Tammy Abraham non è un nome che accende la fantasia dei tifosi. Generalmente, i sogni si rivolgono ad attaccanti diversi: più tecnici, più efficaci sotto porta, più belli da vedere. Eppure, per l’inglese parlano i fatti. Fatti che a volte vanno oltre i numeri e che altre volte li valorizzano ben più di quanto non faccia il loro semplice e banale conteggio, sin dal momento del suo approdo in Italia.
Tammy Abraham, eredità pesante e scetticismo iniziale
Estate 2021, il nuovo corso Mourinho è appena iniziato ma dal giorno alla notte la Roma viene scossa da un caso di mercato, diventato concreto dopo che tante volte aveva turbato il sonno dei tifosi giallorossi. Edin Džeko, uno dei simboli della squadra ed ex capitano – destituito per problemi con l’allenatore Paulo Fonseca – chiede la cessione dopo essere stato più volte in procinto di lasciare la capitale. Dopo anni di voci e trattative sfumate, questa volta la separazione diventa reale. La chiamata dell’Inter si rivela troppo forte per resistere: il bosniaco accetta l’offerta e lascia Roma.
Dettaglio non irrilevante: mancano appena sette giorni all’inizio del campionato e serve una soluzione efficace, subito. Tiago Pinto parte per Londra, dove lo attende una maratona di tre giorni per portare alla Roma Tammy Abraham, giovane attaccante del Chelsea. Abraham era stato un titolare sotto Lampard, ma con l’arrivo di Tuchel era precipitato nelle gerarchie. Alla fine, il dirigente portoghese la spunta: 40 milioni di euro più bonus per un attaccante che molti giudicano un’incognita, specie se paragonato al suo predecessore. Džeko, del resto, è il terzo miglior marcatore della storia del club.
Se l’impatto iniziale di Abraham sembra confortante – propizia due gol contro la Fiorentina all’esordio in Serie A e segna alla seconda giornata contro la Salernitana – il tempo acuisce i dubbi legati alla sua effettiva efficacia. A inizio dicembre, il bottino personale conta 4 gol in campionato e altrettanti in Conference League. Non un numero disastroso, ma accompagnato da qualche prestazione insufficiente e da una serie di errori sotto porta che fanno storcere il naso. Le cose, però, stanno per cambiare.
I gol non si contano, si pesano
Il 9 dicembre la Roma scende in campo nel gelo di Sofia per l’ultima giornata del girone di Conference League. Ad attenderla c’è il CSKA Sofia, in una partita che, a dispetto del turnover operato da Mourinho, non è irrilevante: al momento del fischio d’inizio i giallorossi sono secondi nel girone, contro ogni pronostico, alle spalle del Bodø/Glimt, capace di infliggere una punizione severissima alla Roma nella trasferta norvegese.
Abraham guida la truppa giallorossa nel tentativo di tenere vive le speranze di sorpasso. Che arriva puntualmente, grazie al pari della prima della classe in casa dello Zorya. È lui a sbloccare il match al 15’ con un facile tocco sotto porta su cross di Karsdorp, ed è sempre lui a chiuderlo al 53’ con il momentaneo 0-3 (finirà 2-3) con un bel gol di rabbia dopo aver arpionato il pallone in area. I giallorossi chiudono al primo posto ed evitano i playoff.
Passano nove giorni e la Roma va a Bergamo: in una delle autentiche masterclass di Mourinho, i giallorossi dominano l’incontro nonostante un misero 29% di possesso palla, capitalizzando il vantaggio arrivato dopo pochi secondi. A siglarlo è ancora Abraham, con un rimpallo fortunoso, mentre con un gol più bello e difficile l’inglese chiude il match sul definitivo 1-4.
È l’inizio di un periodo d’oro per la punta giallorossa: la stagione si concluderà con 17 gol in campionato, 9 in Conference League e uno in Coppa Italia, un bottino complessivo che lo renderà uno dei migliori esordienti della storia della Serie A – solo sei giocatori hanno fatto più gol nella loro prima stagione nel nostro massimo campionato – e della Roma, di cui diventa il terzo miglior marcatore in campionato nella stagione d’esordio – dopo Montella e Batistuta – e il primo per gol stagionali tra tutte le competizioni, grazie ai 27 centri complessivi.
