Didier Pironi, tra la Formula 1 e il balletto con la morte

Didier Pieroni - Puntero

Quella di Didier Pironi è una storia diversa. Che parla di sport ma non solo, unendo momenti di gloria ad altri più bui. Una storia di amicizia, litigi e colpi di scena con un filo conduttore: la morte. Un rapporto che ha visto il pilota francese intraprendere una macabra danza con il più drammatico degli eventi in varie occasioni, in maniera più o meno diretta. Portandolo in qualche modo vicino all’alloro più importante ma, al tempo stesso, fungendo da giudice ineluttabile di una sentenza scritta dal destino.

 

Chi è Didier Pironi: gli esordi in Formula 1 e il trionfo a Le Mans

Didier Pironi nasce il 26 marzo del 1952 in Francia, per la precisione nel paesino di Villecresnes, nella Valle della Marna. Abbiamo già parlato del destino e in qualche modo nel suo c’erano un paio di pagine già scritte con inchiostro indelebile. La prima riguarda il rapporto con l’Italia, un Paese ben presente nelle sue origini: il cognome italianeggiante è quello della madre, una donna friulana proveniente dalla provincia di Gorizia. Proprio grazie all’Italia, Didier scriverà i momenti più prestigiosi ma anche più cupi della sua vita grazie allo sport che rappresenta la seconda pagina del libro del suo destino, la Formula 1.

Già, perché se è vero che durante la sua adolescenza il giovane francese si distingue nel nuoto, divenendo campione juniores della Île-de-France, la regione francese che contiene la Valle della Marna e anche Parigi, è altrettanto vero che un’ingarbugliata questione familiare lo porta ad avvicinarsi al mondo dei motori. Didier è il secondogenito di suo padre, un uomo che evidentemente trova molto affascinante quella famiglia friulana di cui abbiamo parlato. Prima di sposarsi con la signora Pironi, il padre era infatti sposato con la sorella maggiore, da cui ha avuto un figlio, José Dolhem, che sarebbe divenuto un pilota automobilistico con all’attivo qualche comparsata in Formula 1, nel 1974. In sostanza, Pironi e Dolhem sono sia fratellastri che cugini.

Vedendo il fratello maggiore, Didier si appassiona ai motori. Dapprima tenta un approccio con le moto, quindi, su indicazioni della famiglia, passa alle auto, ritenute più sicure. Un’affermazione che, si sarebbe scoperto solo dopo, è ironicamente beffarda. Già da giovane i risultati non mancano: dopo gli inizi nel rally, a 20 anni si laurea campione della seconda edizione del Volant Elf, una competizione tenuta sul Circuito di Le Castellet che garantisce un volante per il campionato Formula Renault. Competizione che Pironi vince proprio nel 1974, mentre il fratellastro disputa i suoi unici tre gran premi di F1 a bordo di una Surtees, senza mai riuscire a concluderne uno. Gli occhi del mondo dei motori si posano su di lui perché la vittoria arriva come team manager di se stesso. L’inclinazione per l’automobilismo lo spinge a gestire in autonomia il budget per lo sviluppo di una vettura vincente. Con successo.

Nel 1977 esordisce in Formula 3 – vincendo il prestigioso GP di Monaco – e in Formula 2. Ma è solo di passaggio: la prima grande svolta nella sua carriera arriva nel 1978, quando John Tyrrell lo nota e decide di affidargli il volante della vettura a lui stesso intitolata, nota per i tre mondiali piloti vinti da Jackie Stewart – nel 1969, quando la scuderia si chiamava Matra, nel 1971, nel quale arrivò anche il titolo costruttori e nel 1973 – ed anche per aver portato sulle piste del più importante campionato, fino all’anno precedente all’ingaggio di Pironi, l’unico esemplare di vettura a sei ruote. Ma non c’è solo la Formula 1 nel suo anno magico: a bordo di una Renault Alpine in squadra con Jean-Pierre Jaussaud, si assicura la prestigiosa 24 Ore di Le Mans.

Didier Pironi sembra destinato a un grande futuro e poco conta se all’inizio della sua carriera in F1 i risultati stentano ad arrivare: se è vero che è discontinuo, il talento è lì da vedere. Nel 1979 arriva il primo podio, un terzo posto sul circuito di Zolder, in Belgio. Ne arriverà un altro all’ultimo GP della stagione, quindi nel 1980 il passaggio alla Ligier e la prima vittoria, di nuovo a Zolder. Un circuito che sembra magico per lui ma che in questa storia incombe come un macigno, pronto a offrire risvolti drammatici. A fine stagione, oltre a quell’unico successo arrivano anche altri quattro podi – un secondo e tre terzi posti – e il francese chiude il Mondiale al quinto posto, penalizzato solo da quattro ritiri consecutivi. A fine anno, quindi, ecco l’occasione di una vita: la Ferrari.

