Calcio

Il derby di Roma è il romanzo di fantascienza del calcio italiano

Il derby di Roma, una sfida unica. Spesso connotato da grande nervosismo in campo, fuori da una dialettica peculiare, fatta di sfottò e prese in giro, sintomo di una sfida basata sulla ricerca del predominio cittadino. Già, perché è inutile negare che le squadre della capitale hanno fatto della doppia sfida il vero termometro della stagione: che volge al bello in caso di successo e al brutto in caso di arrivo alle spalle dei rivali.

Ma se gli sfottò basati sui risultati del campo sono incontestabili, ancorché oggetto di fantasiose ricostruzioni e motivazioni, spesso a Roma si è fatto uso di dissertazioni fondate su argomenti contestabili. I tifosi di Roma e Lazio hanno cercato di fondare la propria superiorità su questioni relative a denominazioni, date e luoghi di fondazione, simboli, calciatori. Argomentazioni in alcuni casi basate su falsi storici.

 

Guerra, scudetti e successi nei derby di Roma

Partiamo da un primo dato, solo apparentemente certo: quello degli scudetti. Ad oggi, la Roma si trova in vantaggio per 3-2. Come già detto, nel fantastico mondo del derby di Roma i dati sono certi solo in teoria. Lo stesso vale per il computo degli scontri diretti: ad oggi, tra tutte le competizioni, si sono disputati 187 derby, con 69 successi per la Roma, 66 pareggi e 52 affermazioni biancocelesti. Numeri che l’implacabile giuria dei tifosi è solita esaminare, dissertando sul peso specifico dei derby. I tifosi della Lazio, ad esempio, invocano l’importanza della finale di Coppa Italia 2012-13 decisa da Senad Lulić – primo derby che decideva anche una finale – mentre i giallorossi replicano con il celebre autogol di Paolo Negro nell’anno del terzo scudetto. Immancabili anche le accuse di presunti favori arbitrali che avrebbero indirizzato l’esito delle stracittadine.

Ma, tornando al bersaglio grosso dei titoli di campione d’Italia, questo articolo non intende affrontare complotti “canonici” come le decisioni dei giudici di gara, i gol negati o i favori dei rivali cittadini durante la corsa al titolo. Oggi scaviamo più nel profondo, esaminando una doppia argomentazione sostenuta dai tifosi biancocelesti: quella relativa all’influenza dei conflitti mondiali sul computo degli scudetti capitolini. Nello specifico, la Roma ha realmente beneficiato di influenze del regime fascista per vincere lo scudetto del 1942? E le pretese della Lazio sul titolo del 1915 sono legittime?

 

La Roma e il PNF

La questione dello scudetto giallorosso del 1942 parte da lontano, addirittura dalla teoria per cui la Roma sarebbe una squadra nata per volontà del Partito Nazionale Fascista. Sulla questione della fusione torneremo anche in seguito, ma non si può non rilevare che questo presupposto sia infondato, in quanto fa riferimento a una questione in realtà secondaria – se non addirittura irrilevante – nel processo di fondazione della squadra giallorossa.

Andiamo per gradi. Il padre fondatore della Roma fu Italo Foschi, imprenditore e dirigente sportivo abruzzese (altro argomento che tornerà buono in seguito), ma anche gerarca fascista. Già impegnato al fronte nella Prima Guerra Mondiale, aderì al PNF alla sua fondazione e divenne segretario federale dell’Urbe nel 1923. L’appartenenza politica di Foschi è la leva che motiverebbe la presunta influenza fascista nella nascita della Roma. In realtà, si tratta di questioni inevitabilmente scisse, anche alla luce del fatto che Foschi, in qualità di consigliere del CONI, ebbe un ruolo nella generale riorganizzazione del calcio italiano, tanto a livello federale – come “padre costituente” della Carta di Viareggio che nel 1926 riorganizzò la FIGC – quanto in relazione alla fondazione di singole società calcistiche (partecipò alla fusione che portò alla nascita della Sambenedettese nel 1923 e alla creazione della Giuliese, poi Giulianova, nel 1924).

