Le bandiere nel calcio, seppure ormai siano sempre più rare, rimangono una fonte di fascino inesauribile per ogni tifoseria e per i relativi componenti. Campioni di varie epoche che hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo a difesa dei loro colori in molte occasioni, magari vincendo trofei importanti. Eppure può capitare di entrare nel cuore della gente e addirittura nella Hall of Fame della propria squadra nonostante un percorso marginale sul campo, fatto di appena 45 presenze in 9 anni. È questo il caso di Giorgio Carpi, un calciatore che, come pochi altri, rappresenta il grande amore tra la Roma e i suoi calciatori. Un legame lungo oltre trent’anni, facendo tutto ciò che serviva per aiutare chi lo aveva adottato nel momento del bisogno.
Giorgio Carpi, la “pezza” meno famosa
11 giugno 2015, a Roma è di scena il derby, come al solito occasione di sfottò e dibattiti tra le tifoserie. Uno degli argomenti da sempre molto caldi è quello delle coreografie delle curve e, per l’occasione, la Curva Sud sceglie un tributo alle proprie bandiere, per sottolineare la tendenza del club giallorosso a dare maggior spazio, nella propria storia, ai calciatori che ne sono, o sono stati, simbolo. La coreografia è, come di consueto, caratterizzata da una frase che funge da rappresentazione della propria tifoseria e da stoccata per quella avversaria:
Figli di Roma, capitani e bandiere… Questo è il mio vanto che non potrai mai avere!
Sopra questa frase, in un tripudio di cartellini gialli, arancioni e rossi, compaiono sedici volti di calciatori simbolo della Roma, le famose “pezze” come sono state ribattezzate dai tifosi romanisti. Per la cronaca, i prescelti sono tutti nomi più o meno noti nel mondo giallorosso: i capitani leggendari del club, ossia Francesco Totti, Agostino Di Bartolomei, Daniele De Rossi, Giuseppe Giannini, Giacomo Losi, Amedeo Amadei, Guido Masetti, Attilio Ferraris IV; simboli di romanità e romanismo come Bruno Conti, Giancarlo De Sisti, Fulvio Bernardini o Francesco Rocca; lo sfortunato Giuliano Taccola, morto in campo difendendo i colori della Roma; e, infine, simboli dei derby come Rodolfo Volk, autore del gol che ha deciso la prima stracittadina nel 1929, e Mario De Micheli, rimasto nel cuore dei tifosi giallorossi per uno schiaffo rifilato al generale Vaccaro – vicepresidente biancoceleste – durante un derby del 1931.
E poi c’è, per l’appunto, Giorgio Carpi. Che un posto nel cuore della gente se l’è preso col tempo e con gesti che vanno oltre il campo, partendo da lontano. Perché, a differenza di molte delle “pezze” menzionate sopra, Carpi non è neanche romano. Nasce a Verona, il 1° novembre 1909 e a Roma si trasferisce da ragazzino per questioni di affari del padre, Cesare, che di mestiere fa l’agente di cambio e il banchiere e che nella capitale apre il Banco Carpi. Un mestiere prestigioso e una famiglia agiata, che saranno il trampolino per la nascita del club giallorosso. L’intera famiglia Carpi si trasferisce al seguito del padre, compreso il fratello maggiore Luciano, che con Giorgio condividerà la prima parte della carriera calcistica.
I due, infatti, finiscono a giocare insieme per una squadra della capitale di cui il padre è consigliere di spicco e oculato gestore degli aspetti economici. Si tratta di un club fondato da nobili romani e ricchi cittadini stranieri, nello specifico britannici e svizzeri: il Foot Ball Club di Roma, meglio noto come Roman.
La Roma: affare di famiglia e dolore
La prima stagione di Giorgio Carpi nel Roman è la 1926-27, cioè quella immediatamente successiva alla cosiddetta Carta di Viareggio che ha riformato il calcio italiano. Come conseguenza di ciò, la neonata Divisione Nazionale – campionato di primo livello – avrebbe ospitato un massimo di due squadre per ciascuna città italiana. Il Roman, ben distante dai fasti di altre squadre come Alba Audace e Fortitudo Pro Roma, deve accontentarsi di disputare il campionato di Prima Divisione, antesignano dell’odierna Serie B e diviso in gironi più o meno geograficamente individuati. Non parte coi favori di un pronostico che viene effettivamente rispettato, dal momento che la compagine capitolina chiude al nono posto in un campionato di dieci squadre in cui l’ultima classificata, il Palermo, si ritira a stagione in corso.