 

La Ferrari e l’amicizia con Villeneuve

Nel 1981 Didier Pironi è la seconda guida di una Ferrari in piena rivoluzione. Dopo essersi presentata al Mondiale del 1980 da campionessa in carica, la scuderia del Cavallino Rampante ha deluso, concludendo la stagione senza mai portare a casa un successo né una pole position. Il campione del mondo in carica Jody Scheckter – unico africano a laurearsi campione iridato in F1 – è apparso senza motivazioni per tutta la stagione, annunciando il ritiro a metà campionato. La prima guida della Ferrari nel 1981 è, invece, Gilles Villeneuve, secondo nel 1979 e amatissimo per un talento fuori dagli schemi, fatto di uno stile aggressivo e spettacolare capace di portarlo a successi in alcuni casi insperati.

I due rappresentano una strana coppia: eclettico il canadese, più posato Pironi, tanto da divenire l’anima sindacalista dei piloti, che lo avrebbero scelto come guida della Professional Racing Drivers’ Association (PRDA) in un momento di forti tensioni regolamentari all’inizio del 1982. Sarà proprio questa grande differenza a far nascere una forte amicizia tra i due compagni di squadra. Ma, si sa, quando c’è da fare fronte comune nei momenti di difficoltà è più semplice sviluppare un rapporto sano: la Ferrari, infatti, ha appena adottato il motore turbo e i risultati nel Mondiale del 1981 sono pessimi, frutto di un avvio stentato in cui il nuovo motore adottato a Maranello cede in più occasioni.

Diverso è, invece, quando subentrano le ambizioni. La contemporanea ricerca della gloria – una circostanza con cui la scuderia del Cavallino Rampante si troverà a confrontarsi anche nel prossimo futuro – comporta inevitabili screzi e, se il Mondiale del 1981 è andato male, quello del 1982 lascia intravedere all’orizzonte un panorama diverso. E sarà l’anno che decreterà la fine di questa fresca amicizia. E non solo. Sarà la fine di tutto e l’inizio del balletto tra Pironi e la morte.

 

1982, il tradimento di Imola

Come già accennato, il Mondiale del 1982 nasce nel segno delle tensioni, con i piloti che minacciano uno sciopero al GP del Sudafrica, il primo della stagione. Didier Pironi – futuro punto di riferimento della PRDA, nata proprio dopo quell’episodio – e Villeneuve siedono dallo stesso lato del tavolo a rappresentanza, al fianco del rientrante Niki Lauda, di tutti i piloti. Dall’altro ci sono le due federazioni che governano la F1, a loro volta in guerra tra loro: la FISA, presieduta da Jean-Marie Balestre, e la FOCA, guidata da Bernie Ecclestone. Il motivo del contendere è l’inserimento nel regolamento del campionato di una clausola obbligatoria per il rilascio della superlicenza, con cui i piloti avrebbero dovuto impegnarsi a non far causa per nessun motivo agli organizzatori dei gran premi.

Alla fine le negoziazioni portano allo svolgimento della corsa e pare l’ennesimo tassello destinato a rinforzare l’amicizia tra i due piloti, unitamente alle nuove difficoltà in pista. Infatti, sebbene le premesse fossero ottime, il motore dei due cede in Sudafrica – costringendo Villeneuve al ritiro e Pironi a un poco onorevole 18° posto con sei giri di ritardo dal vincitore Alain Prost – mentre nel GP del Brasile il ritiro di Villeneuve arriva per un testacoda, con Pironi che chiude al sesto posto. Nel terzo GP della stagione, in programma negli Stati Uniti sul circuito di Long Beach, le Ferrari vengono squalificate per l’utilizzo di ali sfasate nell’alettone posteriore, ritenute non regolari.

