In ogni ambito ci sono i pionieri, coloro che aprono strade che prima non esistevano, che vedono possibilità mai sperimentate da nessuno. Che, consapevoli o meno, diventano i primi. È un ruolo impegnativo, che richiede responsabilità e coraggio, e che può portare grandi onori, ma anche profonde inquietudini. Questa è la storia di Giorgio Minisini, romano classe 1996, che da bambino sviluppa spontaneamente un rapporto speciale con l’acqua.
Giorgio Minisini tra destino e pregiudizio
La sua è una predisposizione naturale che deriva dall’ambiente familiare: la madre, Susanna De Angelis, è un’ex nuotatrice artistica, mentre il padre, Roberto Minisini, è giudice internazionale della stessa disciplina. Il momento decisivo arriva nel 2000, quando Giorgio assiste al Rome Synchro Open al Foro Italico e vede per la prima volta Bill May. Un atleta americano di 21 anni, l’unico uomo della competizione. Se lo fa lui, allora è possibile.
La piscina lo attrae e così decide di provare questa disciplina come un qualunque bambino della sua età che si avvicina a uno sport: non sa ancora di essere un’eccezione. Si allena, gareggia solo con bambine. Ci fa caso, ma non gli dà peso, perché per lui non rappresenta un ostacolo. L’ambiente attorno alla piscina è familiare, un luogo sereno, ma chi ne sta fuori fa fatica a comprenderlo. Crescendo, Minisini inizia a capire cosa significa sentirsi diversi. Durante l’adolescenza subisce le battute cattive, le prese in giro dei coetanei che considerano il suo sport “una cosa da femmine” e, di conseguenza, non lo reputano abbastanza virile. Mettono in discussione la sua sessualità, lo scherniscono basandosi solo su un preconcetto e su un’ignoranza di fondo.
Per me era una disciplina sportiva e basta, all’inizio non mi ero reso conto di tutti i preconcetti. Io sono etero, non avrei problemi a dirmi omosessuale se lo fossi. Mi piacciono le donne, ma non pensavo che questo sarebbe stato un punto importante nella mia carriera sportiva.
I commenti fanno male, perché quello che Minisini si trova a vivere è un pregiudizio al contrario: è un uomo in un campo considerato tradizionalmente femminile, visto come la versione acquatica di una danza con body e paillettes. Nessuno vede l’impegno fisico, gli allenamenti estenuanti, la gestione dell’apnea, le coreografie, l’interpretazione di una storia, la precisione millimetrica dei movimenti. E il fatto che questa disciplina sia interdetta agli uomini – almeno nelle gare ufficiali – non aiuta. Per questo il 2015 è un anno storico: ai Mondiali di Kazan si aprono per la prima volta le competizioni miste. Una porta si è finalmente aperta.
Una carriera piena di successi
Minisini ha 19 anni, si è preparato per quell’esordio, ha investito gran parte del suo tempo passandolo in acqua con le compagne per fare del suo meglio. È una gara che vale più del solito perché è l’occasione per dimostrare di meritare quello spazio, di essere degno di quella considerazione, con tutti gli occhi del mondo addosso.
La prima prova mondiale di Minisini è quella del programma tecnico, in coppia con Manila Flamini: partecipano sei coppie e quella azzurra riesce a ottenere la medaglia di bronzo. Il titolo va al duo americano formato da Christina Jones e Bill May: mentore ed erede insieme sul podio. Qualche giorno dopo Minisini torna in gara per il programma libero con Mariangela Perrupato e ancora una volta vince il bronzo. Un punto di inizio importante che gli dà carica e speranza per il futuro. Quella porta è stata aperta e, facendolo, si è normalizzata l’immagine dei nuotatori artistici: un primo passo per frenare i pregiudizi.
La vita di Giorgio Minisini è quella di uno sportivo che si dedica completamente alla sua attività: la piscina è il luogo che frequenta più spesso, ha un solo giorno libero a settimana, si affida come la maggior parte degli atleti alle forze armate, entrando nelle Fiamme Oro.
