Il più grande show nell’NBA odierna non è un giocatore con un atletismo fuori dalla norma che regala cinque schiacciate a partita, né una guardia che spara triple da dieci metri. È Nikola Jokić, un ragazzo serbo che incarna un po’ l’immagine di antieroe della classica superstar: non salta come i suoi colleghi, non è abbonato alle giocate da highlight e si mostra al pubblico con un apparente disinteresse per la pallacanestro. “Apparente”, sì, ed è bene sottolinearlo perché la verità è l’opposto: l’ossessione per la vittoria di Jokić non ha nulla da invidiare alla fin troppo celebre Mamba Mentality.
The Joker ha vinto il titolo nel 2023, ma ciò non è bastato a far comprendere ad una grossa fetta di appassionati la portata del fenomeno che avevano davanti agli occhi. Da quel momento hanno salutato Denver due role player chiave, Bruce Brown Jr. e Kentavious Caldwell-Pope, mentre Jamal Murray sembra aver perso un po’ di brillantezza fisica. E così, oltre ai soliti Michael Porter Jr. e Aaron Gordon (attualmente in infermeria), intorno a Jokić è rimasto un gruppo di giovani più o meno acerbi e Russell Westbrook, un giocatore che ha portato più problemi che soluzioni nelle sue ultime avventure.
L’insieme di tutte queste condizioni ci ha restituito, per necessità, una versione ancora più dominante. E ammesso che ci sia ancora spazio per la citazione di Federico Buffa “i numeri lo offendono”, è proprio questo il caso di Nikola Jokić: i 29,7 punti e 10,6 assist di media raccontano infatti solo una parte del suo impatto offensivo, per descrivere il quale si deve scavare più a fondo.
Il cheat code Nikola Jokić ribalta i Denver Nuggets
È necessario, ad esempio, dare un’occhiata all’on/off. Questa metrica misura la differenza di net rating (differenziale punti per 100 possessi) della squadra tra i minuti con il giocatore in campo, e quelli in cui è in panchina. Ecco, con Jokić si tocca attualmente quota +30,5: un dato fuori di testa. Per dare qualche riferimento, Steph Curry nel 2020-21, stagione in cui Klay Thompson era infortunato, si “fermò” a +13,3; LeBron James nei Cleveland Cavaliers 2008-09, a +17,8. E credere che il motivo sia la scarsa competitività del contesto sarebbe, in parte, un errore, lo ricorda il dato registrato nella stagione 2022-23, chiusa con la vittoria del titolo: +24.3.
Ancora: quando Jokić non è sul parquet, l’attacco di Denver segna la miseria di 95,3 punti su 100 possessi. I Philadelphia 76ers 2015-16 – per intenderci quelli delle 72 sconfitte stagionali – ne segnavano 98,3. Con Jokić in campo, invece, i Nuggets scollinano quota 130. Gli “invincibili” Golden State Warriors 2016-17, nei possessi con Curry, Thompson e Kevin Durant, non andavano oltre i 123,8. Il serbo, insomma, prende in mano un attacco che sarebbe tra i peggiori della storia NBA, e lo porta a registrare numeri astronomici.
With Nikola Jokić off the floor, the Denver Nuggets' offensive rating is 86.3 – the worst in NBA history.
With Jokić on the floor, their offensive rating is 125.8 – the best in NBA history.
CRAZY 🤯 pic.twitter.com/zG0nloDiU4
— Basketball Forever (@bballforever_) November 19, 2024
A renderlo unico è la combinazione tra l’efficienza nello scoring, con il 66% di true shooting (+8% rispetto alla media NBA, paragonabile al Curry dei tempi migliori), e un passing game sostanzialmente impeccabile. Jokić non la passa al compagno solamente quando non ha un’opportunità per sé: la scarica tutte le volte in cui vede una chance migliore di segnare, senza dare alcuna importanza a qualche gara con “soli” 15 punti a referto. Questo approccio, unito a forza fisica, tocco delicatissimo e visione da playmaker, fa di lui un attaccante inaffrontabile per qualsiasi difesa NBA, o quasi. “È difficile giocare contro uno che vede un anticipo quello che sta per succedere sul campo”, ha detto un giorno LeBron James. L’unico modo per arginarlo è imitare i Minnesota Timberwolves dell’anno scorso, quindi mettere in campo due lunghi come Karl-Anthony Towns e Rudy Gobert, una scelta che spesso diventa la diretta conseguenza di altri problemi, soprattutto a livello offensivo.