Le cose cambiano, però, drasticamente al GP di San Marino del 25 aprile, quarta prova del Mondiale. Dopo un iniziale vantaggio di René Arnoux su Renault, la gara diviene un accesissimo duello tra i due ferraristi, che avviano un’ampia serie di attacchi, sorpassi e controsorpassi nonostante le indicazioni del muretto di prestare attenzione alla tenuta del motore, alla luce dei problemi del passato e del ritiro proprio di Arnoux nel tentativo di arginare i due. Alla fine a spuntarla è proprio Didier Pironi, che all’ultimo giro attacca e sorpassa all’esterno Villeneuve alla curva del Tamburello, vincendo il suo primo GP da ferrarista, con l’Aviatore che deve accontentarsi del secondo posto. O meglio, dovrebbe accontentarsi ma non lo farà, perché prima sbotta nei confronti del muretto, quindi del compagno, a suo dire reo di essere una serpe in seno e un falso amico, promettendogli di non parlargli mai più.

Intervistato, Villeneuve rincara la dose, dando dell’imbecille e del bandito a Pironi, accusandolo di aver approfittato delle sue difficoltà e affermando di aver finalmente capito bene chi fosse. Lato Ferrari si decide di difendere il francese, che a sua discolpa afferma di non essere una seconda guida e di avere uguali ambizioni rispetto al compagno. Ma se Villeneuve è sul piede di guerra, il francese è ferito e vorrebbe ricucire lo strappo, tentando più volte di giungere a un dialogo costruttivo nelle due settimane che separano il “tradimento di Imola” dal successivo gran premio. Senza successo. Finché due settimane dopo, quella promessa fatta da Villeneuve di non parlargli mai più si trasforma in un drammatico presagio.

Un dettagliato racconto del “tradimento di Imola”

 

Primo incontro con la morte

La quinta prova del Mondiale 1982 è il GP del Belgio a Zolder, pista preferita da Pironi. Ma la sua Ferrari non prenderà il via nella domenica di gara del 9 maggio. Durante le prove del sabato il francese ha il sesto tempo, mentre Villeneuve è momentaneamente ottavo e decide, con poco più di 8 minuti residui sul cronometro, di tornare in pista. Visto il deludente primo giro veloce, il canadese tenta un secondo giro che termina bruscamente alla curva Terlamenbocht. Innanzi a sé trova la March di Jochen Mass e tenta incautamente di sorpassarla all’esterno. Mass, convinto che il sorpasso sarebbe avvenuto all’interno, si allarga a sua volta: la Ferrari colpisce la ruota posteriore della March, si impenna e decolla, in una carambola distruttiva che vede Villeneuve catapultato fuori dalla vettura contro un palo di sostegno delle recinzioni.

Non ci sarà nulla da fare, a distanza di sette ore dall’impatto arriva la ferale notizia: Gilles Villeneuve è morto. Una notizia che scuote tutti, con Enzo Ferrari che chiede alla sua scuderia di non presenziare alla gara del giorno successivo, comunque lasciando a Pironi la facoltà di decidere. Ma troppo grande è il dolore per il francese, che non sarà al via: nonostante il litigio di due settimane prima è ancora molto legato al compagno e in qualche modo si sente responsabile di quanto accaduto. È il primo rendez-vous indiretto tra lui e la morte. Dal GP successivo, il sostituto di Villeneuve sarà Patrick Tambay, mentre le speranze della Rossa saranno riposte esclusivamente sul pilota di origini friulane. Ben riposte, a dire il vero, perché nelle successive sei gare Pironi rilancia le proprie ambizioni con ben cinque podi e si porta al comando del Mondiale.

Ma non senza un altro drammatico appuntamento con la morte. 13 giugno, GP del Canada a Montréal, ottava prova del Mondiale. Didier Pironi è in gran forma e in qualifica fa segnare il miglior tempo, che gli vale la pole position. Purtroppo sulla griglia di partenza le cose non vanno per il meglio: pochi secondi prima del semaforo verde, quando è ormai impossibile fermare la corsa, Pironi agita le mani fuori dall’abitacolo per segnalare un problema al motore che gli impedisce la partenza. I piloti immediatamente dietro di lui se ne avvedono, a differenza di quelli che partono dalle posizioni peggiori della griglia, disturbati nella visuale dall’elevato numero di vetture tra loro e la Ferrari in pole.

