Torino, inverno 1994. Andrea Fortunato corre lungo la fascia sinistra del Comunale durante un allenamento. È una mattinata fredda, la nebbia avvolge le tribune vuote, e i suoi scarpini disegnano solchi precisi sul terreno pesante. Corre per abitudine, più che per necessità: non c’è un avversario da saltare né una partita da vincere. Ma, per la prima volta, sente che c’è qualcosa che non va. La falcata, abitualmente fluida, è incerta. I polmoni faticano a riempirsi d’aria, le gambe rispondono mezzo secondo troppo tardi. Nessuno se ne accorge, e Andrea non dice nulla. Non è il momento di fermarsi. Il calcio, in fondo, non è un gioco per chi ha fretta.
Quando si parla di Andrea Fortunato, il rischio di cedere al sentimentalismo è alto. Ma la sua storia merita di essere raccontata non solo per il dramma personale, quanto per il calciatore che è stato e per il giocatore che avrebbe potuto diventare. Perché Fortunato, con il suo modo di interpretare il ruolo di terzino sinistro, aveva intuito qualcosa che altri avrebbero sviluppato anni dopo. La sua carriera, anche se brevissima, è una finestra aperta su un’evoluzione tattica ancora in corso.
Chi era Andrea Fortunato
Fortunato nasce a Salerno, il 26 luglio 1971, in una famiglia benestante che gli garantisce un’educazione solida. Il calcio, per lui, non è una scommessa cieca: c’è l’accordo con i genitori di portare avanti gli studi e, infatti, si diploma in ragioneria. Ma quella promessa, fatta per rassicurare mamma e papà, viene presto messa in secondo piano dall’ambizione e dal talento. Le prime falcate significative le compie nel settore giovanile del Como, dove si trasferisce quattordicenne. È un vivaio lontano dai riflettori delle grandi metropoli calcistiche, in un certo senso l’ideale per formarsi senza troppe pressioni. Andrea, inizialmente centravanti perché troppo più forte dei coetanei, viene poi arretrato sulla fascia sinistra, dove scopre il suo habitat naturale. A livello giovanile è devastante. Ha il doppio delle energie di compagni e avversari. Dribbla, scatta, ritorna in posizione. Corre, corre sempre, non sta mai fermo in campo. E coi piedi migliora a vista d’occhio, il mancino è sempre più preciso, quando calcia i giri del pallone sembrano quelli dei giocatori veri.
Nel 1989, a 18 anni, debutta in Serie B. Il Como di quegli anni non è certo una potenza e la retrocessione in C1 arriva presto, ma Fortunato dimostra di essere pronto per palcoscenici più grandi. L’anno successivo diventa titolare fisso, giocando 27 partite e guadagnandosi le attenzioni di club più ambiziosi. Nel 1991 il Genoa investe 4 miliardi di lire per portarlo in Serie A. È una cifra importante per un giovane, ma Osvaldo Bagnoli vede in lui un potenziale raro. La prima stagione, però, non è facile: Fortunato si trova a fare da riserva del totem Branco e viene mandato in prestito al Pisa, in B.
L’esplosione al Genoa e l’arrivo alla Juve
È nella stagione 1992-1993, tornato sotto la Lanterna, che Andrea esplode definitivamente. Il Genoa attraversa un’annata difficile, ma lui, insieme a Christian Panucci, forma una coppia di terzini che impressiona per solidità e soprattutto per la naturale predisposizione alla proiezione offensiva. Segna tre gol, tra cui quello decisivo contro il Milan nell’ultima giornata, che salva il Genoa dalla retrocessione. Fortunato, a soli 21 anni, comincia a essere considerato uno dei migliori terzini del campionato. Non è solo la corsa o la tenacia a distinguerlo: è l’intelligenza tattica con cui legge il gioco, il modo in cui si inserisce negli spazi con tempismo perfetto. È un difensore che sembra pensare da centrocampista. E se oggi siamo abituati ai difensori di Guardiola e alla costruzione dal basso, quelli sono anni in cui la Serie A è popolata da molti Pasquale Bruno.
Nell’estate del 1993, il ragazzo approda alla Juventus, un trasferimento che rappresenta la definitiva consacrazione. La società bianconera sta cercando di costruire una squadra giovane e competitiva, dopo anni di alti e bassi. A Torino lo vuole fortemente Giovanni Trapattoni, che lo vede come l’erede naturale di Antonio Cabrini. Il trasferimento costa circa 10 miliardi di lire, una cifra considerevole per un giocatore ancora giovane – un difensore e non un fantasista che cambia le partite – ma il club è certo di avere tra le mani un talento puro che va soltanto smussato.
