Ahmed Boughéra El Ouafi, l’oblio del primo oro africano

Ahmed Boughera El Ouafi è stato il primo oro nord africano alle Olimpiadi. La sua morte è ancora avvolta nel mistero.

Al giorno d’oggi chiunque conosca anche solo vagamente l’atletica leggera ha imparato che nel fondo e mezzofondo è impossibile non fare i conti con gli atleti africani. Eppure non è sempre stato così, la grande crescita del movimento del Continente Nero nella lunga distanza è partita realmente nella seconda metà del secolo scorso. Prima di allora, l’unico atleta di sangue nordafricano in grado di raggiungere il massimo della gloria è stato Ahmed Boughéra El Ouafi. Avrebbe potuto essere un modello per la sua gente, ma purtroppo non era ciò che il destino aveva in serbo per lui.

 

Africa e maratona alle Olimpiadi

Occorre innanzitutto premettere che sulla storia olimpica africana e, in particolare, sul primo oro continentale ci sono versioni e addirittura questioni ideologiche piuttosto dibattute. L’unica cosa certa è che la disciplina dei Giochi attorno alla quale ruota la diatriba è la maratona. In particolare, proprio nella maratona si registra la prima apparizione di atleti africani alle Olimpiadi moderne: parliamo di Bertie Harris, Jan Mashiani e Len Taunyane, sudafricani ai nastri di partenza della tragicomica maratona ai Giochi di St. Louis del 1904. Con risultati altrettanto tragicomici. In particolare Taunyane, uno dei favoriti, chiuderà al nono posto ma solo a causa dell’assalto di cani randagi che lo costringerà a un “fuori pista” di un paio di chilometri. Tuttavia gli atleti partecipano sotto le insegne del Regno Unito, colonizzatore del Sudafrica e Paese d’origine di Harris.

Proprio il legame tra Regno Unito e Sudafrica sta alla base della prima peculiarità storica nel rapporto tra l’Africa e gli ori olimpici. Il primo Paese africano a far proprio un oro a cinque cerchi è il Sudafrica, che porta a casa l’oro nei 100 metri piani ai Giochi di Londra del 1908 grazie a Reggie Walker, ancora oggi il più giovane vincitore dei 100 metri olimpici. Quattro anni dopo è la volta del primo oro nella maratona di Stoccolma 1912, un successo oscurato da due eventi ancora più singolari occorsi durante la gara, ossia la sparizione del giapponese Shizo Kanakuri e la morte del portoghese Francisco Lázaro.

A vincere l’oro per il Sudafrica è Ken McArthur. Trattandosi di un nativo irlandese trasferitosi in Sudafrica come poliziotto durante la Seconda guerra anglo-boera, il suo oro non è mai stato realmente riconosciuto come africano, a differenza dell’argento conquistato dal connazionale – ma realmente originario del Sudafrica – Christian Gitsham, prima medaglia pienamente africana della storia della maratona.

Il primo oro di un originario africano a correre sotto la bandiera di uno Stato africano nella corsa più lunga dei Giochi arriverà solo nel 1960 quando a vincere la maratona a Roma sarà il leggendario Abebe Bikila, etiope che porterà a compimento una grande gara pur correndo scalzo. In mezzo, nel corso di quei 48 anni di distanza, i rapporti coloniali porteranno a una curiosa inversione di tendenza: mentre il primo oro era arrivato da un europeo sotto le insegne di un Paese africano, in altre due circostanze sarà un atleta nordafricano battente bandiera francese a vincere il più importante degli allori sportivi. E il primo a riuscirci è proprio El Ouafi nel 1928.

 

Chi è Ahmed Boughéra El Ouafi

Ahmed Boughéra El Ouafi nasce il 15 ottobre 1898 a Ouled Djellal, cittadina che oggi conta circa 65.000 abitanti e dà il nome a un’omonima provincia. Non esattamente il luogo in cui far risplendere i propri sogni, intrappolati nelle vaste distese sabbiose desertiche in questo piccolo centro del nord dell’Algeria. Tanto da sembrare preferibile rischiare la vita in guerra rispetto al nulla della propria città natale: Ahmed ha 20 anni quando si arruola nei Tirailleurs sénégalais, il reggimento di fucilieri senegalesi già impiegati durante la recentissima Prima guerra mondiale e chiamata a altre operazioni militari dal governo francese, cui il ragazzo è chiamato a rispondere in virtù di un dominio coloniale che sarà spezzato solo con il referendum per l’indipendenza del 1962.

