Durante l’infanzia passavo giornate intere a sfogliare un vecchio almanacco comprato in qualche bancarella dell’usato. Avevo da qualche anno iniziato a guardare partite di calcio e ne ero rimasto completamente folgorato. Adoravo osservare i movimenti dei calciatori in campo, carpirne i gesti tecnici per poterli emulare in un campetto come qualsiasi altro bambino. Ma fu una videocassetta contenente le gesta di Diego Armando Maradona a farmi appassionare alla storia di questo meraviglioso sport, a spingermi a conoscere epopee calcistiche che mai avrei potuto esplorare.
Anche la domenica dell’8 maggio 2005, libero da impegni scolastici e dopo aver fatto compagnia a mio padre durante il Gran Premio di Spagna di Formula 1, mi sedetti sul divano ed iniziai la mia solita lettura, concentrandomi sul Maracanazo del 1950. Mio padre si accomodò accanto a me e accese la tv, sintonizzandosi su una partita di tennis, prima di cadere in un sonno profondo. Due tennisti si scambiavano la palla in quel campo di terra rossa, sotto un sole cocente. Uno dei due era un ragazzino con i capelli lunghi ed una fascia in testa, che si muoveva da una parte all’altra del campo senza mollare un singolo colpo, non arrendendosi nemmeno all’inevitabilità della perdita del punto. Fu per me una folgorazione, la prima volta in cui mi invaghì del tennis. Un amore travolgente, un colpo di fulmine in una giornata anonima. Fu il giorno in cui mi innamorai di Rafael Nadal.
Resilienza e determinazione
Non avendo mai seguito una partita di tennis, non avevo alcun riferimento su chi dei due stesse prevalendo o come si segnasse un quindici. Guardavo lo spagnolo correre da una parte all’altra del campo, come se da ogni singolo punto dipendesse la sua vita. È la dote che Nadal ha messo più in evidenza durante la sua carriera: un’incrollabilità quasi commovente nell’opporsi a quelli che potessero essere i suoi limiti. Una fiducia immane in se stesso e la voglia di migliorarsi ogni giorno, allenamento dopo allenamento, partita dopo partita.
Torneo di Wimbledon 2008, il desiderio di ogni tennista, la meta a cui tutti i giovani aspirano da bambini. Sul trono del leggendario torneo inglese siede Roger Federer, il fuoriclasse svizzero e probabilmente più grande giocatore di tutti i tempi. Aveva battuto Nadal nelle precedenti due occasioni in finale, in due partite che avevano evidenziato i limiti dello spagnolo, nonostante la sua proverbiale garra. Non era ancora pronto. Non era pronto a sfidare Sua Maestà in quello che poteva ritenere il giardino di casa. È proprio il 2008 che certifica il definitivo salto di qualità dello spagnolo, da sovrano indiscusso della terra rossa a tennista completo. Dopo il solito trionfo al Roland Garros, Nadal si presenta in condizioni eccellenti al primo appuntamento su erba della stagione, l’ATP di Londra, torneo chiave in preparazione di Wimbledon. Sconfigge in due set combattuti l’astro nascente Novak Djokovic, che aveva trionfato nel primo slam della stagione, gli Australian Open.
La finale di Wimbledon 2008 è una pietra miliare del tennis moderno, un susseguirsi di emozioni folli, due filosofie opposte che si scontrano. La classe innata dello svizzero opposta alla resilienza dello spagnolo. Quel torrido pomeriggio di luglio rimasi incollato alla tv per 7 ore e 15 minuti, a causa anche di una pioggia che non danneggiò l’epicità della sfida. È il capolavoro di Nadal, la dimostrazione che con la forza di volontà si possono raggiungere risultati insperati, un’impresa titanica per chi fino ad allora veniva considerato soltanto un terraiolo.
La finale di Wimbledon 2008, versione integrale
Roger Federer e Rafa Nadal, oltre la rivalità
Crescere col mito di questi due campioni significa, per forza di cose, parteggiare per l’una o l’altra parte. Il tifo è un’emozione che non si spiega, la si avverte e basta. Ma non offusca la mente né il piacere di godersi un gesto tecnico o di applaudire l’avversario quando si dimostra superiore. La rivalità tra Federer e Nadal è l’essenza pura di chi ama lo sport: da una parte il talento sconfinato, che ti lascia di stucco ad ogni singolo colpo; dall’altra il lavoro duro, il sacrificio che conduce alla vetta. Ogni partita tra i due è una ricerca quasi spasmodica della perfezione, nel tentativo di prevalere sull’altro ognuno con le proprie armi. In ogni incontro si è sempre percepita una mistica rara, in ogni scambio un fluttuare di emozioni che solo i grandissimi sanno trasmettere.
