Chiunque abbia studiato la geometria euclidea sa cos’è e come si disegna una parabola, una delle figure geometriche più utilizzate per descrivere la carriera di un atleta. Un’ascesa, un vertice, poi una discesa. O viceversa. E talvolta il punto di svolta non ha nulla a che vedere con lo sport. Com’è successo alle parabole di Richard Norris Williams e Karl Behr, il cui vertice è fissato, con esiti radicalmente opposti, nello stesso momento. È il 15 aprile 1912 e la vita e la carriera dei due tennisti statunitensi cambiano radicalmente grazie a un evento traumatico cui entrambi partecipano, loro malgrado: l’affondamento del Titanic.
Karl Behr, in viaggio per amore
Il modo in cui un atleta reagisce a un trauma dipende da molti fattori, anche sociali. È il concetto di “fame” applicato al mondo dello sport, dove talvolta la “pancia piena” finisce per cambiare le sorti di una carriera. E non sempre dipende dallo sport. È questo il caso di Karl Behr, che sul Titanic quasi ventisettenne, con una carriera già lanciata che lo vede tra i migliori tennisti in circolazione e con alle spalle un passato da enfant prodige della racchetta, tanto da avviare la propria carriera competitiva a soli 14 anni.
Siamo in un’epoca in cui il calendario non è fitto come oggi. Behr non gioca moltissimi incontri, ma tra il 1906 e il 1907 si issa ai vertici del panorama mondiale: è il finalista all-comers allo US Open 1906, il torneo che designava lo sfidante del campione in carica, mentre l’anno seguente arriva alla finale all-comers anche nel torneo di doppio di Wimbledon, quindi raggiunge il secondo posto della classifica mondiale e rappresenta gli Stati Uniti sia in singolare che nel doppio durante la fallimentare spedizione alla International Lawn Tennis Challenge – odierna Coppa Davis – che si conclude con un terzo posto in un’edizione eccezionalmente ristretta a tre squadre. E poco conta se nella “semifinale” contro l’Australasia perde in rimonta entrambi i suoi match in singolare, soprattutto quello decisivo: il futuro sembra essere suo.
Ma il destino ha altri piani: sulla sua strada c’è l’amore. Quello che prova per la giovane Helen, un’amica di sua sorella. Quando i due si conoscono è il 1910 e la ragazza ha soli 17 anni, un’età ritenuta troppo verde dalla famiglia di lei, che decisamente non vede di buon occhio il corteggiamento del ragazzo, benché assolutamente galante. La scintilla, però, è già scoccata. I due iniziano a vedersi sempre più spesso, ignorando il divieto della famiglia di lei. Finché, esasperati dalla disubbidienza della figlia, i genitori di Helen prendono una decisione drastica: trasferirsi in Inghilterra per troncare la relazione. Ma non si può fermare l’amore. E così, a dispetto della sua carriera lanciata, Behr decide di andare a lavorare per l’azienda di carta vetrata di suo padre, con il solo intento di farsi assegnare un incarico proprio in Inghilterra. Riuscendoci.
I due riprendono a frequentarsi assiduamente anche nel Vecchio Continente, la famiglia di Helen si rassegna e torna in America. Prenota una serie di biglietti di prima classe per il viaggio inaugurale del Titanic e lo stesso fa Behr, felice di rientrare nel suo Paese e voglioso di frequentare la sua amata. Una storia a lieto fine: quando la nave impatta l’iceberg, il tennista corre ad avvisare la famiglia di Helen e tutti insieme vengono messi in salvo su una mal riempita scialuppa, tra i rematori della quale viene individuato proprio Behr per la sua ottima prestanza fisica. I due vengono tratti in salvo dal Carpathia. Tornano in America, si sposano. Per Behr è una vittoria, ma non sul campo: dopo il Titanic, la sua fame agonistica si spegne.
Dick Williams e la fame di rivalsa
La storia di Richard Norris Williams, detto Dick, prende una piega completamente diversa. All’epoca ventunenne, il ragazzo è agli esordi nel tennis. La fame non è data da una condizione sociale disagevole, tutt’altro: Dick discende direttamente da Benjamin Franklin ed è l’unico erede di Charles Duane Williams, facoltoso avvocato americano. Cagionevole di salute, il padre decide di trasferirsi da giovane a Ginevra, dove nasce il ragazzo. Che rimane in Europa fin quando, nel 1912, chiede ai suoi di poter tornare negli Stati Uniti per potersi iscrivere ad Harvard. I genitori accolgono la decisione con entusiasmo e pianificano il ritorno negli Stati Uniti. Ma Dick si ammala di morbillo e il viaggio viene rimandato. Sua madre parte da sola, in attesa che lui guarisca. Suo padre, per celebrare la fine della malattia, decide di portarlo in America nel modo più sontuoso possibile: a bordo del Titanic, la nave inaffondabile.