In questo quadro, le squadre del centro-sud si attivarono per colmare il gap con le squadre del nord, fino a quel momento uniche a vincere il titolo nazionale. Lo strumento utilizzato era quello della fusione tra società della stessa città. Un processo che portò nel 1926 alla nascita del Napoli – dalla fusione di Naples Foot-Ball Club e Unione Sportiva Internazionale Napoli – e della Fiorentina, frutto dell’unione di Club Sportivo Firenze e Palestra Ginnastica Fiorentina Libertas. A Roma, la questione si protrasse per più tempo, sia per il numero di società coinvolte che per questioni di natura economica e sportiva.

A creare il rallentamento fu proprio la presenza della Lazio, anch’essa parte in causa nelle operazioni di fusione, rappresentata da un gerarca fascista, nello specifico il futuro presidente della Federcalcio Gerardo Vaccaro. Tuttavia, prima di arrivare alla ratifica della fusione, ci fu un vicendevole scambio di rifiuti: la Lazio chiese non la fusione ma l’assorbimento della Fortitudo Pro Roma sotto le proprie insegne. Circostanza che spinse la Fortitudo a rifiutare per tutelare la propria storia e la Lazio a tirarsi indietro, non volendo sottostare a un cambio di denominazione. In questo quadro, la Fortitudo Pro Roma – squadra di cui proprio Italo Foschi era il presidente – l’Alba e il Roman si fusero, dando origine alla A.S. Roma, che poco tempo dopo recise il cordone con il fondatore Foschi. Nel 1928, questi divenne membro del direttorio federale a La Spezia e lasciò la presidenza a Renato Sacerdoti.

L’albero genealogico della A.S. Roma, dalle origini alla definitiva fusione del 1927. FC di Roma (o Foot Ball Club di Roma) è il nome completo del Roman

 

Lo scudetto del 1942

Passati 15 anni dalla nascita, nel 1942 il club giallorosso diventò campione d’Italia per la prima volta, primo club del centro-sud a centrare il bersaglio grosso. Un successo meritato, frutto di una squadra molto forte e competitiva, ma che sarebbe diventato oggetto di contestazione e di “sfottò da derby” circa 30 anni dopo a causa delle dichiarazioni rilasciate nel 1971 dall’allora allenatore giallorosso Helenio Herrera, prontamente riprese e cavalcate dai giornalisti Gianni Brera e Mario Soldati, che si riferivano a quello del 1942 come allo “scudetto del Duce”.

Tale questione nasceva da una mai confermata simpatia di Mussolini per i giallorossi e dal presunto intento del Duce di celebrare con lo scudetto il ventennale della marcia su Roma. Intento raggiunto, secondo questa tesi, con la presunta esenzione dall’obbligo di leva per i calciatori romanisti, mentre i calciatori avversari, soprattutto al Nord, sarebbero stati obbligati a rispondere alla chiamata alle armi, dati i bombardamenti in corso sul suolo italiano.

Anche questa argomentazione non ha alcun fondamento. Non solo perché i bombardamenti a tappeto della RAF sul territorio italiano iniziarono in maniera consistente solo nell’ottobre del 1942, a campionato già concluso, ma soprattutto perché l’esenzione dalla leva non si verificò mai. L’unica agevolazione consisteva nella possibilità di sfruttare l’acquartieramento presso la Città Eterna dei calciatori nativi di Roma e provincia chiamati al fronte, circostanza comunque condivisa con la Lazio e replicata in tutti i comuni. Nel corso del campionato, anzi, cinque giocatori della squadra giallorossaMario Acerbi, Cesare Benedetti, Renato Cappellini, Mario De Grassi e Aldo Donati – furono chiamati a prestare il servizio di leva fuori città. Non solo: il regime fascista respinse la richiesta avanzata dal presidente Edgardo Bazzini e dal direttore tecnico Eraldo Monzeglio di riportare i cinque calciatori a Roma.