Ma come detto i numeri non vanno banalizzati e, se esaminati, mostrano quanto sia importante pesarli prima ancora che contarli: dei suoi 17 gol in Serie A, ben 10 sono gol che sbloccano il risultato – in quattro occasioni il match finirà proprio 1-0 con gol di Tammy Abraham, compreso il match del Picco di La Spezia, dove a decidere il match è un rigore calciato al 99’ con il ghiaccio nelle vene – e in 7 casi i gol arrivano negli scontri diretti, cui si aggiungeranno vari assist e altri tre gol nella stagione seguente, anche in questo caso per un totale di 10. Per capire l’impatto, nella successiva stagione e mezza – essendo la seconda ancora in corso – gli attaccanti titolari della Roma (Lukaku la scorsa stagione e Dovbyk in quella in corso) hanno cumulato appena 3 gol nei big match.
Un peso specifico che viene evidenziato anche dalla classifica cannonieri ponderata della stagione 2021-22, in cui Abraham fa segnare uno spread molto ridotto tra i 17 gol fatti e il valore ponderato di 13,500, superiore solo a quello di Giovanni Simeone (17 gol fatti e 13,750 di valore ponderato), che ha chiuso al terzo posto al pari di Lautaro Martínez, nonostante i 21 gol siglati da quest’ultimo.
Se questa tendenza è spiccata in Italia, con tanto di gol del sorpasso sul Lecce anche negli ottavi di Coppa Italia, è in Europa che l’inglese dà il meglio di sé. Detto dei 6 gol nel girone, nella fase a eliminazione diretta i suoi gol valgono tanto oro quanto pesano. Agli ottavi di finale di fronte alla Roma si parano gli olandesi del Vitesse: nonostante il successo di misura in trasferta, i giallorossi si complicano la vita nel ritorno in casa e vanno in svantaggio, fin quando, al 90’, un cross di Karsdorp trova Abraham pronto alla zuccata decisiva da due passi. Corsa sotto la Curva Sud e gol pesantissimo per evitare i supplementari a tre giorni dal derby (che la Roma vincerà grazie anche alla doppietta dell’inglese).
Ai quarti di finale è la volta della rivincita contro il Bodø/Glimt: i fantasmi del 6-1 nel girone tornano vividi quando, in rimonta, i norvegesi vincono 2-1 il match di andata. Al ritorno l’Olimpico è una bolgia e a cambiare l’inerzia della doppia sfida è ancora Abraham, che in mischia trova il gol del vantaggio in un match che diventerà trionfale, grazie alla tripletta di Zaniolo e al 4-0 finale.
Altro giro, altra corsa in semifinale, dove la Roma incrocia il Leicester e un suo vecchio tabù: sono ben 22 anni che la squadra della capitale non elimina un club inglese in un match a eliminazione diretta. Dopo l’1-1 in Inghilterra, serve una vittoria in casa e chi meglio di Abraham? Colpo di testa sfilandosi dalla marcatura su un corner, 1-0 e ritorno in una finale europea a 31 anni dall’ultima volta.
Le impronte dell’attaccante ex Chelsea sulla coppa alzata sotto il cielo di Tirana sono evidenti. Ma non sono solo gol e trofei a farlo amare: Abraham è un giocatore da maglia sudata, che lotta, combatte, fa a sportellate in ogni singola partita, aizza il pubblico, accende l’ambiente. I tifosi lo adorano, ma inizieranno a storcere la bocca l’anno seguente, sebbene la sua importanza, come detto, vada ben oltre i freddi numeri.
Non di soli gol vive Tammy Abraham
Nel disegno tattico della nuova Roma di Mourinho si inserisce Paulo Dybala. Il che contiene un concetto molto semplice: palla a Dybala e vediamo dove porta la squadra. Un disegno elementare quello dello Special One, notoriamente più avvezzo alla solidità che al gioco spettacolare, ma che finisce per ridurre l’impatto statistico dei protagonisti della stagione precedente. Non fa eccezione Tammy Abraham, il cui bottino a fine stagione non è dei più esaltanti: 8 gol in campionato. Score comunque reso prezioso dal solito peso dei gol: tre gol negli scontri diretti – gol del pareggio allo Stadium contro la Juventus, gol del pareggio al 93’ a San Siro con il Milan, gol del vantaggio al 94’ al ritorno contro il Milan, in cui i giallorossi buttano via la partita e si fanno raggiungere al 97’ – e altrettanti decisivi per mandare la Roma in vantaggio.