Ma tra Roger e Rafa non c’è stata solo un’intensa rivalità sportiva, ma un’amicizia e un rispetto profondi. Emblematica la foto scattata alla Laver Cup, nell’ultimo match di Roger, in cui i due si lasciano andare a un pianto a dirotto tenendosi per mano. La fine di un’era sportiva, la sublimazione di un rapporto unico e sui generis tra due giganti.
Il Roland Garros e una carriera piena di successi
Per uno spagnolo risulta estremamente complesso farsi amare in Francia, è nell’ordine naturale delle cose. Il rapporto tra il maiorchino ed i tifosi francesi sugli spalti del Roland Garros è stato complesso. D’altronde chiunque si annoierebbe nel veder trionfare a casa propria sempre lo stesso tennista per ben 14 volte, un record assoluto. Ma come ha tenuto a sottolineare lo storico allenatore di Nadal, suo zio Toni, “non importa solo quanto vinci, ma soprattutto come lo fai”.
Rafa non è stato solo uno dei più grandi giocatori della storia del tennis, ma un esempio di sportività e di stile con pochi eguali al mondo. Il giusto tributo da parte dei tifosi francesi in occasione delle ultime Olimpiadi parigine è un riconoscimento totale non allo sportivo, ma all’uomo e ai suoi valori di lealtà ed onestà, che Nadal ha saputo trasmettere in tutta la sua lunghissima carriera. Il dominio incontrastato sul Philippe Chatrier rientra certamente tra le più grandi imprese nella storia dello sport: mai si era visto un tennista sovrano assoluto di una superficie. Rendere ordinario lo straordinario rientra certamente tra le grandi peculiarità della carriera dello spagnolo.
Se la terra rossa parigina risulta il suo feudo, non si può dire che Rafa non abbia mostrato la propria grandezza in qualsiasi palcoscenico abbia calcato. Con 4 US Open, 2 Australian Open e 2 Wimbledon, è uno dei quattro tennisti della storia – assieme a Roy Emerson, Rod Laver e Novak Djokovic – ad aver conseguito tutti i major in due occasioni. Ha trionfato per ben due volte alle Olimpiadi, in singolo e in un doppio, oltre ad aver conquistato 36 Master 1000.
Sciorinare i freddi numeri della sua carriera sarebbe sufficiente a farne emergere la grandezza, ma non a descrivere la forte intensità emotiva provata dai tifosi nei suoi numerosi incontri. Come la finale US Open 2013, in cui domina Djokovic in 4 set raggiungendo l’apogeo delle sue prestazioni sul cemento. O la clamorosa finale dell’Australian Open 2009, in cui batte Federer meno di 36 ore dopo una leggendaria semifinale contro Fernando Verdasco durata 5 ore e 14 minuti. O, ancora, come la grande impresa degli Australian Open 2022, probabilmente l’ultima grande partita di Rafa ed il simbolo della sua feroce determinazione. Sotto di due set, di un game e 0-40 sul suo servizio contro Daniil Medvedev, riesce nell’impresa di ribaltare il match, a 35 anni e con le cartilagini delle ginocchia ormai completamente erose. Un match che descrive lo spagnolo in maniera definitiva e totalizzante, tra classe, tenacia e spirito indomito.
La pazzesca rimonta di Nadal nella finale dell’Australian Open 2022, ultimo e simbolico sigillo di una carriera straordinaria
The last dance
L’ultimo match di Rafael Nadal non poteva che essere con la camiseta roja, cui ha sempre offerto un amore immenso ed incondizionato. Rappresentare il proprio Paese era uno dei grandi sogni a cui il piccolo Rafa aspirava quando ha imbracciato per la prima volta la racchetta nel villaggio di Manacor. Un susseguirsi di emozioni ha attraversato la mia mente, gli occhi diventati lucidi pian piano che si avvicinava la fine della partita. Non è solo la fine di un’era sportiva, ma anche quella di un ragazzo diventato uomo. Ognuno di noi associa un periodo della propria vita ad un personaggio o ad un’impresa sportiva. Chi, come me, ha legato infanzia e adolescenza a Federer o Nadal ha potuto assaporare l’essenza vitale dello sport. Lo sport inteso come rispetto ed educazione, valori fondanti che ognuno di noi dovrebbe far propri nelle fasi più delicate della propria crescita.
E quindi nel mio piccolo voglio ringraziarti, Rafa. Grazie per la tua serietà, per le emozioni, per il tuo spirito e per i tuoi gesti. Per avermi dimostrato come dinanzi alle difficoltà non ci si debba arrendere ma occorra combattere. Per avermi insegnato che nella vita non è importante la vittoria fine a se stessa ma anche come la si raggiunge. Grazie per avermi permesso di crescere al tuo fianco e di avermi regalato momenti irripetibili. Adelante Rafa, sei leggenda.
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