Mancini, Ibra e gli altri: guida alle tipologie di gol di tacco

Ibra, Amantino Mancini e il Mancio sono alcuni dei più grandi ad aver messo a segno bellissimi gol di tacco.

In un calcio sempre più votato alla ricerca della fisicità, resiste un gesto tecnico capace di evocare i fasti di un’altra epoca: il colpo di tacco. Una prodezza di straordinaria eleganza, che si erge a simbolo distintivo di grandi campioni come Sócrates, Francesco Totti e Guti. A volerlo descrivere semplicemente, sembrerebbe una mossa elementare: un “colpo con la parte posteriore del piede”. Ma questa definizione tecnica, così asettica, non è sufficiente. Non lo è, così come non lo sarebbe cercare di racchiudere arte e poesia in poche parole senza cogliere le mille sfumature che rendono unico ogni gesto. Ed è proprio perché lo scopo ultimo del calcio è vincere, e per vincere bisogna segnare, che vale la pena soffermarsi su questo virtuosismo. Perché i gol di tacco meritano un racconto a parte.

Quando il colpo di tacco si trasforma in un’arma per segnare, la sua natura muta. Da semplice lampo di genialità, diventa un atto di irriverenza, un gesto che rompe gli schemi e riaccende il bambino che è in ognuno di noi. Che sia un’espressione di pura sfrontatezza o l’unica via possibile per far varcare al pallone la linea di porta, una cosa è certa: non esiste un solo tipo di gol di tacco. Ne esistono molteplici variazioni, ognuna delle quali cela le proprie insidie e rivela i suoi innegabili pregi.

 

Il tacco alla Roberto Mancini

È una fredda domenica sera di gennaio, l’anno è il 1999. Sul campo si affrontano due squadre di altissimo livello: i padroni di casa del Parma, che a fine stagione solleveranno la Coppa UEFA, e la Lazio, destinata a vincere la Coppa delle Coppe e a perdere uno scudetto che lascerà più di qualche rimpianto. Dopo un primo tempo avaro di emozioni e privo di gol, la ripresa si accende: al vantaggio biancoceleste, arrivato grazie a un rigore di Salas, risponde Hernán Crespo, futuro protagonista proprio con la maglia della Lazio. Al minuto 68, però, l’equilibrio si spezza definitivamente: calcio d’angolo dalla sinistra per la Lazio. Sul pallone va Siniša Mihajlović, che pennella un cross sul primo palo. Un corner che, a prima vista, sembra poco incisivo: la traiettoria è bassa, la palla scende troppo presto e difficilmente potrebbe risultare pericolosa. Ma è qui che entra in scena il genio.

Il genio in questione è Roberto Mancini. Con una mossa fulminea, si stacca dalla marcatura, anticipa tutti, va incontro al pallone e, con un colpo di tacco destro, lo spedisce sotto la traversa di Buffon. Un gesto che, a distanza di 25 anni, non smette di lasciare a bocca aperta chiunque lo riguardi. Ogni volta, è impossibile non chiedersi: come gli è venuto in mente? Era una soluzione studiata? Alla luce della parabola insolita del corner e delle straordinarie capacità tecniche di entrambi gli interpreti, la risposta sembra sospesa tra intuizione e magia.

E poi c’è la domanda più diabolica di tutte: era davvero l’unico modo per colpire quel pallone? Probabilmente sì, forse no. Ma resta il fatto che fu la soluzione più efficace, sicuramente la più poetica, e, perché no, profondamente umiliante per gli avversari.

 

Il tacco alla Amantino Mancini

Il cognome è lo stesso, ma la bandiera decisamente no. Stavolta, infatti, è la Lazio a essere incudine e non martello, e lo scenario è di quelli che contano. Si sta giocando il derby di Roma, con i giallorossi in vetta alla classifica grazie a un calcio spettacolare che li ha portati a dominare fino a quel momento. È la nona giornata, il 9 novembre 2003, e, come spesso accade, il derby si rivela una partita bloccata: al minuto 81’ il risultato è ancora fermo sullo 0-0. Punizione dalla destra, molto vicina al vertice dell’area di rigore. Sul pallone va Antonio Cassano.

La Roma ha ottimi saltatori, e i difensori biancocelesti li marcano con attenzione maniacale. Ma la giocata non va dove tutti si aspettano. La scelta è diversa: la palla è per Amantino Mancini, esterno brasiliano chiamato a sostituire Cafu. Un’eredità pesante, che aveva suscitato non poche perplessità: da un lato per il valore del terzino campione del mondo appena perso, dall’altro per il fatto che Mancini arrivava da sei mesi di panchina al Venezia, in Serie B. Eppure, con un rendimento costante, il brasiliano si è guadagnato un ruolo da protagonista nella Roma di Fabio Capello. Gli manca solo il gol. E quando arriva, il battesimo è di fuoco.

