Essere accanto al Real Madrid non dev’essere affatto facile. La vita dei giocatori e dei tifosi dell’Atlético Madrid è sempre stata oscurata dai successi dei blancos, soprattutto dopo le due finali di Champions League perse nel 2014 e nel 2016. Eppure, da circa quindici anni, parlare dell’Atlético come seconda squadra di Madrid sarebbe ingeneroso. Perché Diego Simeone ha rilanciato i colchoneros nell’orbita del calcio mondiale.
Dicembre 2011: inizia la rivoluzione
Un quarto, un nono e un settimo posto. Questi i piazzamenti dell’Atlético in campionato tra il 2008 e il 2011. Nel frattempo, però, erano arrivate un’Europa League e una Supercoppa UEFA nel 2010, due trofei di grande rilievo, ma in patria le cose non andavano come previsto. L’ultimo campionato vinto risaliva al 1996 – stesso anno dell’ultima Copa del Rey – e nel dicembre 2011, con la squadra al decimo posto, la dirigenza decide di cambiare: via Gregorio Manzano, dentro Diego Pablo Simeone, uno degli eroi del doblete del ’96.
La montagna da scalare è alta, ma Simeone, che già a Catania aveva dimostrato di saperci fare, non ha paura di niente. Nel giro di cinque mesi la squadra cambia completamente atteggiamento, stile di gioco, carattere. Chiude il campionato al quinto posto, a due punti dal Málaga quarto, e, soprattutto, vince l’Europa League. Sul cammino verso la finale batte Lazio, Beşiktaş, Hannover e Valencia, segnando 19 gol e subendone appena 6. Otto vittorie su otto.
A Bucarest, la finale contro il Bilbao di Bielsa è un derby senza storia: 3-0 per l’Atlético con tripletta del Tigre, Radamel Falcao. Qualche mese dopo, il colombiano si ripete nel 4-1 inflitto al Chelsea in Supercoppa UEFA. Nel giro di pochi mesi i colchoneros sono risorti. Ma quello che sarebbe successo negli anni seguenti, forse, non se lo immaginava neanche Simeone.
Il grande Atlético Madrid: sei anni di estasi
“Notti di sogni, di coppe e di campioni. Notti di lacrime e preghiere”. In queste parole tratte da Notte prima degli esami di Antonello Venditti, sono racchiusi i sei anni più incredibili della storia dei colchoneros.
Siamo nel 2013, un anno in cui il campionato spagnolo è fuori portata per tutti, perché il Barcellona lo stravince chiudendo addirittura a 100 punti. La corazzata di Diego Simeone inaugura la stagione alzando la Supercoppa UEFA al cielo di Monaco, per poi blindare con serenità la qualificazione alla Champions dell’anno successivo, chiudendo a +11 sul quinto posto.
L’ultimo obiettivo è la Copa del Rey, un trofeo che manca dal 1996. E i colchoneros se lo giocano al Bernabéu contro il Real Madrid. I blancos aprono al 13′ con Cristiano Ronaldo – chi se non lui? – ma gli ospiti rispondono con Diego Costa al 34′. L’1-1 non si sblocca, si va ai supplementari. La deciderà João Miranda al 98′. Un risultato pazzesco, forse insperato, che manda il madridismo biancorosso al settimo cielo. Un trofeo che mancava da diciassette anni viene riportato a casa proprio dall’uomo che nel 1996 era in campo. Nella notte di Madrid del 17 maggio 2013 una nuova stella brilla luminosa: è l’armata del Cholo.
L’anno successivo si apre con la sconfitta – si fa per dire, dato che nella doppia finale i risultati sono 1-1 e 0-0 – contro il Barcellona in Supercoppa di Spagna. In Copa del Rey i cugini del Real si prendono la rivincita sbattendo fuori i rojiblancos in semifinale. L’obiettivo casalingo rimanente è la Liga, e nel 2014 è un obiettivo concreto. Il cammino della squadra è straordinario, il solidissimo 4-4-2 simbolo del cholismo è perfettamente collaudato, un meccanismo meravigliosamente armonico.