Due dei cinque calciatori, nello specifico il neo-acquisto Cappellini e Donati, utilizzarono le licenze a loro disposizione per giocare le partite di campionato. Nel corso della stagione, in un’epoca in cui non esistevano le sostituzioni, solo 9 calciatori della Roma superarono le 20 presenze in campionato, a fronte degli interi undici titolari della Lazio e del Torino, principale antagonista al titolo. Senza contare che proprio lo scontro diretto contro la seconda in classifica, concluso 2-2, fu gonfio di polemiche per una rete annullata al Fornaretto Amedeo Amadei e, soprattutto, per il gol fantasma di Walter Petron che fissò il risultato finale.

Dopo il sorpasso granata e il controsorpasso a tre giornate dal termine, la Roma si assicurò con merito e senza alcuna ingerenza o favore del regime quello che all’epoca era lo scudetto più tardivo, in quanto assegnato solo il 14 giugno 1942. Un record che, limitatamente agli scudetti vinti sul campo, sarebbe stato curiosamente battuto proprio dal terzo tricolore dei capitolini nel 2001, conquistato il 17 giugno.

L’organico della Roma 1941-42, primo titolo vinto sotto gli Appennini

 

Terzo o primo scudetto biancoceleste?

Ma come anticipato, quello del 1942 non è l’unico scudetto “bellico” a popolare le polemiche connesse al derby di Roma. La Lazio, infatti, rivendica ancora oggi lo scudetto 1914-15, un campionato interrotto ad un passo dal termine proprio a causa del conflitto mondiale. Per fare chiarezza, occorre innanzitutto esaminare la struttura del campionato italiano dell’epoca: nello specifico, il torneo era diviso in Torneo Maggiore e Torneo centro-meridionale.

Il Torneo Maggiore, a sua volta diviso in sei gruppi da sei squadre, determinava la qualificazione di 16 squadre alle semifinali nazionali. Qui, le 16 squadre venivano divise in quattro gironi da quattro, di cui solo la prima si qualificava al Girone Finale Nord, un ulteriore gruppo a quattro che avrebbe incoronato la vincitrice dell’area settentrionale.

Ancora più complicata era la struttura del Torneo centro-meridionale: la Sezione toscana prevedeva un girone di otto squadre, mentre la Sezione laziale consisteva in un campionato a sei squadre. Le prime due classificate di ciascuna sezione avrebbero disputato le semifinali dell’Italia centrale, un girone a quattro squadre il cui vincitore avrebbe disputato la finale dell’Italia centro-meridionale contro il club uscito vincitore dalle semifinali dell’Italia meridionale, una semplice sfida secca tra due società partenopee, Internazionale Napoli e Naples.

Oltre alla sospensione bellica, proprio l’irregolarità del girone centro-meridionale è una delle questioni primarie dietro le ragioni della contestazione del titolo. In particolare, il Torneo Maggiore si concluse con un turno di anticipo a causa dell’inizio del conflitto. In quel momento, il Genoa era a +2 su Torino e Inter con Genoa-Torino e Milan-Inter da disputarsi nell’ultimo turno: la cancellazione dell’ultimo turno portò alla proclamazione del Genoa come vincitore del Torneo Maggiore. La Lazio, seconda nella Sezione laziale, vinse le semifinali dell’Italia centrale, assicurandosi un posto in una finale che non si disputò per svariate controversie nelle semifinali dell’Italia meridionale.

Dapprima, infatti, la doppia sfida tra le due compagini partenopee vide l’affermazione dell’Internazionale Napoli – vittoria per 4-1 all’andata, pareggio 1-1 al ritorno – che non venne omologata per l’irregolare tesseramento di due calciatori. Un mese dopo venne recuperato il doppio confronto: 3-0 per l’Internazionale all’andata, 4-1 per il Naples al ritorno, circostanza che avrebbe imposto un rematch che non si sarebbe disputato. Il successo nel ritorno del Naples, infatti, venne nuovamente non omologato e l’arrivo della guerra fermò tutto: l’Internazionale Napoli fu quindi dichiarato campione dell’Italia meridionale. Una situazione molto confusa e non aiutata dalle testate giornalistiche che, pur senza alcun documento ufficiale, dichiararono la Lazio campionessa dell’Italia centro-meridionale senza che la finale venisse mai disputata.