Nel corso della sua breve carriera militare, El Ouafi prende parte all’invasione della Ruhr ma soprattutto si distingue nello sport quasi casualmente. Durante una competizione militare organizzata proprio nella Ruhr, i suoi superiori decidono di iscriverlo a una gara di corsa cui sono chiamati a partecipare vari reggimenti. Durante le operazioni militari questo ragazzo smilzo e ossuto ha mostrato un passo piuttosto spedito, tanto da far ironizzare sulla sua attitudine alle corse. Che da oggetto di battute diventa il suo futuro: è proprio il ragazzo algerino a vincere la maratona e con un distacco e un passo tali da fargli cambiare progetti per il futuro.

È il 1923 quando El Ouafi lascia la Ruhr e si trasferisce in Francia, nel comune di Boulogne-Billancourt, il più grande e storicamente ricco comune dell’Île-de-France, fatta ovviamente eccezione per la capitale Parigi. Qui trova lavoro come operaio alla Renault ma, soprattutto, si iscrive alla Société Générale Athletic Club, che gli permette di avviare una carriera da maratoneta. E proprio nella disciplina simbolo dei Giochi, il ragazzo trova la sua dimensione: è uno dei due atleti di punta del movimento transalpino assieme al suo rivale Jean-Baptiste Manhès, considerato l’alfiere nazionale nel fondo. L’occasione per sopravanzarlo arriva l’anno seguente, quando El Ouafi vince la maratona che unisce le città di Colombes e Pontoise e si laurea campione nazionale. E il 1924 non è un anno banale, perché è l’anno delle Olimpiadi che si disputano proprio nella capitale francese.

Anche sul tragitto a cinque cerchi l’atleta di origine algerina mostra di essere ormai l’atleta di riferimento francese. Sia lui che Manhès disputano una gara onorevole, chiudendo rispettivamente al settimo e dodicesimo posto nella gara vinta dal finlandese Albin Stenroos. El Ouafi ha 26 anni, forse ha ancora un’occasione per agguantare quel sogno olimpico che aveva bramato di coronare proprio nel Paese che aveva rappresentato. Per farlo deve tornare alla sua routine: la mattina con la tuta da lavoro della sua fabbrica, quindi a fine turno i pantaloncini ad accompagnarlo per i canonici 15 chilometri di allenamento giornaliero, cui si alternano giornate di gara in cui provare a confermarsi il numero uno tra i maratoneti francesi. E ci riesce, guadagnandosi il pass per rappresentare il tricolore francese a Amsterdam 1928.

 

Trionfo, professionismo e dimenticatoio

Il 5 agosto 1928, sulle strade della capitale dei Paesi Bassi si corrono i 42.195 metri più ambiti per i fondisti di tutto il mondo. Il parterre dei partecipanti è piuttosto variegato: oltre agli immancabili statunitensi, rappresentati principalmente da Joie Ray, tra i favoriti alla vittoria troviamo movimenti estremamente distanti nell’approccio e nei risultati raggiunti nel tempo. Da una parte la scuola giapponese, che con metodi innovativi sta provando a colmare il gap con le potenze mondiali del fondo e porta ai nastri di partenza i temibili Juichi Nagatani, Seiichiro Tsuda e Kanematsu Yamada. Dall’altra la Finlandia, ormai una superpotenza nell’atletica e detentrice dell’oro nella maratona: pur non essendo presente il campione in carica Stenroos, ai nastri di partenza ci sono sei atleti molto forti, sui quali spiccano Yrjö Korholin-Koski e Martti Marttelin.

Completano il ventaglio dei favoriti della vigilia anche tre big reduci dalla maratona olimpica di quattro anni prima: se il nostro Romeo Bertini, argento a Parigi, appare ormai anziano per competere realmente – 35 anni già compiuti – lo stesso non si può dire del cileno Manuel Plaza, sesto al traguardo in Francia, e proprio di El Ouafi, che lo ha immediatamente succeduto al traguardo e si presenta ai nastri di partenza con il numero 71, che secondo alcuni numerologi rappresenta la strada giusta per esaudire i propri desideri. Dato che la maratona si corre letteralmente sulla strada, pare proprio il numero perfetto per un atleta desideroso di dare una svolta alla propria esistenza.

Sono proprio i giapponesi a dettare l’andatura a inizio gara, con i finlandesi compatti come una squadra. Alla fine solo due dei nipponici – Tsuda e, soprattutto, Yamada – risulteranno realmente competitivi, mentre i finlandesi riusciranno a portare addirittura cinque atleti nelle prime 15 posizioni. El Ouafi e Plaza vanno di pari passo, inizialmente piuttosto attardati rispetto alla testa della corsa, tanto che al decimo chilometro risultano attorno alla ventesima posizione, a fronte dei 69 partecipanti complessivi e apparentemente non all’altezza del passo di gara impresso dalla delegazione giapponese. Dalla loro, tuttavia, hanno non solo l’esperienza nella maratona, ma soprattutto quella olimpica. Che ingolosisce gli atleti fino a spingerli oltre i limiti per poi farli pentire man mano che il traguardo si avvicina. E così piano piano i due rivali risalgono, spalla a spalla, mettendo dietro i pur accreditati rivali.