All’epoca, Dick Williams non ha molto da perdere. È stato campione giovanile della Svizzera, ma non è certo uno dei tennisti più in vista. A spingerlo verso il tennis è stato il padre, anche se lui pensa soprattutto al futuro universitario. Quando sale sul Titanic, lo fa con entusiasmo: è il simbolo di un nuovo inizio. E della prospettiva di un grande futuro: un lungo viaggio insieme al padre, dalla Svizzera a Cherbourg, prima di imbarcarsi sulla nave più moderna del mondo. Un viaggio inaugurale. E, tragicamente, finale.
Anche gli Williams viaggiano in prima classe. Ma per loro non ci sarà un lieto fine. La sera del 14 aprile cenano al tavolo del capitano Smith. Poche ore dopo, il sogno si trasforma in incubo. Al momento dell’impatto con l’iceberg, in realtà, i due non si preoccupano. Anni prima, il padre di Dick era stato a bordo dell’Arizona, una nave che aveva urtato un iceberg senza subire danni. D’altronde perché preoccuparsi di un piccolo impatto per una nave inaffondabile?
Quando i due capiscono che, in realtà, la situazione non è così rosea è già tardi per un deflusso tranquillo come quello di Behr e della famiglia della sua futura sposa. Un imprevisto rallenta ulteriormente la loro fuga: un passeggero è rimasto intrappolato nella cabina. Dick non esita: sfonda la porta a spallate e libera il passeggero. Viene subito rimproverato dall’equipaggio, che minaccia persino di fargli pagare i danni. Una scena talmente surreale da ispirare James Cameron per il suo Titanic. Arrivati sul ponte, ormai è chiaro: il Titanic sta affondando e le scialuppe sono già piene.
Non c’è altra scelta: si lanciano nell’Atlantico. L’acqua è una lama. Dick riesce a nuotare, ma suo padre no. Un fumaiolo si stacca e lo travolge. Muore all’istante. Dick nuota disperato, cercando una scialuppa. Vanamente. Sul Carpathia, Dick è in ipotermia. Il medico lo avvisa: la cancrena sta avanzando. Bisogna amputare. Dick rifiuta. Non solo vivrà, ma giocherà ancora a tennis. Onorerà suo padre a modo suo: con la racchetta in mano e una determinazione feroce.
Titanic e altre sliding doors: appuntamento al Longwood Bowl
Passano pochi mesi e per i due tennisti sopravvissuti all’affondamento del Titanic arriva un appuntamento decisivo. Almeno per Dick Williams. Siamo a Brookline, pittoresca cittadina del Massachusetts. Qui si gioca il Longwood Bowl, torneo sull’erba disputato al Longwood Cricket Ground. Un impianto nato per il cricket, ma che negli anni ha abbracciato anche il tennis. Non il principale torneo nazionale ma comunque una manifestazione prestigiosa, cannibalizzata negli anni precedenti dal grande William Larned, capace di vincere undici volte questa rassegna, oltre che ben sette volte lo US Open, che all’epoca è di fatto un campionato nazionale, sebbene nel 1903 venga vinto da un tennista inglese, il leggendario Laurence Doherty che, sia in singolare che in doppio con il fratello Reggie, dominava da anni a Wimbledon.
Nell’edizione del 1912, però, non è Larned a prendersi i titoli dei giornali. Ai quarti di finale c’è il match che tutti aspettano: Karl Behr contro Richard Norris Williams. Non è solo una sfida tra un campione affermato e una giovane promessa. È il primo confronto tra i due tennisti del Titanic. Che Williams sia in campo è già un’impresa. Dopo il congelamento subito nell’Atlantico, anche solo camminare era una scommessa. Williams non solo è in campo ma gioca con una furia agonistica mai vista: Spazza via Behr nel primo set: 6-0. Poi vince un combattutissimo secondo parziale: 9-7 (all’epoca non esisteva il tie-break e occorreva avere due game di vantaggio per concludere il set anche dopo i limiti oggi conosciuti).
Ma la fatica si fa sentire. Williams rallenta e il suo avversario ne approfitta dall’alto della sua esperienza: Behr rimonta: 0-6, 7-9, 6-2, 6-1, 6-4. La vittoria è sua. Sui giornali c’è un solo verdetto: è lui il più forte tra i tennisti del Titanic, come ormai i due sono noti. Per Williams è un’onta. Il Titanic non l’ha spezzato, Behr sì. E lui vuole vendetta. Ci riprova due settimane dopo, a Long Island. Ma il copione non cambia: Behr vince, stavolta senza discussioni. Williams trova una consolazione: vince il doppio misto agli US Open con Mary Browne. Un trofeo che non gli basta. Vuole molto di più.
