“Te ne intendi di ippica?”
Se seguite il calcio in Italia avrete sicuramente sentito l’attuale allenatore della Juventus, Massimiliano Allegri, rivolgere questa domanda ad un giornalista in una conferenza stampa. Era l’aprile del 2019 ed i bianconeri si giocavano lo scudetto con il Napoli di Sarri. In quell’intervento Max spiegava come nel calcio, e nello sport in generale, quel che conta è il risultato e non la misura dello stesso. Ecco che, con tanto di inconfondibile gestualità, raccontò cosa fosse il corto muso, la distanza minima possibile nelle corse di cavalli che però permette di vincere (o perdere) una corsa. Questo preambolo per raccontarvi quanto questo mondo permei la nostra quotidianità. Quanto anche personaggi famosi siano coinvolti nell’universo delle corse di cavalli, da molti sconosciuto e spesso apostrofato con accezione negativa.
Dall’ippica alla quotidianità
Molti modi di dire che usiamo comunemente derivano dalle corse dei cavalli in quanto il cavallo accompagna da secoli l’evoluzione della civiltà umana. L’ippica è uno sport antichissimo che affonda le sue radici addirittura nell’antica Grecia e nell’antica Roma con le corse con le bighe. Si è evoluta nei palii medievali e rinascimentali con i cavalli montati a pelo (Palio di Asti nel XII secolo e Palio di Siena nel 1600). Per giungere fino a noi dalla seconda metà del ‘700 con le corse cosiddette moderne. In Inghilterra i nobili inglesi iniziarono a sfidarsi a chi possedeva il cavallo più veloce gettando così le basi per le corse come le conosciamo oggi.
Proprio da qui, ad esempio, nasce la parola derby termine conosciuto in tutto il mondo per descrivere una sfida importante e sentita. Una sfida tra Lord Bunbury e Mr. Stanley, Conte di Derby che volevano intitolare a proprio nome la corsa. Per la fredda cronaca, soltanto una monetina indirizzò la storia che tutti conosciamo.
Forse non lo sapete, ma dall’ippica viene anche il detto “vincere a mani basse”. Traducibile con “una facile vittoria”, in virtù del fatto che il fantino non ha dovuto sostenere il suo cavallo per avere la meglio sugli avversari ma ha bensì tenuto le mani sul collo, le così dette mani basse.
L’influenza italiana nel mondo ippico
Si potrebbe andare ancora avanti ma quello che voglio fare è raccontarvi alcune storie in piccole pillole, come per esempio la storia della Razza Dormello Olgiata e del Senatore Federico Tesio. Certo, le corse nascono in Inghilterra, ma il mago di Dormello ha allevato e selezionato i migliori purosangue inglesi le cui linee di sangue troviamo ancora oggi nella maggior parte dei campionissimi in giro per il mondo; nel suo allevamento e con la sua maestria ha creato e plasmato una marea di cavalli, ma la sua opera d’arte è senza dubbio Ribot, il cavallo del secolo, che riuscì nel secondo dopoguerra a vincere tutte le corse disputate in carriera tra cui per due volte il prestigiosissimo e ricchissimo Arc De Triomphe (appuntatevi questa corsa, ne riparleremo).
Frankie Dettori: la leggenda
Vi posso raccontare di Lanfranco Dettori: il fantino più bravo e conosciuto al mondo, sì signori, è italiano. All’età di 14 anni il figlio del fantino sardo Gianfranco Dettori detto “il mostro“ per il suo straordinario talento, fu spedito a Newmarket nella patria del cavallo da corsa, un luogo incantato dove si respirano corse h24, ad imparare il mestiere. Lì il piccolo Frankie è diventato un Re vincendo a ripetizione tutte le corse più importanti del paese e, poi, del mondo. Autentico personaggio, genuino e solare, in punta di redini ha regalato magie e capolavori in tutti gli ippodromi del mondo.
Ha vinto in tutti i paesi ippicamente evoluti regalando al pubblico lampi di classe sopraffina paragonabili ai più grandi sportivi che vi vengono in mente. Sportivamente parlando siede al tavolo con gente come Valentino Rossi, Lebron James, Federer, Hamilton, Ronaldo. È uno da gin tonic con la Regina Elisabetta, grande amante dei cavalli da corsa, a Palazzo Reale, non proprio una cosa da comuni mortali. Un talento smisurato accompagnato sempre da un grande sorriso ne hanno fatto un’icona riconosciuta, un fantino intergenerazionale e trasversale.