All’inizio dell’azione, Mancini si tiene fuori dall’area. Porta una mano al volto, quasi a simulare perplessità o disinteresse, poi scatta verso il primo palo. Parte Cassano, la palla viaggia a mezza altezza: Mancini allarga le gambe e lascia scorrere la sfera fino al tacco del piede destro, quello più lontano dal punto di partenza del pallone, deviandola verso il palo più lontano. Un’esecuzione sublime, che vale il gol decisivo e consegna Amantino Mancini alla leggenda per i tifosi romanisti.

Un gesto spettacolare, ma non unico. Esistono varianti dello stesso colpo di genio, come quella realizzata da Fabio Quagliarella ai tempi della Sampdoria contro il Napoli, o quella meno vistosa ma altrettanto elegante firmata da Gianfranco Zola in un match di FA Cup contro il Norwich: un tocco simile, ma più discreto, senza spalancare le gambe, quasi senza far rumore.

 

Il tacco alla Pellegrini

Il palcoscenico è lo stesso, ma i tempi sono cambiati: un altro derby di Roma, 15 anni dopo. È il 29 settembre 2018, e la Roma, dopo anni ad alto livello, non è partita benissimo in campionato. Gli acquisti non stanno rendendo come previsto e uno di loro, Javier Pastore, è costretto – tanto per cambiare – a lasciare il campo per infortunio al 36’. Al suo posto entra un 22enne cresciuto nel vivaio romanista: Lorenzo Pellegrini, rientrato alla base nella stagione precedente dopo un ottimo apprendistato al Sassuolo. Passano pochi minuti, e la palla giusta arriva sul suo piede. O meglio, dietro di esso.

L’azione parte da un lancio di Fazio dalle retrovie. Džeko svetta di testa, cercando idealmente di favorire El Shaarawy, ma ne nasce una grande confusione. Il portiere biancoceleste Strakosha esce in modo avventato e travolge sia il Faraone che Luiz Felipe. La palla, vagante, finisce nella zona di Martin Cáceres, che tenta un intervento disperato ma svirgola, toccandola quel tanto che basta per impedire a Pellegrini di calciare.

Il numero 7 giallorosso si ritrova il pallone addosso: sente la palla sbattere sulla coscia, si gira in modo istintivo e, quasi senza pensarci, colpisce di tacco, infilando nella porta vuota. È forse il colpo di tacco meno spettacolare della nostra rassegna, ma non per questo meno decisivo. È un gesto esiziale e, soprattutto, essenziale: non bello da vedere, ma esattamente quello che serviva. Roma in vantaggio.

Qualche anno dopo, con la fascia da capitano al braccio, Pellegrini tornerà a stupire in un’altra categoria. Ma questa è un’altra storia, e ci torneremo più avanti.

 

Il tacco alla Ménez

Jérémy Ménez è l’esempio pratico del concetto di genio e sregolatezza: tecnica sopraffina, ma una voglia che troppo spesso viaggiava sotto il minimo sindacale. La seconda giornata del campionato 2014-15 ci regala un pirotecnico Parma-Milan, una partita che finirà 4-5. Tuttavia, il gol che cattura la nostra attenzione è quello siglato dal “Houdini” francese al minuto 79’, per il momentaneo 3-5.

Che le difese fossero tutt’altro che impenetrabili lo suggerisce il risultato, ma l’errore della retroguardia ducale in quest’azione è particolarmente marchiano: un retropassaggio pigrissimo verso il portiere, con Ménez già in posizione, potenzialmente sulla linea di passaggio.

A quel punto, il francese si prende la scena a modo suo: intercetta il pallone, salta il portiere con un movimento “in orizzontale”, muovendosi parallelamente alla linea di porta. Fa passare la palla alla destra del portiere mentre lui si invola alla sua sinistra, una mossa tanto rapida quanto letale. Infine, conclude con un colpo di tacco che ha la naturalezza di un passo: un gesto così fluido che sembra quasi che la palla sia uscita dal suo piede senza essere colpita.

 

Il tacco alla Muriel

Un colpo che possiamo definire parente stretto del tacco alla Ménez. Non solo per l’attitudine tecnica e psicologica di Luis Muriel, un giocatore capace di alternare straordinarie giocate a momenti di pura apatia, con atteggiamenti talvolta quasi irrispettosi per la loro apparente mancanza di professionalità. La somiglianza tra i due gesti, però, risiede nel fatto che, a differenza degli altri gol di questa rassegna, il colpo di tacco decisivo arriva al culmine di un possesso palla prolungato e non come risposta immediata a un assist del compagno.