Un bug, insomma. O come amano dire oltreoceano, un cheat code. Tre MVP (quarto in arrivo?), d’altronde, non si vincono per caso, e per quanto visto negli anni dopo la bubble, ormai la portata del fenomeno dovrebbe essere chiara a chiunque: siamo davanti a un talento generazionale, che merita di entrare nelle discussioni tra i migliori giocatori di sempre. Eppure in quelle conversazioni, al fianco dei soliti mostri sacri del passato, sentiamo sempre gli stessi nomi: Stephen Curry, Kevin Durant, LeBron James e mai il suo. Senza girarci intorno: dati (e non solo) alla mano, ci sono validi argomenti per considerare questa versione di Jokić il miglior attaccante mai visto in NBA. La sua produzione offensiva non è assolutamente inferiore a quella di Michael Jordan, Larry Bird, Magic Johnson e Shaquille O’Neal, per scomodare qualche leggenda.
È invece l’impatto difensivo ad abbassare le sue quotazioni contro i competitor nelle classifiche All-Time. Nonostante sia migliorato nel corso degli anni, rendendosi sempre attivo per intercettare passaggi imprecisi e soprattutto correndo in transizione difensiva, è chiaro che la sua lentezza negli spostamenti laterali rappresenti un problema nella NBA attuale. È vero, oggi Shaq – pur con una capacità ben superiore di proteggere il ferro – avrebbe lo stesso tipo di problema, in un basket fatto di attacchi che dilatano le spaziature e difese costrette ad inseguire; d’altra parte, le comparazioni tra giocatori di ere diverse (attacco-centriche per antonomasia) possono avere senso soltanto tenendo saldo un presupposto, ovvero l’indissolubilità del singolo con il contesto di riferimento. E la storia recente, in fin dei conti, ci ha dimostrato che le carenze difensive del nativo di Sombor possono essere nascoste, anche ad altissimo livello.
Il pezzo mancante del puzzle
Jokić oggi ha 29 anni, con tre MVP in bacheca – and counting – e un titolo regalato nel 2023 ad una franchigia, Denver, che non si era mai laureata campione NBA. Il tutto nella squadra che lo ha scelto al Draft 2015 nel secondo round, con la quarantunesima chiamata – a proposito della non convenzionalità che rappresenta come stella della lega. Stando all’impatto in campo non ci dovrebbero essere dubbi, e allora cosa manca perché venga percepito tra i migliori della storia? La risposta è piuttosto semplice: un altro titolo. Non è bastato eliminare nel 2023 i Suns di Booker e Durant, e poi i Lakers di LeBron e Davis: lo spietato meccanismo di valutazione del mondo della pallacanestro prevede infatti che a giocare una parte fondamentale del dibattito sia il numero di anelli – plurale – al dito. È necessaria un’altra cavalcata trionfale, insomma, magari passando per una serie playoff particolarmente iconica.
Jokić ne è capace e il suo gioco non dovrebbe risentire troppo dell’avanzare dell’età. L’incognita, semmai, risiede nella capacità di Denver di confermarsi – o meglio, tornare – la squadra giusta per permettere a Nikola di rimanere ad altissimi livelli; e guardando la gestione del mercato post-titolo, è lecito purtroppo avere qualche perplessità in merito. Per assecondare le logiche del nuovo CBA, così stringenti per chi vuole trattenere a lungo i propri migliori giocatori, i pilastri della rosa 2023 sono stati sostituiti dai vari Christian Braun, Peyton Watson e Julian Strawther. E la resa, soprattutto all’inizio, non avrebbe potuto in alcun modo non risentirne.
Il serbo, che non dà alcun tipo di importanza a questioni astratte come le classifiche all time, di certo non andrà mai a sbattere i pugni sul tavolo del front office per chiedendo un’altra star o una cessione sul mercato. D’altronde, finché il suo livello di gioco è questo, il Joker costituisce da solo una garanzia di competitività, anche con un roster non all’altezza del massimo palcoscenico. Allo stesso tempo, in una Western Conference tanto colma di nuclei interessanti quanto carente di squadre imbattibili, lasciarsi scappare l’opportunità di tornare alle Finals potrebbe diventare un enorme rimpianto.
La storia dell’NBA ci insegna che i momenti di equilibrio hanno una data di scadenza e gli Oklahoma City Thunder sembrano avere tutte le carte in regola per cannibalizzare la Conference nei prossimi anni. Dal canto loro, i Nuggets hanno in mano una pepita d’oro che si vede una volta ogni 30 anni e hanno la responsabilità – in un certo senso l’obbligo – di massimizzarne il valore. Jokić non è solo un pluri-MVP e un talento generazionale, ma anche un candidato all-timer e il custode di un’era senza precedenti per i Denver Nuggets. Manca un ultimo, grande passo.
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