Ma Roma sta vivendo un fermento che va oltre il rendimento sul campo delle proprie squadre. Su iniziativa di Italo Foschi è stata pianificata una fusione che teoricamente dovrebbe permettere alla capitale di avere una squadra unica, capace di unire sotto un’unica insegna cittadina i migliori giocatori delle varie formazioni cittadine per dare l’assalto allo strapotere delle squadre settentrionali, che fin qui si sono assicurate tutti i titoli nazionali in palio. Il Roman, passato nelle mani di Vittorio Scialoja, noto giurista e già Ministro della Giustizia nel governo Nitti e Ministro degli Esteri nel governo Sonnino, si è tenuto pronto per l’occasione. Proprio grazie al lavoro di Cesare Carpi, padre di Giorgio, la squadra si è di fatto candidata per far parte della fusione, garantendo le risorse economiche a fronte di una gestione virtuosa sul lato finanziario, per certi versi rappresentando una mosca bianca nel calcio dell’epoca.
Una questione che sta molto a cuore a Cesare Carpi, ormai immedesimatosi nel tessuto cittadino e di fatto divenuto romanista prima ancora che di A.S. Roma si possa parlare. Eppure, per questioni di merito sportivo, il Roman pare inizialmente accantonato. Le prescelte sono altre tre realtà cittadine: Alba Audace, Fortitudo Pro Roma e Lazio. È quest’ultima che tuttavia cambia gli scenari, perché vorrebbe la fusione – principalmente con la Fortitudo, la più gloriosa delle tre realtà cittadine – ma mantenendo il proprio titolo sportivo e accollando i propri debiti alle altre due società. È così che i patti saltano e Italo Foschi, in fretta e furia, richiama il Roman, che garantisce solvibilità e risorse per far sì che il 7 giugno 1927 venga ratificato l’accordo. La fusione è compiuta, la Roma è nata e il sogno di Cesare Carpi si è esaudito.
Ma lui non è lì per vederlo. Il 22 aprile 1927, un mese e mezzo prima dell’accordo, un incidente stradale vicino Foligno priva la Roma di uno dei suoi padri. Alla guida di una Lancia Lambda, Carpi sta facendo ritorno da un viaggio d’affari a Milano assieme a due passeggeri, quando sbanda ed esce di strada. Uno degli altri due passeggeri è proprio Giorgio Carpi, che a neanche 18 anni, dopo aver vanamente tentato di rianimarlo, vede morire il padre innanzi ai propri occhi. E proprio i suoi occhi saranno testimoni della nascita di quella creatura per cui il padre si era speso tanto.
Dopo quella morte c’era stata una nascita e Giorgio Carpi aveva deciso che da quel momento in poi avrebbe fatto di tutto per onorare la neonata creatura, per se stesso e anche in memoria di chi aveva dato la vita a lui e alla Roma stessa e purtroppo non era lì per percorrervi, mano nella mano, la strada che entrambi avevano davanti.
L’uomo dei colori
Il soprannome di Carpi è “Signorino” sin da ragazzo e ai tempi del Roman. Il motivo è il look sempre estremamente curato, i capelli perfettamente pettinati, uno stile che si addice al suo background, a un ragazzo proveniente da una famiglia abbiente. Ma in campo non è un signorino, il ragazzo è un centrocampista di interdizione molto grintoso. Si dà da fare, combatte su ogni pallone, si fa trovare pronto e si guadagna la possibilità di vivere in prima persona la storia della Roma. Già, perché quando arriva la fusione è anche il tempo di scegliere i componenti della squadra: Alba Audace e Fortitudo Pro Roma sono squadre più forti, di Divisione Nazionale, pertanto monopolizzano le selezioni. I calciatori che dal modesto Roman arrivano a vestire la maglia della nuova società sono solamente quattro: Mario Bossi, Antonio Maddaluno, Bruno Ricci e proprio Giorgio Carpi.
Il giorno cerchiato di rosso sul calendario è il 17 luglio 1927, data della prima storica partita della neonata formazione capitolina in amichevole contro gli ungheresi dell’Újpest TE. Siamo in un’epoca in cui non esistono le sostituzioni e pertanto l’undici scelto per iniziare l’incontro è anche lo stesso chiamato a portarlo a termine. Carpi, così come i tre ex compagni del Roman, non fa parte della formazione ma riesce comunque a rendersi protagonista.
Tra le questioni dibattute – ma non dibattute davvero, in fin dei conti – non c’è solo l’organico della squadra ma anche i colori sociali. D’altronde le tre società che hanno dato vita alla fusione avevano ciascuna dei colori diversi tra loro: verde e bianco per l’Alba, rosso e blu per la Fortitudo, e i colori cittadini – rosso Roma e giallo Roma, come vengono identificati – il Roman. Quella che era la soluzione più ovvia per tutti ha ufficialità proprio il giorno della prima sfida, quando c’è da risolvere il problema delle divise con le quali scendere in campo. Stiamo parlando di tutt’altra epoca rispetto ad oggi, quindi accade che a pochi minuti dall’inizio di fatto la Roma non abbia delle maglie da utilizzare.