In Europa il calo a livello di numeri è ancora più evidente: un solo gol, siglato sul campo dell’HJK Helsinki nel corso del girone. Eppure l’importanza di Abraham è di tutta evidenza anche senza essere il finalizzatore della manovra e proprio il cammino continentale lo dimostra, ancora una volta nella fase a eliminazione diretta. Dopo aver eliminato il Salisburgo nei playoff, agli ottavi la Roma incrocia la Real Sociedad. Nell’andata all’Olimpico il match si sblocca dopo 13’: Dybala porta palla sulla destra, Abraham taglia verso l’esterno portando fuori dalla zona centrale Zubeldia. Finta di corpo dell’inglese, che lascia scorrere la palla verso il fondo e crossa con il destro, trovando El Shaarawy sul secondo palo per il vantaggio giallorosso. Vantaggio che sarà incrementato dal gol di Kumbulla nel finale e che resisterà a San Sebastián, dove i giallorossi resistono all’assedio senza subire gol.
Nel turno seguente la Roma incrocia nuovamente il Feyenoord, contro cui ha vinto la finale di Conference League la stagione precedente. All’andata va tutto male: Dybala si infortuna, Pellegrini calcia un rigore sul palo, quindi gli olandesi trovano l’1-0 e anche Abraham esce per un problema alla spalla. Con un recupero lampo, sette giorni dopo sono entrambi in panchina ed entrano per dar man forte alla Roma, che raggiunge i supplementari proprio grazie a un gol della Joya all’89’.
Ed ecco che nell’extra time Abraham mostra ancora la propria importanza: con un contromovimento si stacca dalla linea difensiva olandese e va a spizzare un lancio dalle retrovie all’altezza del cerchio di centrocampo, favorendo Dybala e buttandosi nello spazio coi tempi giusti sul filo del fuorigioco per raccogliere il pallone in profondità di Pellegrini: altro cross in mezzo, ancora El Shaarawy, 3-1 e sorpasso nella doppia sfida.
A chiuderla ci penserà il 4-1 di Pellegrini, scaturito da un errore sottoporta di Abraham ma anche da un movimento sulla linea dell’offside che spacca la difesa del Feyenoord. E sarà un mix delle tre situazioni di cui sopra a rivelarsi decisivo anche in semifinale, dove i giallorossi, incerottati, trovano il Bayer Leverkusen. Su un lancio dalle retrovie, in arretramento, Abraham addomestica il pallone di testa per Bove, che prima va in percussione, quindi serve l’inglese in area: stop e movimento a mezza luna simile a quello con la Sociedad per liberarsi al tiro, respinta del portiere e tap-in decisivo di Bove. È l’1-0 decisivo, perché al ritorno la linea Maginot pensata da Mourinho regge e la Roma va di nuovo in finale. Abraham è fondamentale anche senza segnare, ma a Budapest è l’inizio della fine della sua avventura in giallorosso.
Quattro giorni per rovinare tutto
Il 31 maggio a Budapest va in scena l’atto finale di Europa League tra Roma e Siviglia. A metà ripresa, sul risultato di 1-1, Tammy Abraham ha la palla giusta. In una mischia da corner, il centravanti della Roma si ritrova la palla a due passi da Bounou: anziché andare col sinistro, va con il tacco destro, ma il portiere avversario è bravissimo a chiudere lo specchio. La soluzione scelta dall’inglese, non ottimale ma forse meno scontata di quanto si dica, diventa motivo di feroci critiche. Anche perché un altro protagonista – Anthony Taylor, stessa nazionalità e curiosamente stesse iniziali, ancorché invertite – si prende la scena in termini di rabbia dei tifosi e la Roma finisce per perdere ai rigori.
Una vittoria che avrebbe significato, oltre al trofeo, anche la qualificazione in Champions e i relativi introiti, di cui la Roma ha bisogno come l’aria, stanti i paletti del Fair Play Finanziario. Saltata la qualificazione, serve un sacrificio sul mercato e il prescelto pare proprio Abraham, che ha estimatori in Premier League. Ma la Roma deve ancora guadagnarsi un posto in Europa League e per farlo deve vincere l’ultima di campionato in casa con lo Spezia, quattro giorni dopo la delusione di Budapest.
Abraham parte dalla panchina ma sull’1-1 entra in campo per cercare di aiutare i giallorossi. Dopo appena 16’, tuttavia, il ginocchio cede: rottura del legamento crociato anteriore, la sua cessione salta e alla Roma serve un nuovo titolare.