Esattamente un anno dopo la finale del 2013 col Real, la banda del Cholo sbarca al Camp Nou per giocarsi il titolo. Prima e seconda del torneo si contendono il campionato all’ultima giornata, in un finale degno del miglior thriller hollywoodiano. La sblocca Alexis Sánchez, la riprende Diego Godín. Questa volta l’1-1 basta. Questa volta non si va ai supplementari. La squadra madrilena aveva due risultati su tre e quell’1-1 se lo tiene stretto fino al 90′ e oltre. Al triplice fischio è pandemonio biancorosso: l’Atlético Madrid è campione di Spagna per la decima volta. Ancora un titolo che mancava dal 1996, ancora un gol di un difensore centrale a deciderlo. Il simbolo perfetto di quella squadra.
L’annata però ha ancora qualcosa da dare. Per la seconda volta nella sua storia, l’Atlético è in finale di Champions League. Lisbona, la città in cui ci si gioca tutto. Il Real Madrid, la squadra da battere. La rete di Godín (complice un’incertezza di Iker Casillas) regala un sogno ai biancorossi. Ma il Real non molla mai. Al 93′, Sergio Ramos con un colpo di testa trova il pareggio. Ancora 1-1. Ancora supplementari. Stavolta, però, l’Atlético non ne ha più. Le energie sono finite, la speranza si sgretola. Il Real dilaga: 4-1. Il sogno della prima Champions si infrange, come nel 1974. È il destino di questa squadra, la storia che si ripete. E che si ripeterà.
Superato un 2014/2015 in cui l’unico squillo è la vittoria in Supercoppa di Spagna contro il Real, i biancorossi arrivano alla stagione 2015/2016 con una nuova consapevolezza. La Copa del Rey sfuma ai quarti contro il Celta Vigo, in campionato il solito terzo posto dietro le due corazzate di Spagna. Ma il vero capolavoro è il percorso in Champions League. L’Atlético è impenetrabile e, grazie ai colpi di genio di Antoine Griezmann, sa anche essere spettacolare.
Dopo aver chiuso il girone al primo posto, supera con fatica il PSV agli ottavi (ai rigori), poi elimina il Barcellona campione di Spagna e il Bayern Monaco campione di Germania. Contro ogni pronostico, i rojiblancos strappano il biglietto per la finale di Milano. A San Siro, ad attenderli, c’è di nuovo il Real Madrid.
La favorita sembra essere la squadra di Griezmann, ma guai a sottovalutare il Real in Champions. Il risultato è sempre lo stesso. 1-1 con gol di Ramos e Yannick Carrasco – Griezmann sbaglia un rigore sullo 0-1 per il Real. Si va ai rigori. E ancora una volta, il sogno dell’Atlético si spezza. Il Real vince, ancora. Fernando Torres, leggenda biancorossa, si arrende di fronte ai più grandi di tutti.
Il 2018 è l’anno della redenzione. L’Atlético chiude secondo in campionato dietro il Barcellona, ma si concede due vittorie europee di straordinario prestigio. La prima è l’Europa League, dominata dall’inizio alla fine, vinta con un 3-0 all’Olympique Marsiglia. La seconda è la Supercoppa UEFA, conquistata battendo 4-2 il Real Madrid. Oltre al valore intrinseco dei trofei, questi successi hanno un peso simbolico unico.
L’Europa League, oltre a portare Simeone alla pari di Luis Aragonés per numero di titoli vinti con l’Atlético, diventa il trofeo più importante della carriera di Torres, finalmente capace di alzare una coppa con la sua squadra. La Supercoppa UEFA invece, oltre a essere l’unico successo europeo ai danni del Real, consacra il Cholo come l’allenatore più vincente della storia del club.
Sei anni di sogni, di coppe e di campioni. Sei anni di lacrime e preghiere. Sei anni che hanno scritto la storia.
Una fase di transizione
Seguono anni di transizione. C’è il cambio della guardia: molte leggende si ritirano, altre vanno a giocare altrove. La granitica coppia difensiva formata da Miranda e Godín non c’è più, così come la coppia di esterni difensivi. Addio anche per lo storico capitano Gabi e per Torres. Il Cholo allora inizia a sperimentare: il 4-4-2 che ha cucito addosso alla sua squadra con il passare del tempo sembra usurarsi, ormai tutti conoscono lo stile dell’Atlético. L’alternativa è un modulo con difesa a tre, talvolta anche a cinque, che in qualche modo porta una ventata d’aria fresca sia nello spogliatoio che in panchina.