Nel gol con cui l’Atalanta ha condannato proprio il Milan nei minuti di recupero c’è una differenza fondamentale rispetto al gesto del francese. La parte iniziale dell’azione è meno spettacolare, meno arzigogolata, ma non per questo meno efficace. È essenziale, diretta, priva di fronzoli: non un dribbling fantasioso, ma un controllo palla funzionale a trovare la soluzione migliore.

Ed è qui che entra in scena la magia. Muriel riceve un passaggio dalla destra, controlla la palla con la suola, portandosela avanti con naturalezza. Poi, con il destro, sferra un colpo di tacco che sembra tanto semplice quanto impossibile da imitare. Un gesto che appare facile come bere un bicchier d’acqua, almeno in apparenza. Ma solo chi conosce a fondo il gioco sa quanto difficile sia trasformare l’ordinario in straordinario con una tale grazia.

 

Lo scorpione

Il colpo preferito nei campetti, sulle spiagge e nei parchi di tutto il Paese: spettacolare da vedere, estremamente efficace nelle situazioni caotiche, ma anche incredibilmente difficile da eseguire. Il re indiscusso di questa categoria è senza dubbio Olivier Giroud, che il 1º gennaio 2017, in un Arsenal-Crystal Palace, ha fatto alzare in piedi gli amanti del calcio di tutto il mondo.

A rendere ancora più poetico il suo gol, una rapida e letale ripartenza dell’Arsenal, arricchita da un primo colpo di tacco mancino di Giroud che, nel contropiede, si rivela decisivo. La palla arriva ad Alexis Sánchez sulla sinistra, che la rimette al centro. Giroud, in corsa, sembra troppo veloce per coordinarsi, ma come il proverbiale calabrone, non lo sa e la colpisce lo stesso. Con un incredibile colpo dello scorpione, il francese devia il pallone in rete di mancino. Un gol straordinario, insignito del Puskás Award, e che resterà scolpito nella storia.

 

Il tacco alla Ibra

Il colpo di Zlatan Ibrahimović è simile al famoso “scorpione”, ma con una variante unica: il piede rimane piantato a terra. Questo gesto tecnico è frutto della sua passione per le arti marziali e delle eccezionali doti atletiche sviluppate negli anni. È difficile collocarlo in un momento specifico, perché è diventato un marchio di fabbrica dello svedese.

Tra i tanti esempi, il più celebre è sicuramente quello realizzato contro l’Italia a Euro 2004, quando Ibra inflisse un colpo letale alla nostra Nazionale.

 

Il tacco alla Maniero

Ecco un esempio che ci riporta a un calcio ormai diverso, quello degli anni Novanta e Duemila. Pippo Maniero è il prototipo dell’attaccante di provincia: sempre pronto in area, capace di arrivare in doppia cifra con squadre di bassa classifica, ma mai abbastanza forte da conquistare un ruolo di primo piano nelle big, salvo una breve parentesi al Milan.

La sua coppia iconica con Álvaro Recoba al Venezia, seppur breve, ha regalato momenti memorabili. Uno di questi è il gol del 20 gennaio 1999, nel recupero tra Venezia ed Empoli, in cui Maniero si esibisce in un gesto tanto irriverente quanto efficace. Su un cross del Chino dalla sinistra, Maniero anticipa il movimento e, invece di colpire di sinistro o di testa, si avvita e colpisce di tacco destro. Il pallone finisce in rete, regalando un momento di pura genialità. Un gol tanto complesso quanto unico.

 

Il tacco alla Crespo

Un colpo che, pur essendo ricorrente, ogni volta riesce a sorprendere. Hernán Crespo, uno dei bomber più eleganti e completi della sua epoca, ha lasciato il segno con un tacco leggendario in un Juventus-Parma del 1999.

L’azione è semplice, ma dalla sua naturalezza deriva la sua bellezza. Cross rasoterra dalla fascia, Crespo attacca il primo palo con un movimento fluido, evita il tocco con il sinistro e colpisce di tacco con il destro. Un gesto perfetto, in cui il tacco diventa la diretta emanazione del suo armonico movimento. Questo colpo, eseguito da tanti altri campioni, è tornato prepotentemente in auge grazie a Afimico Pululu, attaccante dello Jagiellonia, che nelle prime due presenze europee in Conference League ha segnato ben due gol di tacco, uno con il sinistro e uno con il destro.

Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.