eccezione di Makar Hončarenko che non se ne era mai privato.
Dominio totale
Al campionato della Wehrmacht partecipano altre sei squadre: la Ruch, altro undici locale di ex calciatori ucraini dimostratisi vicini al regime nazista, e cinque squadre “militari”: soldati semplici tedeschi, truppe ungheresi, truppe romene, ufficiali ungheresi e soprattutto una selezione chiamata a dominare il campionato, il Flakelf, composto dai migliori atleti a disposizione del regime.
I ragazzi di Kordik sono mal visti per ovvi motivi: sono potenzialmente competitivi e, soprattutto, sono gli unici partecipanti schierati contro il regime nazista.
L’esordio si gioca allo Stadio Repubblicano Stalin (l’attuale Stadio Olimpico di Kiev): è un insidioso derby contro la Ruch. Nonostante gli avversari fossero ex calciatori professionisti, il match è senza storia: 7-2 per lo Start. Ne nasce subito un piccolo caso diplomatico che, respinta una mozione di esclusione grazie alle abilità persuasive di Kordik, porta lo Start a giocare le sue partite in un piccolo campo periferico, lo Stadio Zenit, così da avere meno visibilità visto il pericoloso livello di competitività.
Ma sono i risultati a parlare per i ragazzi in maglia rossa: 6-2 alle truppe ungheresi, addirittura 11-0 a quelle romene, 6-0 ai soldati tedeschi e 5-1 agli ufficiali magiari. Per le strade di Kiev la gente parla di questi ragazzi in maglia rossa, innalzando il colore della divisa da elemento casuale a simbolo della resistenza comunista all’opposizione nazista.
Le alte sfere della Wehrmacht, percependo la minaccia crescente dello Start, decidono di mettere alla prova l’imbattibilità della squadra di capitan Trusevič. L’ultimo incontro viene annullato e imposto un rematch pochi giorni dopo, contando sulla prestanza atletica degli ufficiali ungheresi al cospetto dei fisici provati da mesi di sofferenza dei calciatori ucraini. Niente da fare, i ragazzi in rosso faticano ma vincono ancora col punteggio di 3-2. Per il regime è tempo di soffocare quest’onta una volta per tutte.
La partita della morte
Il 6 agosto si gioca Start-Flakelf. Altro match senza storia, 5-1 per lo Start contro i migliori elementi a disposizione del regime. Un affronto da vendicare. La Wehrmacht impone un altro rematch tre giorni dopo, con un Flakelf potenziato da altri atleti impegnati al fronte in Ucraina.
Il 9 agosto 1942, di fronte a 2.000 spettatori si gioca quella che passerà alla Storia come “la partita della morte”. La tensione è palpabile: gli spalti dello Stadio Zenit sono pieni di soldati tedeschi armati e in città l’evento ha ricevuto una pubblicità senza eguali per un incontro di calcio in periodo bellico. Poco prima dell’ingresso in campo, l’arbitro si rivolge ai giocatori dello Start con un diktat: in campo tutti devono eseguire il saluto nazista. I ragazzi in maglia rossa disobbediscono, salutando il pubblico con il classico “Fizkult Privyet” – motto utilizzato dalle truppe sovietiche per sottolineare l’importanza di una cultura basata sull’allenamento.
Il primo tempo si chiude sul 3-1 per lo Start, trascinato da una doppietta di Hončarenko. Tuttavia la cronaca racconta già nei primi 45 minuti di alcune situazioni sospette. La versione ufficiale riporta che i giocatori del Flakelf hanno picchiato senza sosta gli avversari rimanendo impuniti, favoriti da un arbitraggio palesemente schierato. Inoltre, nell’intervallo un ufficiale delle SS si presenta negli spogliatoi dei ragazzi di Kordik. Fa loro i complimenti ed esorta a giocare un secondo tempo da grande squadra. Ma se non perderanno le conseguenze saranno terribili.
Al rientro in campo, il Flakelf pareggia subito ma l’inerzia cambia nuovamente. Trusevič para un rigore, incitando i compagni con frasi del tipo “per certe cose vale la pena morire”. Messaggi recepiti dagli altri dieci in campo che segnano subito due gol e sprecano volontariamente il terzo nel finale, con Klymenko che salta tutti e spazza via la palla sulla riga anziché segnare, con sguardo di sfida ai soldati nazisti sugli spalti.
Finisce 5-3 ma il post-partita sarà lungo, più lungo dei 90 minuti regolari.
Manifesto pubblicitario del match
Un post-partita terribile
C’è poi un’altra partita, ancora contro la Ruch: 8-0 senza appello. Sarà l’ultima. Ad appena nove giorni dalla “partita della morte”, il 18 agosto, un’auto tedesca si ferma davanti al panificio di Kordik con una lista di nominativi. Sono quelli dei membri dello Start, catturati senza troppe cerimonie dalla Gestapo, la polizia segreta nazista. Con esiti molto diversi.