Le prime settimane a Torino non sono semplici. La Juventus è un ambiente che ti accoglie con grandi aspettative, ma che può schiacciarti se non riesci a reggerne il peso. Fortunato, però, si adatta rapidamente. La sua prima stagione, la 1993-1994, lo vede subito protagonista: 27 presenze in campionato, prestazioni solide, una corsa instancabile sulla fascia sinistra. Il ragazzo è pronto, la dirigenza bianconera ci ha visto giusto.
Un terzino moderno
La sua capacità di interpretare il ruolo di terzino sinistro con equilibrio tra fase difensiva e offensiva non passa inosservata. Andrea non è un giocatore spettacolare, ma un elemento che migliora chi gli gioca accanto. Ogni azione, ogni intervento è pensato per la squadra. In un calcio italiano ancora legato a una concezione rigida del gioco, Fortunato si distingue per modernità: spinge sulla fascia, ma lo fa con intelligenza, evitando di compromettere la solidità difensiva. Il 12 dicembre 1993 segna il suo unico gol in maglia bianconera, nella trasferta contro la Lazio. Ma ciò in cui è specializzato è la sovrapposizione e il cross dal fondo, un fondamentale che era usato e forse abusato in quel periodo.
Nel calcio italiano degli anni ’90, il ruolo del terzino, intanto, sta subendo una trasformazione. Non è più sufficiente essere un marcatore affidabile o un cursore lineare. Le squadre iniziano a chiedere di più: spinta offensiva, versatilità tattica e capacità di inserirsi nel gioco con qualità tecnica. Fortunato sembra costruito per questa evoluzione. La sua capacità di interpretare le due fasi del gioco lo rende un giocatore moderno in un contesto che si sta lentamente adattando. Forzando un parallelismo con l’attualità più stringente, viene in mente Cambiaso.
Alla Juventus Fortunato trova compagni come Roberto Baggio, Alessandro Del Piero e Antonio Conte, figure che incarnano il presente e il futuro del club. Ma è soprattutto Marcello Lippi, subentrato a Trapattoni nell’estate del 1994, a intuire il valore aggiunto che l’ex Genoa può portare alla squadra. Lippi, con il suo calcio rapido e aggressivo, punta forte sui terzini come risorse per allargare il campo e creare superiorità numerica. Per Fortunato è l’occasione perfetta per crescere ulteriormente.
La chiamata in Nazionale
Le prestazioni del giovane salernitano con la Juventus non sfuggono agli occhi di Arrigo Sacchi, commissario tecnico della Nazionale, che lo convoca per la prima volta il 22 settembre 1993. In quella partita, un incontro di qualificazione ai Mondiali contro l’Estonia, Andrea debutta con la maglia azzurra. Sacchi lo vede come un’alternativa giovane e promettente a Paolo Maldini, il padrone indiscusso della fascia sinistra. Fortunato non è Maldini – e con tutta probabilità non lo sarà mai – ma la sua capacità di interpretare il ruolo con semplicità ed efficacia lo rende una risorsa preziosa.
Ma il destino ha altri piani. Durante la stagione 1994-1995, Fortunato inizia a mostrare segnali di affaticamento. Qualcosa non va. Non è più lo stesso giocatore: appare stanco, spento, privo di quell’energia che lo aveva sempre caratterizzato. A Torino iniziano a girare voci sul suo conto, alcuni gruppi ultras lo accusano di fare tardi la sera, di godersi un po’ troppo la vita. Insomma, le solite cose che vengono imputate a un calciatore quando il rendimento cala. Non è vero niente. Andrea in campo va più piano a causa di altro.
La leucemia
Le prime avvisaglie sembrano ricondurre a un normale calo fisico. Si pensa alla fatica accumulata, alle pressioni di giocare in una grande squadra come la Juve. Ma i sintomi persistono e i medici iniziano a sospettare che ci sia qualcosa di più serio. Nel maggio del 1994, durante un’amichevole contro il Tortona, Andrea è costretto a lasciare il campo, sfinito. Le sue parole, semplici ma cariche di angoscia, raccontano tutto: “Non ce la faccio più“. La diagnosi arriva pochi giorni dopo, ed è devastante: leucemia linfoide acuta. Una malattia spietata, che trasforma improvvisamente Fortunato da promessa del calcio italiano a paziente in lotta per la vita.
