Da settimane si parla molto di Rúben Amorim. Inizialmente per merito dei risultati raggiunti in patria alla guida dello Sporting Lisbona, del gioco espresso e, conseguentemente, delle prestazioni di alcuni suoi giocatori, nonché delle illazioni estive di mercato che lo vedevano come prescelto del Manchester City per una futura sostituzione di Pep Guardiola. Ma a novembre è arrivata una svolta piuttosto inattesa: la chiamata del Manchester United, che ha fatto sì che il tecnico portoghese accettasse la corte dei Red Devils a stagione in corso dietro un lauto compenso offerto ai Leões – ossia gli 11 milioni della clausola rescissoria del tecnico – e allo stesso Amorim, che per 6,5 milioni di sterline a stagione ha accettato l’idea di lasciare incompiuta l’annata col suo ormai vecchio club.
Una scelta che ha fatto discutere, anche a causa di uno strano gioco di coincidenze. Se l’accordo con lo United è stato formalizzato il 1° novembre, a distanza di quattro giorni dall’esonero di Erik ten Hag, è perché la clausola prevedeva un congruo preavviso da dare allo Sporting prima di poterla esercitare. Le parti si sono accordate per ridurre il preavviso, cosicché Amorim è rimasto sulla panchina del club fino alla sosta per le nazionali. E siccome il dio del calcio è ironico e dispettoso, il 5 novembre ha messo di fronte lo Sporting e il Manchester City. Contro ogni pronostico, lo Sporting si è imposto con un pesante 4-1, arrampicandosi al secondo posto della classifica della League Phase della Champions alle spalle del Liverpool. Una situazione che, unita al perentorio primato domestico dello Sporting – 11 vittorie in altrettante partite, +6 sul Porto secondo in classifica, 39 gol fatti e appena 5 subiti – e alla situazione costantemente precaria del Manchester United ha instillato un grande dubbio tra gli appassionati: è stata una scelta coraggiosa o una follia?
Sporting Lisbona: successi e prospettive future
La necessaria premessa è quella data dalla valutazione del lavoro fatto da Amorim, riassumibile nel concetto di crescendo rossiniano. Interrotta la carriera da calciatore ad appena 32 anni, dopo un anno di stop è divenuto allenatore del Casa Pia, salvo essere poi chiamato dal più quotato Braga, con cui ha vinto la Taça da Liga – ossia la coppa di lega portoghese, seconda coppa nazionale per importanza – nell’unica stagione da tecnico. Quindi, con appena due anni di esperienza, nel 2020 ecco la chiamata dello Sporting Lisbona. Qui è arrivata la definitiva consacrazione. Amorim ha saputo immediatamente dare una svolta alla storia dei Verde e Brancos. Nel suo primo anno sulla panchina del club ha riportato il titolo in bacheca a distanza di 19 anni dall’ultima volta, interrompendo il lungo duopolio Porto-Benfica che aveva di fatto estromesso i Leões dai vertici del calcio lusitano.
Dopo il secondo posto e la vittoria della Taça da Liga l’anno seguente, il nome di Amorim inizia a farsi strada nei corridoi del calciomercato europeo a partire dalla stagione 2022-23. Sebbene in campionato arranchi – terminerà la stagione in quarta posizione – e in Champions League chiuda al terzo posto un girone carico di suspense solo grazie al gol subito al 95’ dall’Olympique Marsiglia in casa contro il Tottenham, la retrocessione in Europa League apre scenari sin lì imprevisti e imprevedibili. Dopo aver spazzato via il Midtjylland nel turno dei playoff, agli ottavi lo Sporting ribalta ogni pronostico, portando ai rigori la favorita numero uno della competizione, l’Arsenal, con un gol da centrocampo di Pedro Gonçalves ed eliminandola ai rigori.