Il 6 settembre arriva il primo, ferale verdetto. La Gestapo ha scoperto che uno dei calciatori, Mykola Korotkykh, è un ufficiale dell’omologa polizia segreta sovietica. Per lui il destino è segnato: fucilazione.
La polizia del regime rilascia Mikhail Putitsin e i tre giocatori della Lokomotiv, Vladimir Balakin, Vasilij Sucharev e Michail Mel’nik, ordinando invece la deportazione nel campo di concentramento di Syrec degli altri membri ex Dinamo Kiev. In quanto calciatori della Dinamo, sono considerati a tutti gli effetti diretta emanazione del governo sovietico e, come tali, nemici di guerra alla stregua dei soldati.
Tre di loro non lasceranno mai Syrec: Klymenko, Kuz’menko e proprio capitan Trusevič verranno uccisi il 24 febbraio 1943, Svyrydovs’kyj e Hončarenko riusciranno a fuggire, mentre Komarov accetterà di passare tra le file del nemico pur di sopravvivere. Non è dato sapere, invece, il destino di Tjutčev.
Lo Start diventa icona di un ideale, i suoi giocatori eroi e martiri, anche grazie a molte iniziative durante il governo Bréžnev. In particolare, lo Stadio Zenit viene ribattezzato Start Stadium, vengono eretti tre monumenti in memoria delle gesta di questi ragazzi e, dopo l’uscita del film Il Terzo Tempo, nel 1965 il Soviet Supremo tributò i cinque superstiti con una medaglia al valore, estesa postuma anche ai quattro atleti assassinati.
Ma, a dispetto della propaganda sovietica, il tempo porta a galla alcune incongruenze.
Monumento per le vittime dello Start al Dynamo Lobanovs’kyj Stadion
Verità o leggenda?
Con lo scioglimento dell’URSS è venuto meno anche il controllo sulla ricerca e la stampa e sono iniziate ad emergere voci contrarie alle versioni ufficiali.
Dapprima con opere e articoli che dubitano di quanto raccontato, derubricando lo scioglimento anticipato del campionato ad un semplice atto finalizzato ad evitare alle truppe tedesche nuove umiliazioni ma senza le conseguenze truci di cui si è sempre parlato, successivamente grazie ad alcune testimonianze dirette.
Nel 1992 Hončarenko, dominatore del match nel primo tempo, disse che l’invito dell’arbitro nel prepartita era stato fortemente romanzato, riportando il vero messaggio del direttore di gara.
So che siete una squadra forte. Vi raccomando solo di giocare correttamente e di stringere la mano ai vostri avversari.
Dieci anni dopo è il figlio di Putitsin, che quel giorno aveva otto anni ed era in tribuna ad assistere all’incontro, a ridimensionare ulteriormente la portata dell’evento:
Non assistetti a un incontro all’ultimo sangue. Certo sul terreno di gioco c’era tensione ma non ricordo interventi assassini, entrate spaccagambe. Tutto era piuttosto tranquillo.
Anche alcuni eventi del match, come il rigore parato da Trusevič e le sue frasi motivazionali, analogamente al gol volutamente sbagliato da Klymenko paiono essere stati aggiustamenti del Soviet a supporto di una narrativa propagandistica e finalizzata a far passare i calciatori dello Start come eroi.
Con il tempo sono emersi racconti totalmente contrastanti, che riporterebbero addirittura di una foto tra calciatori dello Start e del Flakelf tutti insieme, abbracciati e sorridenti.
Saluto nazista al momento dello schieramento
Vittime di Syrec
La domanda però a questo punto sorge spontanea. Ma se tutto è stato romanzato, perché allora i calciatori dello Start sono stati catturati e deportati? Se per Korotkykh la versione ufficiale rimane confermata, ci sono forti dubbi sulle altre vittime condotte nel campo di concentramento di Syrec.
Oltre all’appartenenza alla Dinamo e alla conseguente considerazione al pari di soldati dell’esercito sovietico, alcune fonti non confermate riportano di un evento scatenante avvenuto al panificio. In particolare, alcuni lavoratori avrebbero messo dei pezzi di vetro nel pane acquistato dai soldati nazisti, al fine di causarne la morte.
Non è chiaro quanto ci sia di vero, di certo anche questo è stato un atto di resistenza, che nulla toglie all’assurgere ad eroi per il popolo ucraino i protagonisti di quel breve torneo.
E anche se la credibilità dell’evento è stata minata, la “partita della morte” è rimasta un baluardo della cultura calcistica e politica del mondo sovietico, ispirando grandi film come Fuga per la Vittoria e Match e, in tempi recenti, capace di dividere l’opinione pubblica ucraina sull’opportunità di avallare tesi portate avanti dal governo di Mosca.
Di quel giorno restano dei memoriali davanti allo Start Stadium, al Dynamo Lobanovs’kyj Stadion ed a Syrec. Ma soprattutto la storia di una squadra entrata nel mito con appena nove partite giocate.
L’ingresso dello Start Stadium. Dall’arco centrale si intravede il monumento dedicato agli eroi della “partita della morte”
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