Arriva Lukaku, Abraham rientra solo dopo dieci mesi ma l’amore è finito. Arriva un solo gol – importante, a Napoli all’88’ per il definitivo 2-2 – ma anche un errore imperdonabile nell’andata della semifinale di Europa League contro il Bayer Leverkusen, quando manda alto sulla traversa un colpo di testa a porta vuota. A Roma non è più gradito e, a stagione iniziata, viene preferito Shomurodov come vice Dovbyk: arriva lo scambio con Saelemaekers, Abraham va al Milan.
La riserva perfetta per il Milan
Acquistato a fine agosto al Milan, Tammy Abraham sa che in rossonero non è destinato a giocare titolare. L’arrivo di Álvaro Morata ha garantito ai rossoneri un titolare nel ruolo, ma il neotecnico rossonero Fonseca vede nell’inglese il profilo ideale per alternarsi con lo spagnolo. Basandosi sulle qualità associative di Morata, ha chiesto un’alternativa altrettanto utile alla squadra, che sapesse fungere non solo da riferimento ma anche da rifinitore per i propri esterni. Una strategia che il tecnico portoghese aveva già utilizzato a Roma, quando – pur con un tasso tecnico evidentemente inferiore – aveva visto in Nikola Kalinić la perfetta alternativa a Džeko.
L’esordio con la nuova maglia arriva nel suo vecchio stadio ma contro la Lazio. Abraham viene mandato in campo sul 2-1 per i biancocelesti al 71’ al posto di Okafor. Primo pallone toccato e subito assist per il 2-2 finale di Leão, per non perdere l’abitudine di incidere anche senza segnare.
Di lì a poco il pubblico milanista inizia a innamorarsi di questo ragazzo che, pur non essendo dotato tecnicamente come i migliori centravanti della storia rossonera, lotta e si sbatte. Nella successiva partita di campionato prima si procura un rigore, poi ne realizza un altro contro il Venezia ma di lì a poco iniziano i consueti problemi: sotto porta non è lucidissimo, non è bello da vedere e l’esigente platea rossonera inizia a mugugnare.
Ma, come detto, è difficile inquadrare l’importanza di Tammy Abraham in un contesto normale: con la sua scoordinazione e i suoi errori, rimane un giocatore su cui poter fare affidamento e dal quale continuano ad arrivare gol pesanti. Servono quasi due mesi per rivederlo al gol in campionato, quindi altri due match di novembre in cui è decisivo, stavolta in Champions: assist e gol a Bratislava, gol decisivo all’87’ in casa con la Stella Rossa, la risalita in classifica passa anche e soprattutto dalla sua tendenza a risultare decisivo.
Dopo un’altra ottima prestazione in Coppa Italia – 6-1 al Sassuolo con gol e assist – arriva il ribaltone: Fonseca viene esonerato, al suo posto arriva Sérgio Conceição, giusto in tempo per la Supercoppa Italiana e per alimentare le voci sull’arrivo di un nuovo centravanti. Per Tammy dovrebbero essere tempi difficili. Dovrebbero, ma non lo sono. Perché nella finale di Supercoppa è proprio lui a farsi trovare pronto, a due passi dalla linea di porta, per siglare il gol decisivo al 93’. Un 3-2 in rimonta che vale il primo trofeo stagionale ai rossoneri.
Si arriva ai quarti di finale di Coppa Italia: il mercato è finito, la punta è arrivata e risponde al nome di Santiago Giménez, ma a farne le spese è stato Álvaro Morata, sacrificato per fare spazio. Con il feeling inevitabilmente ancora da costruire, Conceição sceglie Abraham per guidare l’attacco. E l’inglese risponde presente: doppietta, partita indirizzata verso Milanello, una prova che sembra voler conquistare definitivamente l’amore dei tifosi rossoneri.
Sarebbe una rivincita, ma non esulta contro la sua ex squadra. Eppure, nonostante l’unico trofeo vinto dalla Roma negli ultimi 17 anni porti la sua firma, Abraham viene fischiato dai suoi vecchi tifosi all’uscita dal campo. Si dirà deluso, mimerà il segno della coppa come a ricordare ai romanisti cosa ha lasciato in eredità. Ma soprattutto, dimostra ancora una volta come la sua importanza sia troppo spesso sottovalutata.