Agli Europei di Londra del 2016, Minisini conquista due medaglie d’argento, ma è l’anno successivo, ai Mondiali di Budapest, che entra definitivamente nella storia. Nel programma tecnico con Manila Flamini propone un esercizio intitolato A Scream from Lampedusa, in cui i due azzurri interpretano il viaggio disperato di due migranti che scappano dalle persecuzioni del loro paese d’origine: è una storia d’amore che termina tragicamente quando lui si accorge che la sua compagna non ce l’ha fatta e si abbandona alla disperazione. La scelta della coppia italiana è di grande impatto emotivo e, grazie alla loro interpretazione intensa, vengono premiati con la vittoria del titolo iridato. Un risultato enorme, perché non solo rappresenta il primo successo internazionale della coppia, ma anche il primo oro del nuoto sincronizzato italiano a un Mondiale. Il coronamento di un sogno.
La toccante esibizione di Manila Flamini e Giorgio Minisini, valsa l’oro a Budapest 2017
Il duo Minisini-Flamini è sempre più vincente e il loro palmarès si arricchisce di medaglie ogni anno: agli Europei di Glasgow del 2018 ottengono due argenti, così come ai Mondiali di Gwangju del 2019. Dopo lo stop forzato a causa della pandemia, arriva un 2022 indimenticabile: Minisini, stavolta in coppia con Lucrezia Ruggiero, conquista a giugno due ori ai Mondiali di Budapest, poi ad agosto ripete l’impresa anche agli Europei in casa, a Roma.
La rassegna continentale in Italia segna un ulteriore passo in avanti per l’apertura del nuoto artistico agli uomini, perché per la prima volta vengono introdotte nel programma le gare individuali maschili e Minisini le vince entrambe. Reagisce a questi successi con una commozione incontenibile perché si rende conto del peso specifico di questi risultati, sa di essere il primo e di aver dato un forte contributo allo sviluppo della sua disciplina. Il fatto che questo storico esordio sia avvenuto nella sua città aggiunge ulteriore magia all’evento. Minisini non lascia nulla al caso e, così come fatto in passato, affronta un altro argomento di grande attualità, quello dell’inquinamento ambientale. Sceglie di presentare un esercizio dal titolo A Plastic Sea per porre l’attenzione sull’impatto dell’uomo sugli ecosistemi marini.
L’esibizione individuale valsa l’oro a Doha 2024
2024, delusione olimpica e ritiro
Nel 2024 gareggia ai Mondiali di Doha, dove conquista un oro e un argento individuali, e successivamente agli Europei di Belgrado, portando a casa un argento e un bronzo. Ma l’appuntamento più atteso è a luglio: i Giochi Olimpici di Parigi.
Per la prima volta il CIO ha stabilito che, nell’evento a squadre, ogni nazionale possa schierare fino a due nuotatori artistici uomini. Una decisione che si inserisce in un periodo storico in cui si cerca sempre più di promuovere le competizioni miste, in linea con quanto avvenuto nelle altre discipline internazionali. C’era grande attesa, quindi, per vedere finalmente gli uomini in gara alle Olimpiadi. Ma quando escono le convocazioni, la sorpresa è amara: nessuna delle dieci nazioni partecipanti ha selezionato un uomo per la prova a squadre.
Sono stati inseriti gli uomini senza creare dei parametri e tutti si sono preparati con otto donne, tentando di aggiungere un uomo nel ruolo di una ragazza. Chiaramente risultava un elemento estraneo. Potevamo essere considerati pionieri, tracciare una rotta sociale e invece nessuno ha fatto il lavoro giusto. Hanno detto infiliamoci gli uomini, senza creare la possibilità di renderli competitivi. Una scatola vuota, senza integrazione.
Le motivazioni dietro questa esclusione sono molteplici. La prima è legata ai tempi ristretti: la decisione del CIO è arrivata appena un anno e mezzo prima dei Giochi, quando i programmi olimpici delle squadre erano già ampiamente definiti. Modificare le formazioni e gli esercizi in così poco tempo sarebbe stato un rischio.