Il conflitto portò alla sospensione di tutto, tanto che il titolo venne assegnato solo nel 1919 e confermato, a seguito di reclami di Torino e Inter, solo nel 1921. Venne proclamato vincitore il Genoa, una questione a tutt’oggi discussa in seno alla FIGC sia per la posizione delle due inseguitrici e reclamanti, sia per l’asserita deduzione circa una facile vittoria contro la squadra vincitrice del Torneo centro-meridionale sulla base dei ripetuti e pieni successi di quegli anni.

Sta di fatto che ancora oggi il titolo appare oggetto di un’assegnazione discutibile, ma al tempo stesso i diritti della Lazio non sono prevalenti rispetto a quelli di altre società. D’altronde, se è vero che la Lazio non ha potuto giocarsi il titolo nazionale, è altrettanto vero che il presunto diritto discende da un titolo di zona mai ufficializzato.

Una formazione della Lazio nel campionato 1914-15

 

È realmente il derby di Roma? La contestazione geografica

Sbrogliata la matassa sulla questione scudetti, un punto su cui le due tifoserie si danno battaglia è l’effettiva nascita sul suolo dell’Urbe. Lo sfottò che riguarda la nascita della Lazio fa riferimento all’effettiva appartenenza alla Capitale del luogo di fondazione della S.S. Lazio nel 1900. Il fatto che l’atto si sia compiuto in un capanno costruito con canne e vimini lungo il fiume Tevere, denominato Capanno di Pippanera, nulla toglie all’effettiva romanità del luogo: all’inizio dello scorso secolo, infatti, erano diffusi i capanni sul lungotevere in diverse zone di Roma, senza che questo ne intaccasse l’appartenenza alla città.

Nello specifico, il Capanno di Pippanera, frequentato dal fondatore dei biancocelesti Luigi Bigiarelli, era posto sotto il Ponte Regina Margherita, che unisce il lungotevere a Piazza della Libertà, luogo individuato dal popolo laziale come quello di effettiva fondazione della squadra. Sebbene l’effettiva costruzione di Piazza della Libertà si sia conclusa nel 1906, essa godeva già dal 1885 di tale denominazione. L’argomentazione dello sfottò giallorosso appare dunque infondata e inconsistente.

Più marcata è la contestazione “geografica” da parte dei tifosi biancocelesti, che talvolta si rivolgono ai rivali cittadini con il termine abruzzesi e alla squadra giallorossa con il termine Corropolese. La motivazione discende dal fatto che Corropoli è il luogo di nascita del fondatore Italo Foschi. L’argomentazione sarebbe suffragata da una targa commemorativa apposta sopra la porta di ingresso della casa natale di Foschi. Tuttavia, basta leggere la targa stessa, dedicata al fondatore per gli 80 anni del club giallorosso, per notare che è chiaramente commemorato il luogo di nascita del fondatore e non quello della Roma, sul quale comunque sussistono altre questioni che esamineremo.

 

Data di nascita

Quanto alle date di fondazione, stavolta a rilanciare la palla dall’altra parte del campo con maggior vigore sono i tifosi della Roma, che sollevano dubbi sull’anno di nascita dei cugini, mentre da parte laziale ci si interroga sul giorno di nascita degli avversari. Questo dubbio, però, è sorto solo in tempi recenti: fino al 2007, infatti, sulla nascita giallorossa vi era una sola e univoca versione: 22 luglio 1927 in via degli Uffici del Vicario. A instillare il dubbio è stato un comunicato sul sito ufficiale in occasione degli 80 anni del club, che evidenzia una data diversa, quella del 7 giugno 1927.

Sebbene siano molti i club che celebrano una data convenzionale diversa da quella di effettiva fondazione, è chiaro che la Roma fu effettivamente fondata il 7 giugno 1927 nella dimora romana di Italo Foschi in via Forlì 16. La controversia nasce dal fatto che il più antico documento ufficiale sopravvissuto al tempo è l’ordine del giorno ratificato proprio il 22 luglio presso la sede di via degli Uffici del Vicario, in cui si stabilì l’organigramma della neonata A.S. Roma.

