Vi ricordate il golazo di Amantino Mancini a Lione (con le urla di Fabio Caressa in sottofondo), nel 2007? E quello in rabona di Mario Balotelli con la maglia dell’Adana Demirspor, forse il suo più rappresentativo (nel bene e nel male) e spettacolare in assoluto? E ancora, tornando a pochi mesi fa: avete ancora negli occhi la rete con cui Ademola Lookman ha steso definitivamente il Bayer Leverkusen in finale di Europa League, vero? Molti di voi, ne sono certo, hanno ben impressi nella memoria questi flash. Anche senza ricorrere ad highlights e video d’archivio (che comunque rimangono un buon modo per sprecare qualche minuto). Probabilmente avrete anche intuito il fil rouge che unisce le tre gemme, il dettaglio estetico che le accomuna: il doppio passo con cui Mancini, Balotelli e Lookman – ognuno diverso ma ugualmente letale – si sono liberati del diretto avversario, prima di battere il portiere.
Il brasiliano ne ha fatti quattro, sei, forse otto: provando a contarli, ci si trova confusi come Anthony Réveillère, il malcapitato difensore di turno. Super Mario, in quello che è stato tra l’altro un candidato al Puskás Award 2022, ne ha eseguiti un numero simile, anche se con una marcia in meno; in compenso, dopo il dribbling ha chiuso con una rabona ad incrociare che sembrava la cosa più naturale del mondo, a guardarlo. L’attaccante nigeriano dell’Atalanta infine ha offerto un esempio perfetto, in un contesto altrettanto ideale, della scuola più minimalista e concreta, quella del “single leg stepover”. Per intenderci: una sola finta e via dall’altra parte – la specialità della casa, a proposito di profeti del doppio passo come Neymar Jr.
L’arte del doppio passo
I gol di Mancini, Balotelli e Lookman sono soltanto tre esempi tra i tanti che hanno elevato la popolarità del doppio passo, e che hanno contribuito a renderne immortale l’eredità. Si tratta infatti di un gesto di centenaria memoria, di una vera e propria istituzione calcistica, che ha avuto un’infinità di correnti di pensiero e ambasciatori illustri. Qualcuno è addirittura passato alla storia per questo, come Luís Figo, detto Paso Doble, o Law Adam, The Scissorsman. Intorno a questo movimento si è alimentata nel corso dei decenni una ricca narrativa, con un po’ di mito e un po’ di realtà, da cui emerge una vasta gamma di (presunti) ideatori e padri del gesto. Ma partiamo dalle fondamenta.
𝗜𝗹 𝗣𝗮𝘀𝗼 𝗗𝗼𝗯𝗹𝗲
⚫️ #OTD in 2005, Luís Figo joined Inter 🔵@LuisFigo | @Inter_en | #UCL pic.twitter.com/lUlcd3MuzI
— UEFA Champions League (@ChampionsLeague) August 6, 2022
Il doppio passo (o “paso doble”, ma anche “pedalada”, “bicicleta”, “stepover”, dipende dove ci si trova) è uno dei possibili modi per tentare il dribbling e disorientare il difensore, per ingannarlo sulle proprie intenzioni, mandarlo fuori timing. Non dovrebbero servire spiegazioni o didascalie per mettere a fuoco il gesto: chiunque abbia giocato o anche solo guardato un po’ di calcio, sa perfettamente di cosa si parla. Non di un trick riservato a funamboli e dribblomani da strapazzo, anzi: la versione classica è relativamente semplice da eseguire (ma non ditelo a Kai Havertz), e proprio per questo abbastanza comune. O almeno, finché non ci si abbina una carezza di suola à la Jay-Jay Okocha, o non si provi una delle mille varianti brevettate da Ronaldinho.
C’è chi lo esegue rapidamente, magari appena accennato, il giusto per far perdere il passo al marcatore e aprirsi un varco per tirare o crossare. Oltre al già citato Neymar Jr. e al fenomenale Ronaldo, suo connazionale, vengono in mente Kylian Mbappé (poco importa se in equilibrio precario), Cristiano Ronaldo (anche in spazi stretti o strettissimi) e Son Heung-min. Oppure, stando nella sfera del campionato italiano, potreste pensare a un famoso gol di Alessandro Del Piero a Bari, nel 2001.
O alla signature move di Ivan Perišić, vista e rivista fino allo sfinimento: una piccola decelerazione, uno o due “stepover” (che a volte sembrano quasi un tic, un input interno per procedere con la giocata successiva, più che una vera finta), e poi dritto verso la linea di fondo. Un marchio di fabbrica talmente identitario che nell’estate 2022 l’Inter ha scelto queste parole per salutare il croato: “254 presenze, 55 gol, 49 assist, un numero di doppi passi impossibile da calcolare”.
The Perisic stepover combo™️ is undefeated 👍 pic.twitter.com/3RovS7jXa5
— Uncle Sharma 🎙️ (@RSharmzz) November 24, 2021
Poi c’è chi lo esegue lentamente o da fermo, prima di cambiare passo, per acquisire un vantaggio iniziale nell’uno-contro-uno. Magari coccolando un po’ la palla con la suola e danzando ipnoticamente davanti ai difensori, come Vinícius Jr., ultimo di tanti brasiliani – dopo Denílson e Robinho, con i loro stili inimitabili – a masterizzare la “pedalada”. E talvolta a farne anche un uso eccessivo, andando decisamente oltre lo stretto necessario – ma anche questo è joga bonito, no?