Attorno al chilometro 38 la rimonta si completa definitivamente quando, in rapida successione, la strana coppia supera prima lo statunitense Ray, poi lo stanchissimo Yamada, in testa al plotone praticamente dai primi metri ma in evidente debito di ossigeno. Con una condotta di gara simile, alle loro spalle sta risalendo il finlandese Marttelin, ma è troppo tardi per riprendere El Ouafi e Plaza, abbastanza freschi e distanti da sfidarsi in un testa a testa finale. Marttelin aggiungerà un’ulteriore beffa al danno patito da Yamada, andando a prendersi la medaglia di bronzo a discapito del nipponico, che dopo aver guidato la corsa per poco meno di 40 chilometri finisce addirittura fuori dal podio per appena 27 secondi.

Sono ancora meno, per la precisione 26, i secondi che separano El Ouafi e Plaza all’arrivo allo Stadio Olimpico di Amsterdam. Lo sforzo finale premia il rappresentante francese, che stacca il rivale quel poco che basta per scrivere la storia. In una calda giornata di agosto, quel ragazzo venuto dal deserto ce l’ha fatta: Ahmed Boughéra El Ouafi è il primo campione olimpico nordafricano della storia. Per lui si aprono palcoscenici sin lì solo inattesi e sognati: come già accaduto in passato ad altri atleti – si veda in proposito il nostro racconto sulla storia di Dorando Pietri -arrivano proposte di ingaggio dagli Stati Uniti per tour ed esibizioni di corsa contro atleti locali e perfino cavalli: dieci maratone e dieci corse sulla distanza dei 25 chilometri in cinque mesi.

Un impegno faticoso e per certi versi anche umiliante, in cui El Ouafi viene esibito quasi come un fenomeno da baraccone di fronte al pubblico statunitense. Tuttavia, i compensi offerti valgono la fatica e l’umiliazione. Ma proprio quei guadagni lo portano a essere considerato un professionista: una circostanza che lo porta alla squalifica dalla sua federazione ma, come buona consolazione, anche a guadagnare più di quanto avrebbe mai osato immaginare.

Sembra proprio l’inizio di una bella storia di riscatto. Invece le cose andranno diversamente. Se negli Stati Uniti un campione olimpico attira soldi e opinione pubblica, lo stesso non si può dire in Francia. E non per questioni di tradizione sportiva, tutt’altro. Il motivo è sempre il solito, il razzismo. Un destino che El Ouafi di fatto avrebbe dovuto comprendere già immediatamente terminata la maratona olimpica: mentre l’argento di Plaza – prima medaglia della storia olimpica del Cile – viene festeggiato sulla pista dello Stadio Olimpico come un autentico trionfo, Ahmed viene snobbato e lasciato praticamente solo. Vero, ha corso con l’iconico galletto sul petto e sotto le insegne del Drapeau français, ha difeso la loro patria durante iniziative militari ma per i transalpini, semplicemente, El Ouafi non è francese. Anche la stampa lo evidenzia, neanche fa finta di accogliere con gioia i suoi successi, come sottolinea un trafiletto de L’Humanité:

Finalmente una vittoria francese! È – ironia della sorte – quella dell’arabo El Ouafi nella maratona.

D’altronde il governo francese trova il buono in questa vittoria. Il successo diventa uno strumento di propaganda per esaltare lo stato di salute dell’impero coloniale. Ma nessuna parola sull’uomo che quella vittoria l’ha conquistata. La gloria si esaurisce rapidamente, l’algerino torna a casa dopo la sua remunerativa tournée ma ad accoglierlo non trova folle festanti. Non è nemmeno uno qualunque, è solo un immigrato come tanti, un reietto. Ad attenderlo c’è il dimenticatoio, da cui sfugge saltuariamente e in maniera tutt’altro che onorevole, trovando spazio sulla stampa nazionale in trafiletti di cronaca che ne riportano gesta meno gloriose di quella di Amsterdam: risse, debiti, notizie frammentarie e mai circostanziate che saranno gli unici bagliori di passaggio sull’esistenza di Ahmed per 28 anni.