Le coppe, però, non arrivano più, né in Spagna né in Europa. In Liga, invece, i rojiblancos sono sempre lì, al secondo o al terzo posto. D’altronde, lo sappiamo: difficile fare di meglio quando davanti hai Barcellona e Real Madrid, difficile soprattutto perché non c’è più Antoine Griezmann, atterrato in casa di Messi in Catalogna. L’ultimo squillo, però, ci sarà in quello che sarà ricordato da tutti come un anno davvero particolare. Nella stagione 2020/2021, infatti, si disputano le partite a porte chiuse a causa della pandemia. Il clima è surreale, si gioca in impianti vuoti in cui le urla dei giocatori e degli allenatori rimbombano e sono facilmente comprensibili da chi osserva i match in TV. Lo sport del popolo per antonomasia vive senza la sua gente, senza coloro che rendono il calcio qualcosa di differente da tutto il resto.
L’Atlético, comunque, forte di un Luis Suárez che ha divorziato da Barcellona ed è affamato di vendetta, vola sulle ali dell’entusiasmo. In una Valladolid completamente deserta, proprio grazie al 2-1 del Pistolero, arrivano i tre punti che valgono l’undicesimo campionato della storia del club, di nuovo all’ultima giornata, ma in quell’occasione di fronte al Real. Una vittoria dolce, sudata, che vale il rinnovo di un Simeone che più di una volta negli anni precedenti era stato messo in discussione e che, nelle tre stagioni successive, otterrà due terzi posti e un quarto posto.
Atlético Madrid 2025: inseguendo l’oro
Protagonista dell’estate 2024 in casa Atlético è il calciomercato, sia in entrata che in uscita. Gabriel e Depay vanno in scadenza, Hermoso atterra a Fiumicino, destinazione AS Roma. Partono anche Söyüncü, Savić, Saúl Ñíguez e Morata, tra gli altri. La squadra è orfana di molti giocatori che nel corso dell’era cholista hanno ricoperto ruoli fondamentali, serve operare sul mercato ed è qui che subentra il leggendario Andrea Berta. Figura di spicco in casa colchonera, l’italiano ha ricoperto il ruolo di direttore tecnico dal 2013 al 2017 per diventare poi direttore sportivo fino a gennaio 2025. Tutte le operazioni di mercato sono opera sua, tutti i grandi colpi messi a segno in casa rojiblanca sono frutto della sua mente.
Grazie a lui sono arrivati sei campioni del mondo e un futuro Pallone d’Oro (Rodri) e, sempre grazie a lui, tra luglio e agosto 2024, hanno firmato per l’Atlético campioni straordinari. Parliamo di Le Normand, del “pitbull” Conor Gallagher e del vice Pichichi Sørloth. A loro si aggiungono Musso e Galán, rientrati dal prestito, e infine il fiore all’occhiello del mercato estivo. Sì, perché Berta l’ha fatto davvero: ha messo a segno forse il colpo più importante del calciomercato mondiale. Ha acquistato Julián Álvarez dal Manchester City. A chiusura del mercato, il destino del club ricade, come al solito, nelle mani del Cholo che, per l’ennesima volta, non delude.
I nuovi acquisti iniziano a integrarsi nei meccanismi di squadra, Sørloth fa coppia quasi fissa con Griezmann per poi lasciare il posto al “ragno argentino” che, a suon di gol, si carica la squadra sulle spalle. Llorente ha ritrovato una forma straordinaria, De Paul domina a metà campo, Griezmann incanta. Tutti in casa Atlético sono importanti, anche chi parte dalla panchina. Lo dimostra il rendimento di Correa, lo dimostra Sørloth, che segna solo gol pesanti. Ad oggi, l’Atlético è in corsa per il titolo Liga, è agli ottavi di Champions con il Real e, complice lo spettacolare 4-4 ottenuto in casa del Barcellona nella semifinale di andata, è vicino alla finale di Copa del Rey.
Non sarà facile mantenere il ritmo fino alla fine e di certo non sarà facile superare il Real nella competizione che li ha sempre visti trionfare, ma questa squadra ha sempre manifestato un carattere unico e una forza di volontà senza eguali. Questo perché a guidarla c’è un allenatore che ha dimostrato più volte di sapersi reinventare e di poter competere contro Golia, regalando alla sua gente emozioni e speranze che, fino a pochi anni fa, sembravano inimmaginabili.