Dopo dieci anni di collaborazione con Adidas, nel 2017 la NBA decide di cambiare sponsor tecnico per mettersi nuovamente nelle mani di Nike. Un cambiamento di rotta particolarmente apprezzato vista la scarsa originalità e le scelte non particolarmente illuminate del brand tedesco. Adidas, in perfetto stile teutonico, nel periodo di collaborazione con la lega ha sempre mantenuto una linea molto sobria, limitandosi allo stretto indispensabile con poche edizioni speciali, come le Christmas Edition o quel gigantesco fiasco delle t-shirt da gara. Divise che per qualcuno evocano ancora ricordi molto dolci (chiedete a qualsiasi tifoso Cavs, a patto che ne conosciate), ma che, nella maggior parte dei casi, restituivano un effetto pigiama poco adatto a un campo da basket. Per maggiori informazioni, citofonare in casa Clippers.
Le divise presentate da Adidas per le partite di Natale 2015: pochissimi fronzoli, con l’unico tocco fuori dagli schemi dato dal font e dai colori molto tenui.
Fase 1: Nascita
Nike entra a gamba tesa in un mercato assopito ormai da tempo e, come prima cosa, inverte la rotta. L’NBA è un fenomeno globale, la lega più seguita al mondo e di riflesso anche il merchandising dedicato genera utili da capogiro. Bisogna sfruttare il più possibile questa gallina dalle uova d’oro. E quale miglior modo per farlo, se non presentare subito nuove collezioni di divise con uno stile completamente in controtendenza con il passato?
L’idea di Nike si rivela subito vincente. Presentare un’alternativa in grado di spezzare la monotonia tra divisa home e away porta immediatamente nuova linfa a un settore statico. Il colpo di genio è dunque fare leva sull’elemento che più di tutti fidelizza un tifoso: il fattore identitario. Il 27 dicembre 2017 la casa dello Swosh annuncia una nuova collezione per sancire il legame delle franchigie alle città che rappresentano. Un modo per “onorare i fan che da 41 anni, si recano in pellegrinaggio al palazzetto con una passione che descrive a pieno l’identità di ciascuna singola squadra“, per citare il comunicato di Nike.
Ed ecco che improvvisamente i giocatori si trovano a vestire sul parquet delle autentiche chicche. Divise studiate nel minimo dettaglio, tutte con un forte richiamo con il territorio o la storia della franchigia. I creativi di Nike raggiungono vette notevoli con i Magic, con la proposta audace e suggestiva di un cielo stellato a richiamare il fascino del mondo Disney da sempre legato alla città di Orlando. Per i Warriors disegnano un dragone stilizzato dietro il Golden Gate per commemorare la comunità asiatica della Bay Area. Molto elegante è il tributo offerto al celebre corpo dei Vigili del Fuoco di New York da parte dei Knicks. Una divisa estremamente semplice ma che convince a pieno tutti, al contrario delle proposte degli anni a venire.
Grande successo avranno le divise in omaggio a figure cardine delle rispettive franchigie. Per i Raptors, il frutto della collaborazione con Drake, da sempre global ambassador dei canadesi, porta a un total black con dettagli oro. Per i Lakers la dedica a Kobe si riassume in una canotta semplice all’apparenza (completamente nera con inserti giallo evidenziatore), ma con il finissimo dettaglio della pelle squamata di un serpente su tutto il tessuto. Il Black Mamba.
Insomma una serie di proposte molto frizzanti, varie e originali, con la vetta raggiunta dall’autentico colpo di genio avuto con Miami. Riprendendo lo stile vaporwave della Miami Vice degli anni ’80, Nike lancia questa autentica bomba nel mercato delle NBA jersey. Una divisa talmente amata che verrà ripresa con tutti le combinazioni di colori possibili e che più di una volta i tifosi hanno richiesto come nuova uniforme ufficiale.
Ovviamente fare 30 su 30 è praticamente impossibile e non mancano, anche all’esordio, lavori molto meno convincenti e pigri.