Grazie a tutti questi pensatori, il gesto nel tempo si è evoluto, arricchendosi esteticamente e concettualmente. La sua essenza, però, è rimasta sempre la stessa: ingannare il difensore, farlo dubitare di ciò che sta vedendo. E ogni generazione ha avuto il suo maestro. Ma dove, quando e con chi è nato tutto questo?
I pionieri e la narrativa
L’origine del “paso doble” è avvolta, come sempre in questi casi, tra mistero e leggenda. Se chiedete in Sudamerica, vi parleranno dei primi “pedaladores” brasiliani, argentini, cileni e peruviani. In Europa invece si ricordano altri pionieri e, neanche a dirlo, è una disputa da cui è impossibile cavare una certezza. A dire il vero è abbastanza ingenuo cercare un unico creatore, per ovvi motivi: le antiche radici – siamo nella prima metà del secolo scorso – dovrebbero ricordarci infatti l’impossibilità, fino all’avvento della televisione e del web, di mostrare il doppio passo in video e quindi di tramandarlo e diffonderlo. Va da sé che appurare chi lo abbia esibito prima di chi, anziché rassegnarsi a una più realistica paternità multipla, è pura narrativa. Ma ormai siamo arrivati fin qui. Andiamo fino in fondo.
Nei primi decenni del Novecento il calcio era ancora un gioco spartano: i dribbling erano tendenzialmente dei semplici scatti in velocità, o sterzate improvvise. C’erano già calciatori, però, che erano capaci di vedere il gioco con lenti diverse. Il primo nome che spunta è quello di Pedro Calomino, detto El Loco: idolo dei tifosi del Boca Juniors negli anni ’10 e ’20, aveva un modo particolare di ingannare gli avversari, con finte di corpo e giochi di gambe. Probabilmente non era ancora il doppio passo per come lo intendiamo oggi, ma la sua “pedalada” ne era una versione embrionale.
Pedro Calomino (Boca Juniors)
-Considerado el primer gran ídolo de la historia Xeneize.
-Puntero derecho salido de las inferiores del club.
-Hizo 99 goles en 226 partidos.
-8 títulos con Boca, campeón con Argentina.
-Inventor del regate de "La Bicicleta"."Daguele, Calumin!" pic.twitter.com/RDybKGxYIN
— Bandera 🇸🇪 (@Banderadesuecia) November 13, 2021
Nel frattempo in Europa c’era un altro giocatore che stava sperimentando qualcosa di simile. Law Adam, nato nelle Indie Orientali Olandesi – l’odierna Indonesia – e naturalizzato svizzero, fu uno dei primi a eseguire il movimento, e a farlo in modo così elegante da guadagnarsi il soprannome The Scissorsman, per il modo in cui faceva roteare il piede intorno alla palla.
In Italia, invece, il merito è spesso attribuito a Luciano Vezzani, giocatore del Torino anni ’20, e soprattutto ad Amedeo Biavati, stella del Bologna e della Nazionale negli anni ’30. Vittorio Pozzo, CT dell’Italia campione del mondo nel 1938, raccontò un giorno di come il pubblico e gli stessi avversari attendessero questa giocata ad ogni sua accelerazione. “Il difensore lo aspettava, ma non c’era comunque niente da fare: Biavati saltava, dando l’impressione di passare la palla indietro di tacco, e quindi il difensore rallentava un attimo. Ed è lì che lo bruciava con il secondo tocco”.
Negli anni ’50 e ’60 il gesto diventò dilagante in Sudamerica grazie a specialisti come Augusto Arenas (Cile), Pelé (Brasile) e Antonio Sacco (Perù). Nel vecchio continente, invece, lo misero in bella mostra l’olandese Piet Keizer e il brasiliano Garrincha. È negli anni ’90, però, che il doppio passo divenne un’arma convenzionale, grazie al contributo di Hugo Rubio e dei già citati Jay-Jay Okocha, Luís Figo, Denílson e tanti altri. Con Ronaldo si entrò infine nell’età dell’oro. La “bicicleta” del Fenomeno era esplosiva, rapidissima, con le sue irresistibili finte di corpo: un’illusione ottica che mandava in tilt i difensori. Celebre il suo dribbling su Marchegiani nella finale di Coppa UEFA del 1998 – che tecnicamente non sarebbe un doppio passo, ma qualcosa di molto simile.
#AccaddeOggi
6 Maggio 1998
Un numero di magia diventato cult: il gol di Ronaldo a Marchegiani entra nella storia e nella cultura, verrà citato anni dopo in film, video musicali, libri, fumetti.
Una finta senza scampo. In una magica notte in cui l'#Inter vince la terza Coppa Uefa pic.twitter.com/nm6fcX0D4E— Pasquale Formisano (@Formigoal) May 6, 2020
Ed è così che il gesto è entrato una volta per tutte nel gergo calcistico. Una canzone particolarmente nota ai tifosi romanisti, ad esempio, dice: “Candela, et voilà, doppio passo e se ne va”, in riferimento al difensore francese visto in Serie A a cavallo del nuovo millennio. Oggi ne potete vedere uno in ogni partita, a qualsiasi livello. Se ben eseguito, infatti, rimane un’illusione difficile da leggere, che può far venire il mal di testa ai difensori. Ed è proprio per questo che non stufa mai, soprattutto quando il protagonista ci mette qualcosa di proprio: effetti speciali, ricami estetici, variazioni sul tema e magari un po’ di voglia di provocare l’avversario. Se ci mettete un tocco brasiliano, è l’abbinamento perfetto.