Williams diventa il più forte tra i “tennisti del Titanic” e non solo
L’orologio del tempo scorre fino al 1914 e tutto è cambiato. Williams è sempre più forte, Behr, ormai, è al tramonto. Nel 1913 ha sposato Helen. Poi ha scelto la giurisprudenza e si è laureato alla Columbia University. Non ha più fame, guarda avanti, lontano dai campi. Nel 1914 viene convocato in Coppa Davis, quasi per onor di firma. Ma non giocherà.
US Open, 1914. A quasi due anni di distanza, il tabellone dice ancora: Williams vs. Behr, nuovamente ai quarti di finale. Ma stavolta non c’è storia. 6-1, 6-2, 7-5. Williams travolge il suo vecchio rivale. E non si ferma lì. In semifinale liquida Elia Fottrell. In finale lo aspetta Maurice McLoughlin, vincitore delle due edizioni precedenti. La battaglia è dura, ma Williams la spunta in tre set: 6-3, 8-6, 10-8. A 23 anni conquista lo US Open. Da quel momento, niente sarà più lo stesso.
Perché non è la fame del momento, Williams è ormai una certezza del tennis americano e mondiale, sia nel singolare che nel doppio. Nel 1916 bissa il trionfo agli US Open. È il numero uno del mondo. Nemmeno la chiamata alle armi nella Grande Guerra riesce a fermarlo. Finita la guerra, torna in campo. Vuole vincere. Per se stesso. Per suo padre. C’è anche un altro piccolo tarlo che lo rode da dentro: qualcuno ha ipotizzato che l’immaginario passaggio del testimone da Behr a lui fosse solo per questioni d’età. Williams vuole dimostrare di essere il più forte. Sempre. A qualsiasi età.
Nel 1920 si assicura il torneo di doppio a Wimbledon. Ma il vero capolavoro arriva nel 1924: A 33 anni, Williams è ancora tra i migliori. Semifinalista a Wimbledon, viene scelto per rappresentare gli USA alle Olimpiadi di Parigi. E se il cammino si ferma ai quarti sia nel torneo singolare che nel doppio maschile, il capolavoro della sua carriera arriva nel doppio misto: in coppia con Hazel Wightman si assicura la medaglia d’oro al termine di una finale tutta statunitense. Adesso la storia ha il suo lieto fine: ha raggiunto il vertice, è stato il migliore al mondo e ha anche vinto un oro olimpico. Con una dedica al cielo per il padre che lo ha ispirato, con il riscatto verso chi riteneva che fosse diventato il migliore tra i “tennisti del Titanic” solo perché più giovane di Behr.
Gli ultimi anni dei “tennisti del Titanic”
L’oro olimpico non è l’ultima pagina della carriera di Richard Norris Williams. C’è ancora spazio per due trionfi: US Open, doppio maschile, 1925 e 1926. L’ultimo atto di una carriera feroce, di un agonismo raro per l’epoca. Un’ossessione che gli impedisce persino di costruire una famiglia. Il tennis prima di tutto. Le gambe, quelle stesse gambe salvate dal chirurgo del Carpathia, alla fine lo tradiscono. I dolori diventano insostenibili. Si ritira. Abbandona il tennis e trova un’altra strada: va a lavorare in una banca. Nel 1930 si sposa. Prima di morire, nel 1968, ha pubblicato un libro intitolato CDQ – segnale di soccorso in codice Morse – nel quale ha raccontato la propria avventura sul Titanic.
Karl Behr, invece, ha preso un’altra strada. Si laurea alla Columbia, diventa avvocato, poi imprenditore. Una vita solida, lontana dalla competizione. Quando gli diagnosticano un tumore, sente il bisogno di raccontarsi. Scrive anche lui un libro: KHB. Le iniziali del suo nome – Karl Howell Behr – e la firma sulla sua storia. Dentro, quella notte maledetta. Non fa in tempo a finirlo. Muore nel 1949. A concludere il racconto ci pensano i suoi figli. Perché quella storia non può restare incompiuta.
Due uomini, due sportivi, due storie opposte. Uno ha trasformato il dolore in rabbia agonistica. L’altro ha scelto la strada della normalità. Li ha uniti una notte di terrore, li ha divisi il destino. Ma entrambi, a modo loro, hanno lasciato un segno.