Improvvisamente lo Sporting diventa una squadra temutissima in sede di sorteggio, anche grazie al suo gioco spumeggiante, frutto del continuo interscambio tra gli attaccanti e centrocampisti per l’assenza di un vero e proprio punto di riferimento offensivo. Il già citato Gonçalves, fondamentalmente un centrocampista centrale, nelle notti che contano funge da falso 9, con l’unico centravanti di ruolo, Paulinho, relegato in panchina. Ai suoi fianchi gravitano l’inglese Marcus Edwards e il redivivo Francisco Trincão, rigenerato dopo la prematura e fallimentare esperienza al Barça. Il tutto all’interno di un 3-4-3 con un punto di riferimento in mediana come Manuel Ugarte, tecnicamente dotato ma al tempo stesso mastino affidabile. Il risultato è una squadra capace di difendere con un 5-4-1 o addirittura in un 5-5-0 in fase di non possesso, al fine di fare aumentare la densità nelle zone calde del campo. Ciò permette di sfruttare la tecnica di centrocampisti e braccetti per una rapida e qualitativa circolazione del pallone finalizzata a ripulire l’azione durante le transizioni offensive, tentando sporadiche accelerazioni e forzature per attivare le ripartenze veloci del tridente e far male agli avversari con un assetto 3-2-2-3 in fase di possesso.
Il cammino dello Sporting Lisbona, gravato anche dalla squalifica di Ugarte – espulso sul finale dei supplementari contro l’Arsenal – si interrompe ai quarti di finale al cospetto della Juventus ma, sul finire della stagione, arriva il terzo trofeo in tre anni, un’altra Taça da Liga. Quello che pare mancare alla squadra è principalmente un bomber di razza e un punto di riferimento offensivo che tenga costantemente sull’attenti le retroguardie avversarie e possa finalizzare i ricami e i movimenti dei giocatori che gli agiscono alle spalle. Il nome individuato è quello di Viktor Gyökeres. Cresciuto nel florido vivaio del Brommapojkarna, non si tratta esattamente del nome che scalda i tifosi. 25 anni, viene da due grandi stagioni dal punto di vista realizzativo, ma in Championship. La spesa di 20 milioni, che lo rende l’acquisto più costoso della storia dei Leões, causa mugugni tra i tifosi. Con il gioco di Amorim, invece, Gyökeres diventa semplicemente una macchina perfetta. 29 gol in campionato, 9 nelle due coppe nazionali, 5 in Europa League, dove i biancoverdi chiudono secondi nel girone dell’Atalanta e sempre dalla Dea vengono eliminati agli ottavi di finale. Il tutto con il secondo titolo nazionale dell’era Amorim e la finale di Taça de Portugal persa ai supplementari contro il Porto.
L’inizio della stagione in corso è ancora più roboante. Detto dei numeri entusiasmanti dello Sporting in campionato e dell’ottimo cammino in Champions, con 10 punti in quattro partite, frutto di 9 gol fatti e 2 subiti, il bomber svedese sta seminando il terrore tra gli avversari che gli si parano innanzi: 16 gol in 11 partite di campionato, 2 gol in 2 partite nelle coppe nazionali, 5 gol in 4 partite di Champions, una media pazzesca e una sensazione di dominio praticamente inarrestabile di quello che è ormai univocamente considerato come il prossimo attaccante da 100 milioni. Un andamento individuale e di squadra che ha spinto molti a farsi una domanda: Amorim avrebbe potuto ragionevolmente ambire a portare lo Sporting più in alto rispetto all’aver vinto praticamente tutto in patria?
Tutti i gol siglati dallo Sporting in questo avvio di stagione
L’uomo che dovrà risolvere il caos del Manchester United
Per contro, lo scenario che fa da panorama al Manchester United è radicalmente opposto: una squadra allo sbando, preda di decisioni societarie pressoché folli e di mercati costosi e disfunzionali, che sta facendo disamorare il nocciolo duro di una tifoseria che nel giro di un decennio è passata dai successi continui dell’era Ferguson a diventare la seconda squadra della città e, in alcuni frangenti, una sorta di barzelletta per il calcio inglese. E proprio da Sir Alex Ferguson, recentemente allontanato proprietà dal suo ruolo di ambasciatore e consigliere, parte una necessaria analisi. Al regno pressoché infinito dello scozzese, durato ben 27 anni e impreziosito da 38 trofei – tra i quali 13 campionati inglesi, 2 Champions League e una Coppa delle Coppe – ha fatto seguito un periodo di 11 anni molto avari di soddisfazioni.