La monoposto viene dapprima toccata senza particolari conseguenze dalla Ensign di Roberto Guerrero e dalla March di Raul Boesel, compagno di scuderia di quel Mass incolpevolmente coinvolto nell’incidente mortale di Villeneuve. La Ferrari cambia direzione dopo il doppio impatto e viene, a quel punto, travolta dalla Osella di Riccardo Paletti: un impatto violentissimo, che distrugge la vettura dell’italiano, che rimane intrappolato nell’abitacolo. Paletti perde conoscenza e Pironi scende subito a dargli una mano ma nel giro di pochi secondi la vettura prende fuoco, rivelando la totale assenza di preparazione dei commissari di gara, incapaci finanche di utilizzare gli estintori per sedare l’incendio – tanto che fu lo stesso Pironi ad utilizzarne alcuni – e arrivati in ritardo con i mezzi adeguati.

È solo la fase iniziale di una lenta e atroce agonia, serve ancora mezz’ora e addirittura l’utilizzo di una motosega per estrarre dalle lamiere il corpo di Paletti, che ha resistito alle ustioni ma non alle gravi lesioni dello scontro, forse addirittura aggravate all’altezza del torace dalle manovre effettuate senza perizia nel tentativo di rianimarlo. Sotto gli occhi della madre, giunta fino in Canada per assistere per la prima volta a una gara di suo figlio – all’ottavo gran premio della sua carriera ma sei volte non qualificato alla partenza – anche Paletti muore. E ciò per le conseguenze dello scontro con Pironi, assolutamente incolpevole ma al tempo stesso sempre più turbato dalla drammatica piega che sta prendendo la sua stagione.

 

L’incidente di Didier Pironi e l’addio alle corse

Lo abbiamo detto, dopo il dramma di Zolder e la morte di Villeneuve, il cammino di Pironi è perentorio. Sei gare, cinque podi – con l’unica eccezione del nono posto raccolto proprio a Montréal, a seguito della seconda partenza del GP dopo la morte di Paletti nell’incidente iniziale – e una fiducia sempre crescente. Alla dodicesima prova, il Mondiale fa tappa sul circuito di Hockenheim, divenuta sede del GP di Germania da pochi anni, in sostituzione del Nürburgring a seguito del gravissimo incidente che aveva coinvolto Niki Lauda nel 1976.

Nelle qualifiche del venerdì, il risultato va nella direzione in cui sta andando l’intero Mondiale: la pole position è di Pironi, che pare sempre più avviato verso il titolo iridato. Le cose, tuttavia, cambiano durante la sessione di prove libere della mattina di sabato 7 agosto, svolte sotto una pioggia battente e in cui il francese vuole valutare la confidenza della propria Ferrari 126 C2 con l’asfalto bagnato, in previsione di eventuali rovesci durante la gara. Lungo il rettilineo del traguardo, il ferrarista vede spostarsi innanzi a sé la Williams di Derek Daly, che tenta di sorpassare nella convinzione che il cambio di direzione sia motivato dall’intento di lasciarlo transitare.

Ciò che non sa è che il muro d’acqua che gli si sta parando davanti non è solo frutto della pioggia ma anche della nuvola alzata dalla Renault di Prost, che procede molto lentamente e che Daly sta sorpassando. Se ne accorge troppo tardi, la velocità sostenuta della Ferrari al cospetto di quella di Prost, unita all’asfalto bagnato, rende impossibile evitare l’impatto: in maniera tragicamente beffarda, l’incidente ha una dinamica molto simile a quello in cui Villeneuve ha perso la vita. Fortunatamente Pironi non sbalza fuori dall’abitacolo, che atterra sul muso imprigionandolo tra le lamiere, mentre gli altri piloti accorrono in aiuto al francese, urlante e con una frattura alla gamba esposta al punto da vedere l’osso spuntare fuori dalla vettura. Segnato dall’incidente di Paletti, il pilota francese teme che la macchina prenda fuoco ma per fortuna non andrà così.

Il pilota della Ferrari è salvo, questo tremendo appuntamento con la morte è rimandato ma la carriera è segnata. Riesce a scongiurare l’amputazione ma deve fermarsi, non può più correre. Ciononostante, il Mondiale 1982 gli sfugge per appena 5 punti: a soffiarglielo sarà il finlandese Keke Rosberg, mentre Didier Pironi chiude al secondo posto. Una stagione sfortunata e che gli riserverà anche un trattamento da “figliastro” in seno alla Ferrari: l’amore di Enzo Ferrari per Villeneuve si traduce in un risentimento nei confronti del pilota di origine friulana che, quando tornerà a Maranello per salutare tutti, si vedrà chiudere le porte in faccia da Drake.

