Un estratto dal libro “Rimpalli” di Teodoro Lorenzo (editore Voglino Editrice).
Il dio del calcio sceglie i suoi favoriti. Tra questi ha scelto suo figlio. Una delle discussioni più ricorrenti tra i pontificatori riguarda chi sia stato il più grande calciatore della storia e il dibattito si aggroviglia intorno a Maradona e Pelè. E comincia il teatrino: si contano i gol di Pelè ma si ribatte che il campione brasiliano non ha mai giocato in Europa e quindi i suoi gol valgono di meno non essendosi mai confrontato con i più forti della sua epoca; a quel punto si risponde che Pelè ha segnato anche nei campionati del mondo dove i più forti c’erano eccome e di titoli ne ha vinti tre; grazie, ma lui non ha mai avuto un infortunio serio, in più ha sempre militato in una sola squadra, dove tutti giocavano per lui, Maradona ha giocato in Europa, ha subito un grave infortunio, ha vinto un mondiale da solo eccetera eccetera, e avanti così per interi pomeriggi.
Non si arriva a niente e ognuno rimane della sua idea. Sono discussioni vane perché i pontificatori non hanno ancora capito che non sono gli uomini a scegliere e a decidere. Tagliamo corto: il più grande, suo figlio, si chiama Diego Armando Maradona. Così ha deciso il dio del calcio, dandone notizia al mondo il 23 giugno 1986. Quel giorno a Città del Messico l’Argentina affronta l’Inghilterra nel campionato del mondo. La storia è universalmente nota ma è bene rammentarla. Al di là dell’importanza sportiva, quella non poteva essere una partita qualsiasi. La guerra delle Falkland si era conclusa appena quattro anni prima. Il sangue argentino dei seicentocinquanta caduti su quelle rocce sperdute in mezzo all’Atlantico era ancora fresco.
Il dio del calcio decise di presentare al mondo suo figlio proprio in quella partita, rendendo eternamente evidente la sua scelta e quindi inutili le discussioni di cui sopra. Tutto avviene nello spazio di tre minuti: tre minuti che hanno cambiato la storia del calcio. Al 51° minuto si impenna a campanile un pallone in mezzo all’area inglese: Maradona lo segue, con la mano stretta a pugno lo colpisce, elude l’intervento di Shilton e lo indirizza in porta. Maradona era alto centosessantacinque centimetri, non aveva elevazione, in tutta la sua carriera avrà fatto due o tre gol di testa, senza mai alzarsi da terra. Che avesse superato non un avversario ma addirittura le mani protese di un portiere avrebbe insospettito chiunque.
Ma il dio del calcio aveva deciso. E per un attimo, l’attimo decisivo, coprì gli occhi di arbitro e guardalinee. Non quelli degli inglesi, che videro subito il gesto gaglioffo, ma protestarono inutilmente. Come fece Apollo con Enea nello scontro sotto le mura di Troia, quando sollevò una nuvola nera nascondendolo alla vista del gigante Diomede che stava per ucciderlo con la sua clava. Ma non era che l’inizio. Il dio del calcio aveva programmato tutto. Lui aveva già scritto il copione: gli uomini lo stavano solo recitando. Si era appena concluso il primo atto: si stava per alzare il sipario sul secondo.
Il dio del calcio non poteva permettere che nella memoria degli uomini rimanesse quella furbata malandrina. Il disvelamento della sua scelta doveva essere evidente. Nessun dubbio doveva rimanere sulla terra. Ci voleva un miracolo perché fosse chiara a tutti la sua decisione. Un miracolo che rivelasse la natura divina di Maradona. Perché fosse chiaro a tutti che il Messia era arrivato. E miracolo fu. Avvenne dopo appena due minuti. Al 53° minuto Maradona riceve un pallone molle, insignificante; il difensore se ne è liberato perché non sa cosa farsene: ha visto Maradona davanti a sé e gliel’ha appoggiato. Con una piroetta Maradona si gira su se stesso e si trova faccia a faccia con tutta l’Inghilterra. Una intera nazione è schierata davanti a lui: con i suoi tre leoni, il suo impero coloniale, le vittorie e le elisabette, il tè alle cinque, la city, la bombetta, la prosopopea di chi non ha mai perso una battaglia.
Maradona comincia la sua cavalcata. Uno sgorbio arrivato dalla fine del mondo, dalla polvere e dalle lamiere di un tugurio senza luce né acqua, perso nel nulla, lancia la sua sfida agli eredi di quello che fu l’impero più grande che la storia degli uomini abbia mai conosciuto. Più grande dell’impero di Alessandro, di Roma, dei mongoli di Gengis Khan: quello della regina Vittoria, con l’India a rifulgere nella corona regale come la gemma più preziosa. Quel pomeriggio un botolo argentino ne fece scempio. Lo fece in undici secondi: undici secondi e dodici tocchi, tutti di sinistro. Supera cinque avversari, cioè mezza squadra, e supera anche il portiere, come beffa suprema e suggello imperituro.
L’impero è frantumato; con il gol più bello della storia. L’Inghilterra è schiantata, annientata e boccheggiante ai suoi piedi. La mano malandrina è già dimenticata. Scende il sipario, l’opera è completa. Nessuno potrà mai dire che l’impero è stato sconfitto da un baro che aveva truccato le carte. Davide aveva affrontato il gigante Golia, faccia a faccia, e l’aveva umiliato. Ma non fu un uomo a decidere tutto questo: fu il dio del calcio. Quel giorno avvenne la consacrazione di Maradona. Quel giorno cominciò la sua epopea: da lì ebbe inizio la consacrazione del mito. L’Argentina si era ripresa la sua rivincita, era stato riconsegnato l’onore ad un intero popolo, il sangue dei seicentocinquanta caduti si era rappreso: anche loro finalmente potevano riposare in pace.