Ed ecco che arriva in soccorso Giorgio Carpi, che con la sua fedele coupé fa rotta verso quella che fu la sede del Roman, prende le casacche della sua ex squadra e le porta al Motovelodromo Appio, dov’è in programma l’esordio della nuova squadra. Sebbene in condizioni di fortuna, con alcuni giocatori che si trovano a giocare coi calzettoni delle loro precedenti squadre, la Roma scende in campo con una maglia rossa con bordi e stemma gialli. Era la soluzione più logica ma di fatto diventa effettiva quel giorno: anche grazie a Carpi, la nuova Roma diventa giallorossa.
Giorgio Carpi gioca (gratis) nei momenti che contano
Certo, non viene da una famiglia povera, tutt’altro. Ma la scelta del ragazzo è tutt’altro che scontata: perso il padre, la Roma è diventata la sua famiglia e Giorgio Carpi non vuole guadagnarci sopra. E così prende un impegno e dà la sua parola: a differenza di tutti i suoi compagni non chiederà mai un solo centesimo alla Roma per difendere i colori che lui stesso aveva reso ufficiali in quel giorno di luglio, si farà bastare il rimborso spese per le convocazioni e l’onore di far parte della storia giallorossa. E così sarà per nove anni, in cui l’unico emolumento risulterà essere un’auto regalatagli dal secondo presidente del club, Renato Sacerdoti, anch’egli bancario e decisivo per la fusione, nonché amico del padre del ragazzo.
Il bottino in quanto a presenze, come già detto, è piuttosto modesto, appena 45 partite. Nessuna delle quali in Coppa CONI, il primo trofeo vinto dalla Roma appena un anno dopo la sua fondazione e che potrà essere vantata come unico trofeo della carriera di Carpi solo nominalmente, senza averne effettivamente preso parte. 45 partite senza gol, anche se una volta ci andrà veramente vicino, durante una partita contro la Juventus, ad anni di distanza dalla quale disse:
Combi, con un balzo, mi privò di questa gioia quando pensavo di avercela fatta.
Eppure ci sarà in altri momenti cruciali: due giorni dopo il suo ventesimo compleanno, il 3 novembre 1929, è in campo in un match storico, quello in cui la Roma inaugura contro il Brescia il famoso Campo Testaccio, casa e patrimonio del romanismo. Ed è in campo circa un mese dopo, l’8 dicembre 1929, nel primo derby contro la Lazio, risultando uno dei migliori in campo nel match vinto per 1-0 con gol, come già detto, di Volk. Ma soprattutto ci sarà sempre quando l’allenatore lo chiamerà in causa, ci sarà sempre quando la Roma avrà bisogno di lui. Anche nella squadra riserve, con cui si laurea campione del Lazio in due diverse occasioni. Nonché quando servirà fuori dal campo, come compagno di squadra ma anche per aiutare la società dopo il 1936, anno in cui decide di ritirarsi dal calcio.
Storie di capitani
Il primo capitano della storia della Roma è Attilio Ferraris IV. I punti di contatto con Carpi sono veramente pochi e legati esclusivamente al campo, dal momento che i due sono compagni di squadra e di reparto. Anche Ferraris è un centrocampista, di ben altra risma rispetto al giovane Carpi: viene dalla Fortitudo, è un giocatore di primo livello e diventerà addirittura campione del mondo nel 1934. Per il resto parliamo di due mondi che paiono destinati a non incrociarsi mai: all’eleganza borghese di Carpi si contrappone l’irriverenza proletaria di un uomo abituato a ben altri palcoscenici fuori dal campo. Ferraris è tanto campione in campo quanto dissennato al di fuori di esso: ama il gioco d’azzardo, l’alcool e non è disposto a scendere a patti con nessuno.
Tanto che dopo il Mondiale vinto, a causa di uno screzio con il presidente Sacerdoti, decide non solo di lasciare la Roma ma di farlo in favore dei rivali cittadini della Lazio e restarvi due anni, salvo tornare sui suoi passi – dopo un altro biennio al Bari – e riabbracciare la Roma nel 1938. Una visione opposta a quella di Carpi. Eppure tra i due nasce un’amicizia insospettabile: Ferraris non ha la macchina, quindi è Carpi a scarrozzarlo per la città, anche di notte, passando del tempo di qualità insieme ma anche permettendogli di trascorrere le proprie serate nelle bische cittadine, nelle quali il capitano sperpera gran parte di quanto incassa dalla Roma, scherzandoci su e dicendo “se non avessi perso tutti quei soldi al gioco e ai cavalli, sai quanti soldi potrei giocarmi adesso?”.