Ahmed Boughéra El Ouafi - Puntero

L’arrivo al traguardo di Amsterdam, con il galletto francese che campeggia sul petto di El Ouafi

 

Effimera ribalta e tragica fine

Ventotto anni sono un lungo periodo, quello che in teoria dovrebbe comprendere sette edizioni dei Giochi Olimpici, ma che, a causa della Seconda guerra mondiale, si riduce a cinque. Nel 1956 El Ouafi ha 58 anni e quasi tutto il mondo pare essersi dimenticato di lui. Ma non tutti, perché qualcuno si ricorda di quel magico giorno di agosto e ha visto in lui un modello da seguire. Molto tempo è passato e, con esso, è cambiato anche il modo in cui la gente vede le cose, soprattutto in Francia e nei confronti degli immigrati nordafricani. Un eventuale successo olimpico verrebbe giustamente festeggiato.

Ed è proprio ciò che accade a Melbourne 1956, edizione in cui la Francia torna sul gradino più alto del podio nella maratona grazie a un atleta di origine algerina. Si chiama Alain Mimoun, viene celebrato come un eroe ed è ricordato ancora oggi. Ma Mimoun non dimentica da dov’è venuto e alla festa organizzata all’Eliseo per i vincitori dell’oro olimpico in terra australiana decide di invitare colui che per primo aveva fatto l’impresa che egli aveva emulato, ossia Ahmed Boughéra El Ouafi. Che si presenta all’evento in condizioni di assoluta precarietà. I suoi abiti sono sporchi e consunti, nella sua bocca quasi non figurano più denti. Quello che un tempo era stato un campione olimpico, oggi appare come un clochard, disoccupato e avvezzo a vivere di espedienti. Aveva vinto da reietto e vissuto alla stessa maniera, in una patria che non aveva saputo accoglierlo come avrebbe meritato.

Un’immagine capace di toccare nel profondo il presidente francese René Coty, che gli offre immediatamente un lavoro come giardiniere in uno stadio nella zona di Saint-Denis. Anche l’opinione pubblica ne resta colpita. Ahmed Boughéra El Ouafi, l’eroe olimpico ridotto in povertà. Una storia che tira e che inizia a interessare giornali e rotocalchi, non solo sportivi, che sottopongono l’ex maratoneta a varie interviste. E in questa situazione il maratoneta dice la sua, racconta quello che doveva essere l’inizio di un sogno e invece ha dato il via al calvario:

A posteriori, partire per l’America è stato un errore. Al tempo non potevo saperlo, vi rendete conto cos’era l’America per un operaio immigrato? Mi pagarono tutto: viaggio, spese e ingaggi per le gare di corsa. L’America è stupenda ma non sapevo che mi avrebbe cambiato la vita in peggio. E così il presidente cileno ha regalato una villa al secondo classificato, il mio mi ha squalificato. Con i soldi guadagnati ho aperto un bar ma il mio socio mi ha truffato, sono tornato a fare l’operaio alla Alstom e dopo sono rimasto con nulla, senza soldi, senza una casa, proprio com’ero arrivato dall’Algeria.

Quel barlume di notorietà e il lavoro offerto dal presidente Coty si rivelano solo un’altra illusione effimera. Il suo nome torna sui giornali solo l’indomani del 18 ottobre 1959, per scrivere dell’ultima pagina della vita di quello che fu il primo nordafricano a vincere un oro olimpico. Ahmed Boughéra El Ouafi muore assassinato a colpi di pistola fuori da un albergo di Saint-Denis. Non sono mai stati completamente chiari i motivi, la tesi più accreditata è quella di una missione punitiva del Fronte di Liberazione Nazionale, movimento nazionalista algerino impegnato nella Guerra d’Algeria e successivamente al potere una volta che lo Stato nordafricano è divenuto indipendente. Si dice che abbiano assassinato El Ouafi perché non voleva pagare – o più probabilmente non poteva permetterselo – la quota associativa necessaria per il sostegno alla causa.

Di quell’uomo, arrivato dal nulla pieno di sogni e tornato con un carico di delusioni, resta solo una tomba abbandonata nel cimitero musulmano di Bobigny. E, in maniera tanto ironica quanto beffarda, il suo nome sopravvive nella strada che porta a uno stadio di Saint-Denis, proprio dove sembrava poter iniziare una nuova vita. Non uno stadio qualunque, ma lo Stade de France, il principale impianto nazionale, il luogo in cui i francesi si sarebbero riuniti per celebrare le loro vittorie più importanti. Un onore che Ahmed Boughéra El Ouafi non ha mai avuto.

Un breve racconto, per chi mastica il francese, sulla vita di Ahmed Boughéra El Ouafi

 

Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.