Pensate però a cosa sarebbe successo se il dio del calcio non avesse coperto gli occhi dell’arbitro e del guardalinee, cosa sarebbe successo se loro si fossero accorti dell’astuzia malandrina. Il gol sarebbe stato annullato, Maradona sarebbe stato espulso, non avrebbe segnato il secondo gol, quello più bello della storia, l’Argentina non avrebbe vinto la partita e non sarebbe arrivata a giocarsi la finale con la Germania. Maradona sarebbe stato gettato nel fango dei reietti. Sarebbe stato per sempre ricordato come il malandrino di Villa Fiorito. La sua storia e quella del calcio sarebbero state completamente diverse. Altro che leggendario re del calcio: sarebbe stato un misero ladro di gol: un ladro e un drogato. Ma non andò così. Perché lui era il figlio del padrone.
Quale figlio di un dio, Maradona ne ha condiviso la natura. Per questo siamo ad un livello superiore rispetto a Pelè. Pelè è un uomo: siamo al massimo della perfezione, siamo al livello più alto che un uomo possa raggiungere ma rimaniamo pur sempre in quel perimetro biologico. Ad un certo punto della sua carriera, in coincidenza con un periodo di prestazioni non esaltanti, Pelè fu sottoposto ad una accurata visita medica e questo fu il responso dei medici: il corpo e la mente di Pelè sono perfetti, qualsiasi attività egli avesse deciso di intraprendere sarebbe stato il numero uno. Pelè aveva resistenza e scatto: i suoi muscoli elastici ed esplosivi lo rendevano imprendibile nella corsa e irraggiungibile nei duelli aerei. Correva i cento metri in undici secondi, una prestazione da sprinter olimpico.
Se alla perfezione atletica aggiungiamo la perfezione tecnica il quadro è completo. Usava allo stesso modo il destro e il sinistro; in corsa o da fermo i suoi tiri erano precisi e imparabili. Pelè era la somma di due perfezioni: fisica e tecnica. I suoi gol sono stati un campionario di bellezza. Li ha fatti in tutti i modi: di destro, di sinistro, di testa, su punizione, in acrobazia. E da tutte le posizioni. Solo lui nella storia del calcio ha mostrato al mondo una tale straordinaria ricchezza di repertorio. Solo lui ha posseduto queste eccezionali abilità. Ma era un uomo.
Quando si rivedono sul web le sue azioni di gioco, sebbene si rimanga abbagliati da tanta sublime bellezza, si avverte il senso della fatica umana, sembra quasi di poter toccare il sudore della maglia. E lui per primo sapeva bene di non poter oltrepassare i limiti della sua natura. Per questo si allenava duramente: la sua vita è stata quella ascetica di un monaco, interamente votata alla professione. Pelè non ha mai saltato un allenamento in vita sua, se non per infortunio. Sapeva che se voleva mantenere quel livello doveva continuare a tenere la macchina in perfetta efficienza, pulita e ben oliata. Ed anche i suoi gol ci rimandano la stessa impressione: una tecnica impareggiabile, portata a livelli estremi di perfezione, ma niente di divino. Gol eccezionali eseguiti con una tecnica sopraffina. Ma in nessuno di essi si vede l’impronta di un dio. Se proprio si vuole fare una classifica, allora Pelè è sicuramente il primo tra gli uomini.
Disse bene Maldini quando gli chiesero di stilare la sua classifica personale. Ne citò alcuni, ma non Maradona. “E Maradona?” gli chiesero. “Maradona è fuori classifica, lui non è umano”. Maradona fisicamente era uno sgorbio, piccolo e grasso. Le sue prestazioni atletiche erano nulle; non era veloce e non aveva elevazione. In più usava solo un piede, il sinistro. Disse Pelè, che nonostante l’apparenza non era un uomo accomodante:
Maradona giocava solo con il sinistro e non sapeva colpire di testa. Il suo gol di testa più famoso l’ha fatto con la mano.
Aveva ragione. In più era un drogato, viveva di notte, frequentava prostitute di ogni genere, non si allenava quasi mai. Dopo la partita della domenica si faceva vedere al campo il giovedì mattina. Poteva un uomo così diventare quello che è diventato senza la volontà e l’intervento di un dio? Del resto sono le sue stesse azioni di gioco a mostrarcene la natura divina. Nessuno, nemmeno Pelè, avrebbe potuto fare i gol che fece Maradona. La differenza non sta nella loro esecuzione tecnica ma sta a monte, nella soluzione scelta, nel pensiero che precede quella esecuzione. Nessuno tra gli umani poteva pensare di tentare quei tiri, di fare quello che faceva il dio Maradona. E così vediamo gol da centrocampo, gol dalla bandierina del corner, gol con beffardi pallonetti dal limite dell’area. Gol impossibili per tutti, ma non per lui.
Solo un dio poteva suggerirgli quelle giocate, eseguite senza sforzo, leggere e senza peso. In nessuna azione di Maradona si vede l’impegno dell’uomo: in tutte si vede la leggiadria di un angelo. I gol di Pelè ti spingono all’applauso, li osservi e ti viene voglia di applaudire. Gli applausi sono la reazione istintiva ad un’attività umana ben eseguita. Nascono spontaneamente. I gol di Maradona paralizzano le mani e non suscitano alcuna reazione. Li guardi e rimani a bocca aperta. Esattamente quello che accade di fronte ad un miracolo. Che è una manifestazione divina, non umana.
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