Tra allenatori scelti e incarichi ad interim, sulla panchina dei Red Devils si sono accomodati ben nove allenatori che hanno portato la miseria di sette trofei, tre dei quali sotto la guida di José Mourinho nella stagione 2016-17. Ma, bene precisarlo, si è trattato di un solo trofeo maggiore – l’Europa League del 2017, appunto – e di sei trofei nazionali “minori”: due Community Shields, due Carabao Cup e due FA Cup. L’esperienza sotto ten Hag, piuttosto discussa negli scorsi anni non solo per i modesti risultati ma anche per la totale assenza di valorizzazione del parco giocatori del club – con tanto di allontanamento forzato di Cristiano Ronaldo e la rinascita di Jadon Sancho fino alla finale di Champions League nel 2024 – ha esasperato i tifosi. Lo United e 15° in Europa League, 13° in Premier. Una situazione tutt’altro che agevole, quella in cui si è calato Rúben Amorim: si è trattato di una mossa sensata o di una follia?
Pro e contro: Rúben Amorim ha fatto la scelta giusta?
Non si può che partire dalla grande dicotomia che governa i rapporti umani: amore o vil denaro? Già citate le cifre stellari del contratto del giovane tecnico portoghese, è lecito chiedersi se l’affetto offerto dalla piazza dello Sporting e la bontà del progetto e dei risultati valessero una rinuncia, quantomeno temporanea, alla chiamata di una nobile del calcio mondiale. In tal senso, se si parla di amore e attaccamento, è doveroso fare una precisazione finora evitata: durante la sua carriera da calciatore, Amorim ha vestito per sette stagioni la maglia del Benfica. Sarebbe quindi quantomeno curioso appellarsi ai sentimenti oggi, quando Amorim ha dimostrato – legittimamente, in fin dei conti – che la propria ambizione professionale vale più della maglia che per più tempo ha difeso in carriera.
E a proposito di ambizione e di una domanda già posta in precedenza, la sensazione è che lo Sporting non potesse ambire ad arrivare più in alto rispetto alle vette già raggiunte. Il lavoro impostato da Amorim in questo avvio di stagione porterà probabilmente il club a vincere ancora il campionato ma, al tempo stesso, al dominio in patria fa da contraltare l’impressione che la squadra non sia abbastanza forte per poter ambire a stretto giro a risultati significativi in ambito europeo, ancor più considerando che la nuova formula della Champions League, non prevedendo retrocessioni, vincola i biancoverdi lusitani alla massima competizione sia in questa che, quasi sicuramente, nella prossima stagione nella quale, peraltro, Gyökeres potrebbe anche volare verso altri lidi a fronte di cifre a otto zeri.
D’altro canto, per un allenatore con fiducia nei propri mezzi, il Manchester United è una sfida dal fascino impareggiabile: oltre al prestigio, si tratta di un club tra i più ricchi al mondo, stimato da Forbes al secondo posto nella classifica delle società calcistiche di maggior valore nonché la squadra che vanta il maggior numero di tifosi a livello planetario. Le potenzialità pressoché infinite sul mercato in ottica futura, la visibilità, la convinzione di poter sistemare le cose con l’attuale organico – che potrebbe legittimamente aver underperformato a causa della precedente gestione tecnica – e, perché no, il fatto che sulla carta i Red Devils siano la favorita numero uno per la vittoria in Europa League, forniscono un’appetibilità anche a livello continentale che lo Sporting, pur al massimo del suo splendore, non potrà mai garantire. Rúben Amorim ha fatto la scelta giusta, vedremo se il suo coraggio sarà premiato come merita.
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