Capace di vincere tutte e 7 le corse di una giornata ad Ascot, impresa che gli è valsa nientemeno che un murales fuori dall’ippodromo più importante del mondo: si sono scritti libri sulle gesta di Frankie ma il vero spettacolo è ammirarlo montare in corsa.
Cavalli e sportivi: binomio inscindibile
Si è parlato di uomini perché naturalmente dietro a questo mondo ci sono veri e propri artisti, che operano con le mani e l’ingegno per portare i cavalli a esprimere il loro massimo potenziale. Ma sono proprio loro, i cavalli, i veri protagonisti di questo magico mondo. E alcuni di loro sono letteralmente immensi, come ad esempio il mito Frankel, l’imbattuto figlio del sommo Galileo, che ha avuto una carriera immacolata e costellata esclusivamente da vittorie dirompenti. Un treno su quattro zampe con una potenza mai vista prima che gli ha permesso di prendersi anche l’eredità di suo padre, diventato dopo le corse uno dei principali stalloni mondiali.
Il mondo dell’ippica coinvolge inoltre tanti personaggi del mondo dello sport che sono proprietari di cavalli da corsa, da Tony Parker a Carlo Ancelotti da “Mister corto muso” Massimiliano Allegri ad Antoine Griezmann, e mille altri se ne potrebbero elencare, ma ciò che veramente è speciale è l’emozione di andare a vedere le corse all’ippodromo, in particolare le palpitazioni che regala la regina delle corse: l’Arc de Triomphe a Parigi.
La corsa delle corse: L’Arc De Triomphe
Dal 1920, nella prima domenica di ottobre, la tradizione si ripete ogni anno e va in scena la corsa più importante del mondo, non per moneta – qui gli sceicchi sono arrivati decenni prima che nel calcio e la corsa più ricca si disputa in Arabia Saudita – ma per fascino e caratura tecnica. Andare all’ippodromo di Paris Longchamp nel weekend dell’Arc (una due giorni di corse in cui ogni anno siamo nell’ordine dei 60.000 spettatori) è un’esperienza unica e impagabile: eleganza, cultura, bellezza in ogni sua forma, adrenalina, spettacolo, moda, lusso. Qui arrivano i cavalli più forti del mondo al loro picco massimo di forma, montati dai migliori fantini del pianeta. Si ritrovano personaggi dello spettacolo e dello sport: sembra di assistere ad un gran premio di Formula 1 con la differenza che con i cavalli da corsa, con un po’ di fortuna e un gran lavoro, anche un piccolo proprietario può sognare di competere con i grandi del mondo senza investimenti milionari.
L’emozione del Paris Longchamp
La routine è consolidata. Ci si sveglia intorno alle 8.30 e si fa colazione in compagnia del Paris Turf, il giornale francese che parla di corse.
Non serve sapere la lingua perché il linguaggio delle corse è universale e allora pagina dopo pagina, prestazione dopo prestazione, dopo aver studiato tutte le corse e percorrendo le splendide strade parigine, ci si avvicina all’ippodromo e si inizia a respirare l’atmosfera del grande evento. Certo, il biglietto di ingresso è un salasso ma è un investimento che ripaga importanti dividendi perché appena varcati i cancelli la meraviglia si dipinge sul viso.
L’ippodromo, grazie ai fondi del Qatar e del principe qatariota Nasser Al Khelaifi, proprietario del Paris Saint Germain, è stato rifatto recentemente ed è un gioiello di architettura, con il colore oro delle tribune a dominare il verde smeraldo del mantello erboso di una pista sempre perfetta anche quando capita che la pioggia la faccia da padrone.
Una volta ritornata un’espressione meno inebetita sul volto, si cerca dove e cosa mangiare: non inganni la magnificenza dei colori e dei materiali, l’ippica è certamente lo sport dei re, ma anche in una cattedrale come questa l’organizzazione va incontro a tutte le esigenze e tutte le tasche.
Un’esperienza mozzafiato
Cibo e vino francese, ovviamente, per calarsi più nel clima, ed è tempo della prima corsa. Una scappata al tondino di presentazione, dove i cavalli vengono mostrati al pubblico e dove gli allenatori spiegano la tattica ideale di corsa ai loro fantini. Siamo completamente immersi nel pathos della competizione; intorno, le decine di migliaia di persone con il loro chiacchiericcio trasportano in un mondo a sé stante, altro rispetto a quanto fino a poche ore prima avevamo vissuto; si osservano i cavalli nel fisico e nelle movenze e, perché no, nel carattere cercando di captare ogni dettaglio.