C’è poi il tema del gap tecnico. Gli uomini nel nuoto artistico hanno avuto accesso alle competizioni internazionali solo da una decina d’anni: è inevitabile che, rispetto alle colleghe, abbiano ancora terreno da recuperare. Una disparità che si riscontra in tutti gli sport in cui il pregiudizio di genere ha a lungo limitato la partecipazione di uno dei due sessi. Infine, c’è la questione dell’armonia coreografica. Il nuoto artistico si basa su una perfetta sincronia tra i componenti della squadra: movimenti simultanei, coordinazione assoluta. L’inserimento di un uomo, con un corpo dalle caratteristiche fisiche differenti, potrebbe alterare l’equilibrio visivo e tecnico dell’intera esibizione.
A luglio 2024, pochi giorni prima dell’inizio dei Giochi Olimpici di Parigi, Giorgio Minisini annuncia il suo ritiro dalle competizioni, a 28 anni. Una scelta dolorosa, ma inevitabile. La stessa che, in quello stesso momento, prende anche il suo idolo Bill May.
È stato un viaggio lungo 22 anni e i risultati sono solo il culmine, rispetto alle molte battaglie per l’inclusione e il riconoscimento di questa disciplina, per uno sport più giusto e trasparente. Sono orgoglioso di ciò che abbiamo fatto e soprattutto delle porte che abbiamo aperto. Ho sempre nuotato con entusiasmo, pur in un ambiente rigido, esclusivo, pieno di pregiudizi. Ma ho sempre pensato che questo sport potesse cambiare: ho sempre trovato assurdo che una disciplina volesse continuare a tenere fuori metà del genere umano, rispetto a quanto invece ci avrebbe potuto guadagnare.
Supporto e inclusione: il futuro di Giorgio Minisini
Nella stessa occasione del ritiro dalle competizioni, Minisini ha parlato anche di tutto quello che c’è dietro la figura di un campione e dietro ogni vittoria, uno spaccato di vita che aveva già accennato l’anno precedente, in occasione dell’uscita della sua autobiografia, arricchito di ulteriori dettagli.
Ho iniziato a nuotare perché farlo mi faceva sentire vivo: era una cosa divertente. È diventata una missione e senza accorgermene, stagione dopo stagione, si è trasformata in ossessione. Sono anni che non provo più soddisfazione nel fare questo sport, ma non potevo rinunciare alla mia ossessione, nemmeno a costo del mio stesso benessere: ho preferito starci male piuttosto che darmi per vinto. Ma ora non più. Non voglio più barattare il mio benessere. Mi sono fatto tanto male per questo sport e adesso semplicemente non sono più disposto a farlo.
Minisini spiega di avere sofferto di bulimia, un disturbo alimentare solitamente associato solo alle donne e, ancora una volta, di avere dovuto fare i conti con vecchi stereotipi. A questo si aggiunge anche la depressione: racconta che nella sua carriera ha raggiunto risultati eccezionali, ma che raramente è riuscito a goderseli e ad apprezzarli appieno. Solo con anni di terapia ha capito le pressioni a cui era sottoposto e ha compreso di avere sviluppato un rapporto malato con lo sport e col suo corpo.
I risultati possono anche essere vuoti e un risultato vuoto è peggio di una sconfitta.
Da qui la consapevolezza che chi fa sport deve allenare anche la testa e pensare non solo a curare l’atleta, ma anche la persona. Il tema della salute mentale è diventato centrale nella vita di Minisini, tanto che è attualmente iscritto all’università, nella facoltà di psicologia, perché spera in futuro di aiutare sportivi che, come lui, hanno un sogno, evitando che questo si trasformi in una maledizione.
Oggi Giorgio Minisini sta ricostruendo la sua serenità, ha abbandonato l’agonismo, ma non la piscina. Prosegue il suo impegno sociale con il Progetto Filippide, che si occupa di organizzare attività sportive per soggetti con autismo e sindromi rare ad esso correlate e si esibisce con Arianna Sacripante, nuotatrice artistica con la sindrome di Down, per veicolare i veri valori dello sport.
Inclusione, rispetto e amicizia
Giorgio Minisini, atleta #Fiammeoro #PoliziadiStato e Arianna Sacripante, sincronette del progetto Filippide incantano a #Roma2022
Il loro sogno è abbattere ogni barriera nello sport e nella vita @FINOfficial_
#ivaloricheciuniscono #LENRoma2022 pic.twitter.com/qE06lgToer— Polizia di Stato (@poliziadistato) August 21, 2022