 

Drammatico finale, tra cielo e mare

Il calvario è solo all’inizio, preludio a ben 28 interventi chirurgici che gli permetteranno di tornare a usare le gambe e riavvicinarlo alla normalità. Eppure Pironi ci riprova. Tenta di tornare in pista e nel 1986 esegue dei test per la Ligier, la scuderia per cui ha corso nel 1980. È veloce ma non riesce a sostenere lo sforzo a lungo, la fatica gli percorre quelle gambe provate dall’incidente e i successivi interventi. Decide quindi di mollare e, forte della passione per i motori che lo anima sin da bambino, di dedicarsi a uno sport motoristico diverso, che non preveda sforzi alle gambe: la motonautica.

Il talento innato nelle gare di corsa si nota anche in mare ma, purtroppo, lo stesso si può dire della sfortuna. Inizia a raccogliere qualche vittoria nell’offshore ma la sua carriera si interrompe bruscamente dopo neanche un anno dall’inizio, il 23 agosto 1987. Nel corso della Needles Trophy Race la sua imbarcazione si trova al secondo posto e si getta all’inseguimento del motoscafo al comando. Con gli altri due membri dell’equipaggio, i connazionali Bernard Giroux e Jean-Claude Guenard, si ragiona sulla strategia migliore per tentare di andare a prendersi la vittoria. La scelta ricade su una soluzione che prevede una velocità elevata unita a una traiettoria rischiosa. Ma i tre non pensavano che lo sarebbe stata così tanto.

A largo dell’Isola di Wight, teatro della corsa, sta passando una petroliera, la Esso Avon. Che, stante la sua grande mole, sta contribuendo a increspare le onde del mare con la propria scia. Andando, di fatto, a inquinare le condizioni del campo di regata proprio nel raggio della traiettoria scelta dalla Colibrì 4, l’imbarcazione francese di Pironi, Giroux e Guenard. Il mix tra le onde e l’elevatissima velocità del motoscafo, arrivato a circa 170 chilometri orari, si rivela esplosivo: l’imbarcazione si imbizzarrisce fino a ribaltarsi, per l’equipaggio non c’è nulla da fare.

Giroux e Guenard muoiono su colpo, Pironi sopravvive all’impatto ma non riesce ad abbandonare il relitto e annega. Cinque anni prima, ad Hockenheim, era riuscito a rinviare quell’appuntamento con la morte che stavolta si è rivelato improrogabile. Didier Pironi è morto a soli 35 anni e senza ottenere i riconoscimenti che avrebbe meritato, trattato come un “campione di Serie B” solo perché ritenuto colpevole di aver battuto Villeneuve nell’ultimo GP prima della morte del compagno.

Lascia la moglie Catherine quando quest’ultima è incinta di due gemelli. E la loro nascita sarà un tributo all’intera storia, perché la vedova di Pironi sceglierà per i due neonati due nomi tutt’altro che banali: Didier, come il padre, e Gilles, come quello che è stato il suo grande amico, nonostante tutto. E proprio Gilles Pironi è l’ultimo trait d’union tra il DNA della famiglia e il mondo dei motori: forse scottato dalla storia del padre, entra in Formula 1 come ingegnere, dapprima con la Mercedes – dove celebrerà un successo di Lewis Hamilton a Silverstone nel 2020 salendo sul podio con il pilota di Stevenage – per poi riportare il cognome Pironi in Ferrari, dove oggi si occupa del settore Gran Turismo.

Ma c’è ancora spazio per una storia triste, nella vita di Pironi e della sua famiglia. Come già detto, la passione per i motori è un affare di famiglia e anche il fratellastro José Dolhem ha continuato ad occuparsene alla fine della carriera automobilistica – proseguita in Formula 2 e partecipando in due occasioni alla 24 Ore di Le Mans – grazie alla passione per l’offshore e per il volo, tanto da conseguire il brevetto di pilota. Proprio unendo questi due amori si registra l’ennesima tragedia: il 16 aprile 1988, mentre si dirige nella Francia meridionale nel tentativo di ridare linfa alla sua scuderia di offshore, Dolhem precipita con il suo aereo privato all’altezza del paesino di Saint-Just-Saint-Rambert.

Dolhem viene sepolto assieme a Didier Pironi nel cimitero di Grimaud, nei pressi di Saint-Tropez. I due fratelli sono ricordati con una targa, che unisce i fratelli nel beffardo destino che li ha portati via: “Entre ciel et mer” (tra cielo e mare).

Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.