Poi fantini in sella e via in pista; questo è il momento in cui tendenzialmente chi vuole piazza la sua scommessa, ma la bellezza che circonda i presenti e l’atmosfera così coinvolgente in qualche modo sospingono, come su un’altalena, verso le tribune alla ricerca del posto migliore. Qui non esistono posti assegnati: vige la legge del “chi prima arriva meglio alloggia”.
Se si è particolarmente fortunati, si riesce a posizionarsi in postazioni veramente di prim’ordine, come ad esempio appoggiati allo steccato a bordo pista in modo da vedere la corsa dal maxischermo gigante e la parte finale dal basso dalla pista.
Provare a girarsi a indietro un attimo prima di partire fa trattenere il fiato: il colpo d’occhio della tribuna è da pelle d’oca.
Ma ecco che si aprono le gabbie, partiti! E un brivido attraversa la schiena, perché il boato del pubblico all’apertura delle gabbie non ha niente da invidiare a quello che si ascolta appena terminato l’inno della Champions League.
La corsa e l’adrenalina
La corsa è adrenalina pura che brucia in pochi minuti. E non conta aver scommesso o meno perché il coinvolgimento ormai è totale e il tifo per qualcuno che ci ha particolarmente impressionato al tondino si fa sempre. Vedere sfrecciare quelle saette davanti agli occhi a quella velocità è poesia in movimento. La corsa termina sempre con un altro boato, quello per il vincitore.
Si torna, così, al tondino a vedere la premiazione e i festeggiamenti, finiti i quali si riparte per la corsa successiva e via così fino ad arrivare alla corse delle corse, l’Arc De Triomphe.
È una gara unica per bellezza, storia, fascino e qualità. Ha una borsa di 5 milioni di euro, e nessun cavallo è mai riuscito a vincerla tre volte (Ribot, per esempio, ne ha vinte due). È una corsa che vale una carriera per tutti: cavallo, proprietario, allenatore e fantino (Lanfranco Dettori l’ha vinta “solo” sei volte, recordman di sempre).
È come la finale di Champions League, un evento per cui vale la pena dire “io c’ero”.
L’edizione 2019: appuntamento con la storia
Nell’edizione del 2019, probabilmente una delle più iconiche, la campionessa Enable con il mito Frankie in sella cercavano uno storico tris. Nelle due precedenti edizioni, infatti, aveva vinto ed anche in questa edizione, Enable era più che mai la favorita. Mai però fare i conti senza “madame Storia”.
In corsa, agli ultimi 400 metri passò in testa. La tribuna era letteralmente in delirio: tutto il tifo era per lei e per Frankie, come a sospingere il duo per spezzare la maledizione. Il destino però, si sa, può essere perfido e inesorabile e dalle urla di gioia gli appassionati di Parigi si ammutolirono, calò letteralmente il silenzio. La campionessa aveva mancato l’appuntamento con la storia. Decisivi furono gli ultimi 100 metri dove, con un prorompente cambio di marcia, Waldgeist conquistò un insperato alloro.
Il tributo a due campioni
Al rientro post corsa tutto il pubblico tributò alla campionessa e a Frankie un ‘ovazione. Nello sport si vince e si perde ma l’importante è dare l’anima, e loro l’avevano fatto.
Un anno prima si era assistito ad un finale trionfante. Una festa infinita per questo irripetibile binomio Enable/Frankie, ma questa volta le cose erano andate diversamente.
Nota di colore: c’erano plotoni di tifosi venuti dall’Inghilterra con le sciarpe della scuderia di Enable come fossero ultras, giunti in massa per sostenerla. L’intero mondo delle corse era lì per vedere la storia compiersi ma sfortunatamente le cose andarono diversamente.
Ippica: passione sfrenata
Certo, il contesto significa molto, ma a qualsiasi latitudine vi troviate ad assistere ad una corsa, ciò che succede scandirà sempre gli stessi ritmi.
Prima della corsa il cuore batte forte, quando i cavalli iniziano a galoppare lo sentirete andare a mille. Mesi di lavoro di sogni e di speranze si sublimano in quasi mezza tonnellata di muscoli che sfreccia a più di sessanta all’ora.
E non importa se il cavallo è vostro o se lo tifate, quando si aprono le gabbie gli occhi sono inchiodati lì e il sogno mette le ali. Chi non è mai stato a vedere una corsa di cavalli non sa cosa si è perso.
Ma per viverla come si deve occorre lasciarsi trasportare: il mondo dei cavalli non è solo scommessa, è passione.
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