La Juventus e i suoi compagni si stringono attorno a lui. Fabrizio Ravanelli mette a disposizione la sua casa a Perugia, vicino al centro medico dove Andrea viene curato, mentre Gianluca Vialli lo chiama regolarmente per incoraggiarlo. Le cure sono estenuanti, ma per un breve periodo sembra che ci siano segnali positivi. Andrea riesce persino a tornare ad allenarsi, ospite del Perugia. Quelle immagini, che lo ritraggono in tuta con il sorriso sulle labbra, restano tra i ricordi più potenti della sua breve parabola di vita.
La morte a 23 anni
Il suo corpo, però, è fragile. Troppo fragile. Nel febbraio del 1995, un improvviso peggioramento delle difese immunitarie lo costringe a fermarsi di nuovo. A nulla servono gli sforzi dei medici. Il 25 aprile 1995, Andrea Fortunato si spegne a soli 23 anni. Al suo funerale, celebrato nella cattedrale di Salerno, partecipano più di cinquemila persone: amici, compagni di squadra, tifosi e personalità del calcio italiano di vario grado e livello. I calciatori di Juventus e la Salernitana portano la bara, su cui sono poggiate le maglie di entrambe le squadre. Il giorno del funerale, la Nazionale italiana gioca contro la Lituania. Gli azzurri, con il lutto al braccio, vincono grazie a un gol di Gianfranco Zola, che dedica la rete al compagno scomparso.
A 23 anni, Fortunato aveva già mostrato di essere molto più di una promessa. Non era soltanto un terzino moderno, capace di difendere e attaccare con la stessa disinvoltura: era il prototipo di un giocatore che anticipava le tendenze del calcio europeo. Il suo stile di gioco, dinamico e intelligente, lo aveva reso uno dei migliori talenti della sua generazione.
Un precursore
Guardando indietro alla carriera di Andrea Fortunato, si capisce quanto fosse avanti rispetto ai suoi tempi. Negli anni ’90, il calcio italiano era ancora dominato da schemi difensivi rigidi e dall’idea di un terzino come un difensore aggiunto, il cui compito principale era marcare l’avversario e, al massimo, spingere occasionalmente sulla fascia. Andrea era un rappresentante della nuova generazione che rompeva questi schemi. Fortunato, diremmo oggi, era un calciatore decisamente associativo. Quando saliva sulla fascia, non lo faceva mai per semplice abitudine: ogni movimento era pensato per creare spazi, superiorità numerica o per disorientare la linea difensiva avversaria. Trapattoni (all’epoca ancora lontano dalla sua fase più conservatrice) lo aveva intuito subito, descrivendolo come un giocatore “davanti al suo tempo”.
Fortunato era dotato di un’intelligenza tattica rara per la sua età, che lo rendeva capace di adattarsi a diversi sistemi di gioco. Non a caso, in carriera venne utilizzato anche come centrale di difesa, mediano e libero, dimostrando una duttilità che pochi altri giocatori potevano vantare. Nel calcio contemporaneo potremmo immaginarlo come un esterno a tutta fascia in un 3-5-2 alla Simone Inzaghi.
Quando si parla di Fortunato, comunque, il paragone con Antonio Cabrini è inevitabile. Entrambi terzini sinistri, entrambi juventini per fede e per mestiere, entrambi protagonisti di un calcio che richiedeva al numero tre più che semplice disciplina tattica. Ma mentre Cabrini aveva avuto la possibilità di scrivere pagine indelebili nella storia del calcio italiano, a Fortunato il destino ha concesso solo un breve prologo. Eppure, in quel breve lasso di tempo, Andrea era riuscito a mettere in mostra caratteristiche che lo avrebbero reso una figura importante per la Juventus e per la Nazionale.
Il ricordo
Nel corso degli anni, la figura di Andrea Fortunato è stata ricordata attraverso diverse iniziative. La Juventus ha più volte omaggiato il suo talento rimasto giovane per sempre, con commemorazioni che hanno mantenuto vivo il suo nome. Succede soprattutto ogni 25 aprile. C’è poi il premio “Andrea Fortunato”, assegnato ogni anno a figure del calcio che si sono distinte per valori umani e sportivi. Un modo per legare la memoria di Andrea a esempi di correttezza e dedizione. La città di Salerno ha intitolato a Fortunato un campo sportivo, un piccolo gesto per ricordare uno dei suoi figli più talentuosi.