L’effetto “pelo di lupo” cercato da Minnesota, il camouflage degli Spurs o le anonime proposte di Wizards e Thunder sono i pochi passaggi a vuoto di questa prima collezione. Sono dei casi isolati che incidono poco sul giudizio complessivo ma che cominciano a delineare la tendenza per alcune squadre ad avere delle proposte sempre discutibili (Washington e OKC appunto). Il progetto è ampiamente promosso dagli addetti ai lavori e dai fan, ben felici di poter indossare le divise della propria squadra così dettagliate e ben caratterizzate. Gettate le basi, ora Nike deve alzare l’asticella.
Fase 2: Crescita
Le idee sono tante e nel quadriennio successivo i design sono estremamente vari e azzeccati, alcuni addirittura folli. Ed è proprio la varietà il punto di forza delle nuove proposte.
Gli Spurs, per esempio, abbandonano la loro storica austerità e scelgono di rievocare il periodo anni ’90 quando la franchigia prese definitivamente il volo. Per la prima volta dal 1989, nella stagione 2020-21 compare il nome della città, con le iconiche tre strisce simbolo della “Fiesta” – celebrazione della battaglia dell’Alamo – a sancire il legame con la comunità ispanica. Ne nasce una divisa nera (ricordiamoci di questo colore che tornerà prepotentemente più avanti) perfettamente bilanciata ed elegante. Parlando sempre di nero e scelte fini, i Bulls nel 2021, disegnano una canotta in perfetto stile art decò, con font e dettagli che richiamano quelli usati all’interno dello United Center.
Dall’altra parte dello spettro, Nike alterna proposte sobrie ad altre più scatenate come nel caso di Minnesota. Dopo il fiasco della prima stagione, i Wolves si rifanno l’anno successivo con un cambio netto, dedicando la canotta a Prince e al suo album “Purple Rain”. Anche la divisa di Dallas è interessante, pur non raccogliendo lo stesso successo. Non è sicuramente la più bella del lotto però con il suo stile street art, nato dalla collaborazione con Dr. Pepper, ha una sua identità e riconoscibilità.
Come accaduto per gli Spurs anche i Brooklyn Nets, hanno subito un progressivo miglioramento, passando dall’anonimato del primo anno a divise sempre più audaci e artisticamente folli delle stagioni successive. In questo senso la collaborazione nel 2021 con Basquiat – uno degli street artist più iconici di sempre – è indicativa del percorso voluto intraprendere dai creativi di Nike. L’idea è quella di fondere la cultura sportiva con la passione per l’arte, motori fondamentali per la vita del borough newyorkese. Intento già esplicitato nell’annata precedente con la dedica a Notorious B.I.G.
L’apice verrà toccato però nella stagione 2021-22. In occasione del 75° anniversario della lega, Nike regala una collezione di City Edition estremamente varia e solida, con pochissimi passaggi a vuoto. Divise tutte con un forte senso identitario che nella maggior parte dei casi richiamano un passato rivisitato in chiave moderna (Bulls, Nets e Clippers per esempio) oppure semplicemente osano (Magic, Suns e Miami con la splendida idea del collage di font). C’è chi poi fonde entrambi i concept come nel caso dei Raptors e di Portland. Due idee agli antipodi in quanto a estetica ma con lo stesso esito positivo. Insomma, sono 30 divise tutte estremamente caratterizzate con forte personalità e ricche di dettagli da scoprire, ognuna con una storia da raccontare. A parte i Knicks, loro da raccontare ben poco.
Fase 3: Appiattimento
L’anno successivo, la stagione 22/23, è un punto di svolta per l’universo City Edition. Il progetto è ormai giunto alla sua sesta edizione e i designer di Nike inevitabilmente cominciano a perdere colpi e riciclare idee. D’altronde è praticamente impossibile creare concept vincenti ogni anno per 30 squadre diverse. Il colpo d’occhio con le edizione passate è impietoso: il tripudio di colori e stili diversi viene meno in favore di una collezione piatta e poco ispirata. Vengono proposti pigri cambiamenti di colori come nel caso di Brooklyn e Miami che, dopo essere state promosse a pieni voti negli anni precedenti, prendono una discreta cantonata con delle scelte banali. Emblematico è poi il caso dei Rockets che non si prendono neanche il disturbo di cambiare tinta: non è un errore delle foto, è semplicemente la stessa canotta riproposta pedissequamente.