Talvolta Carpi aspetta fuori per controllare se Ferraris non finisca in qualche rissa o giro strano e si dice che avrà un peso nel riportarlo alla Roma per “redimersi”. Sono una strana coppia, una di quelle che si vedono al cinema, di opposti che inevitabilmente finiscono per attrarsi. Ma Ferraris è un uomo buono, che adora la famiglia e i bambini. Carpi sa vedere il bello che si nasconde dietro la scorza da duro insubordinato. Quando la carriera di entrambi termina, Carpi consiglia al suo amico ed ex capitano di trasformare i suoi problemi in un’opportunità, aprendo un bar con il biliardo e vari giochi – ovviamente legali, in questo caso – per permettere alla gente del posto di ritrovarsi in posto familiare. Unica condizione: i muri dovranno essere gialli e rossi. Ferraris acconsente ma purtroppo dopo poco tempo muore in campo durante un match amichevole tra vecchie glorie.
Non è l’unico capitano che Carpi porterà a Roma: qualche anno più tardi, nel 1954 è lui a intavolare la trattativa con la Cremonese che regala ai giallorossi le prestazioni di Giacomo Losi, un giovane terzino che diventerà in seguito il primo capitano ad alzare al cielo una coppa al di fuori dei confini nazionali. Lo fa in un ruolo dirigenziale, uno dei tanti abiti indossati al servizio della squadra cui ha dato tutto.
Socio, dirigente, allenatore, tifoso
Chiusa la carriera e in fase di riassetto nel corso della Seconda guerra mondiale, Giorgio Carpi torna alla Roma. Lo fa inizialmente come socio benemerito dei giallorossi nel 1944, quando il campionato nazionale è fermo, l’impegno sul campo è rivolto solo al campionato romano di guerra e i tifosi sognano di uscire dal conflitto e ripetere i fasti dello Scudetto del 1942 grazie alle gesta del giovane e sfortunato Mario Forlivesi, che i tifosi hanno eletto quale una delle “pezze” mancanti della coreografia in premessa.
Da lì in poi inizia una via di mezzo tra una scalata e un impegno da factotum, dovuto anche all’estrazione sociale e culturale del ragazzo, che è colto e conosce bene la società e le lingue. Dapprima diviene direttore sportivo dei giallorossi, quindi segretario generale ma non solo. Segue la Roma in ogni trasferta come dirigente accompagnatore, si occupa della logistica ed è talmente prezioso da essere il dirigente delegato di organizzare e gestire – anche sul posto – la trasferta in Venezuela dei giallorossi per la Pequeña Copa del Mundo del 1953, in cui la Roma si piazza seconda alle spalle del Corinthians.
Il 1953 è anche l’anno dello sbarco a Roma del tecnico inglese Jesse Carver che, nonostante i molti anni in Italia, fatica ancora con la lingua. Nessun problema, il “Signorino” parla bene l’inglese quindi funge da interprete per l’allenatore e lo segue in panchina per coadiuvarlo e trasmettere i propri messaggi ai giocatori. Lo fa talmente bene che, all’addio di Carver, finisce ad allenare nella doppia sfida di Mitropa Cup contro il Vojvodina, terminata con un’eliminazione senza appello. La Roma ha avuto bisogno di lui e lui non si è tirato indietro davanti alla chiamata di quella che è diventata la sua famiglia, anche se solo per due partite.
Solo nel 1959, dopo altri anni al seguito della squadra e al servizio della dirigenza, il rapporto professionale con la società giallorossa si è interrotto definitivamente. Ma allontanarsi da ciò che ha sempre fatto battere a fondo il proprio cuore è stato impossibile. Ha continuato a tifare, a seguire la squadra allo stadio, trasmettendo ai figli l’amore per la Roma. Per quella società che suo padre aveva contribuito a far nascere, per quei colori che lui stesso aveva contribuito a conferire alla squadra prima di onorarli per 32 anni.
Giorgio Carpi è morto il 30 giugno 1998 ma il suo nome è rimasto indelebilmente nella storia della Roma. Dopo quella famosa coreografia, nel 2016 è stato inserito nella Hall of Fame giallorossa, un “regalo inestimabile” – come lo ha definito il figlio Andrea, noto chitarrista – alla memoria di chi alla Roma ha dato tutto senza chiedere niente in cambio.
📷 Gallery: il nuovo membro della #HallOfFame dell'#ASRoma Giorgio #Carpi in 5 scatti 👉 https://t.co/3T1eGA1iiL pic.twitter.com/zbcHeBqSe1
— AS Roma (@OfficialASRoma) July 19, 2016