I colori in generale sono spenti e l’effetto complessivo restituito è completamente diverso rispetto a quello negli anni passati. Ci sono certo dei tentativi di uscire dal seminato, proponendo qualcosa di folle, ma sono dei flop clamorosi. La divisa dei Warriors è l’emblema di tutto ciò. Dopo anni di proposte molto eleganti e convincenti, tutte diverse tra loro, i sette volte campioni NBA stupiscono il mondo con una rosa fotorealistica piazzata all’altezza del basso ventre. Una scelta che profuma tantissimo di canotta trovata in un qualche infimo mercatino di periferia.
Discorso a parte per i Wizards: ancora oggi a distanza di un anno, è difficile capire il significato di quel rosa fragola. Quanto meno è in controtendenza con i colori spenti delle altre 29, ma non basta per salvarsi. Le uniche franchigie che possono vantare una proposta quanto meno presentabile sono infatti i Suns – che omaggiano le 22 tribù di nativi americani dell’Arizona – e gli Spurs che continuano il progetto Fiesta, spingendosi sempre più oltre.
Fase 4: Declino
Arriviamo dunque alla stagione attuale, il punto più basso toccato fino ad ora dal progetto. Quella appena uscita è la collezione più spenta e insipida mai vista: non c’è una singola squadra che si salvi. I colori per tutte le proposte sono piatti, spenti, ben lontani dalla festa e dal tripudio che avevano caratterizzato gli anni passati. Non ci sono più rimandi alle città o i dettagli simpatici che stuzzicavano la curiosità dei tifosi.
I creativi di Nike non sono riusciti a pensare niente di meglio che una scritta in Times New Roman per gli Hawks o un bianco sporco che ricorda molto biancheria intima non lavata per i Celtics. Quest’anno molto probabilmente devono essere capitati parecchi problemi con la macchina per stampare le canotte. I Knicks, che tutto sommato si sarebbero anche potuti salvare, rovinano tutto con la scritta New York che sembra un errore fatto con il ferro da stiro. Inspiegabile poi la simmetria e la disposizione delle lettere sulla divisa dei Lakers: la N di Los Angeles messa in punta a tutto è solo il culmine di una proposta che fa acqua da tutte le parti. Discorso analogo per la strana piega che prende la scritta “San Francisco” sulla canotta dei Warriors.
Insomma non solo design da sbadiglio, ma anche assenza totale del fattore identitario. Ed è questa la cosa che fa più rumore. Quest’anno Nike ha perso completamente l’orientamento e ha dimenticato il vero motivo per il quale questo ambizioso progetto era nato 7 anni fa, facendo perdere ogni interesse perfino tra gli addetti ai lavori. In questo senso, emblematico è il tweet di Kyle Kuzma.
Nike is ruining the nostalgia of jerseys, every year it’s a new jersey and what gets lost is brand identity. https://t.co/oVq40s3a5t
— kuz (@kylekuzma) October 16, 2023
Il giocatore dei Wizards centra perfettamente il punto. In un mondo completamente guidato dal marketing e dal profitto come quello della NBA non c’è tempo per le pause. Non è concesso fermarsi neanche per mezza stagione: bisogna produrre incessantemente materiale nuovo per essere sempre sulla cresta dell’onda. E le City Edition non devono essere da meno. Nike ha spremuto i proprio creativi, ormai arrivati a un livello di saturazione per cui le proposte sono quelle che sono, sacrificando l’idea di fondo sull’altare del mero guadagno. Tanto nei quattro angolo del globo ci sarà sempre qualcuno che comprerà la divisa della propria squadra preferita.
Non sarebbe meglio rendere questa collezione più esclusiva? Proporre magari divise per una decina di squadre a rotazione ogni anno, per avere sempre del materiale nuovo, senza cadere nello stantio e nel già visto? Solo il tempo ci dirà quali saranno i piani di Nike in proposito. Per adesso limitiamoci a guardare con grande preoccupazione quello che accadrà nella prossima stagione.
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