A suffragio della data di fondazione, tuttavia, oltre ai giornali dell’epoca che l’8 giugno riportano in maniera univoca la notizia, vi è anche un dettaglio agonistico: il primo incontro della neonata compagine giallorossa, celebrato anche sui canali web ufficiali, è il successo per 2-1 contro gli ungheresi dell’Ujpest TE. Il match si è giocato domenica 17 luglio 1927, in data antecedente al 22 luglio, ragion per cui la Roma doveva necessariamente esistere già.

Diversa è la questione della Lazio: il 9 gennaio 1900 è data incontestata, ma il motivo del contendere è l’oggetto della fondazione. A legittimare il dubbio vi sono le parole de Il Messaggero, pubblicato il giorno seguente:

Ieri, per opera di alcuni volenterosi giovani è stata fondata una società di sport pedestre denominata Lazio. Essa, a somiglianza delle consorelle Milano, Torino, Genova, si ripromette un’attiva propaganda in favore di questo sport tanto utile a tutti in specie poi alla gioventù. Saranno in essa bandite giornate di corsa e di marcia, gite di allenamento ed infine si avrà in Roma una sezione dell’Audax podistico italiano che ha sede in Milano. Il numero di soci è di garanzia che questo sport avrà lo sviluppo che merita. Intanto la sede provvisoria della società è in via degli Osti n. 15, primo piano, dove si dovranno rivolgere tutti coloro che desiderano informazioni.

Nessuna menzione sul gioco del calcio ma solo sulla podistica, attività praticata dal fondatore Luigi Bigiarelli. Gli sfottò sostengono che la Sezione Calcio della Polisportiva Lazio risalirebbe a molto dopo il 1900: la data di affiliazione alla FIF (antenata della FIGC) è del 1908, mentre la prima partecipazione al campionato è del 1910. La realtà, però, racconta di un avvio della Sezione Calcio risalente al 6 gennaio 1901, con un torneo disputato contro le squadre Veloce Club Podistico e Forza e Coraggio.

 

Chi ha portato il calcio a Roma?

Una delle più diffuse rivendicazioni di parte biancoceleste è che “la Lazio ha portato il calcio a Roma”, data la nascita molto precedente rispetto ai rivali cittadini. Ma è veramente andata così?

Anzitutto, il primo incontro di calcio disputato nella capitale non coinvolse nessuna squadra della città. Il 18 settembre 1895, al Velodromo di via Isonzo, andò in scena un match tra due polisportive “straniere”: la Società Udinese di Scherma e Ginnastica e la Società Rodigina di Ginnastica, allenata da Francesco Gabrielli, cui si deve la prima storica traduzione del regolamento del calcio redatto in Inghilterra.

L’esibizione generò grande curiosità verso questa nuova disciplina: due mesi dopo nacque la Sezione Calcio della Società Ginnastica Roma, mentre nel 1896 fu il turno del primo club fondato con scopi calcistici, il Football Club Roma, seguito dallo Sporting Club Roma. Queste società diedero il via al primo campionato regionale del Lazio, disputato a Villa Pamphili nel maggio 1899, un anno prima della fondazione della S.S. Lazio, e vinto dalla Società Ginnastica Roma.

Per completezza, altre tre società calcistiche nacquero prima dell’inizio dell’attività calcistica della S.S. Lazio, tra il 1899 e il 1900: la Cristiana e le due società che affrontarono i biancocelesti nel loro primo torneo, ossia Forza e Coraggio e Veloce Club Podistico.

In conclusione, è possibile confermare che non è stata la Lazio a portare il calcio nella capitale.

 

Nomi e simboli

La scelta del nome è un altro dei motivi della contesa che alimenta e insaporisce il derby della Capitale. Essendo la Lazio nata prima e reclamando, per questo motivo, lo status di “prima squadra della capitale”, perché non ha scelto il nome di Roma? Una delle spiegazioni più diffuse è l’intento da parte dei fondatori di adottare un nome che facesse riferimento a un territorio più ampio della sola città, estendendolo a tutta la regione. La contestazione mossa dalla tifoseria giallorossa circa la mancata esistenza della regione – formalmente costituita solo nel 1948 – non appare valida. Chiaramente, il concetto di Lazio si estende al cosiddetto Latium vetus, patria originaria dei popoli latini e termine che nel Medioevo era utilizzato per descrivere l’Italia intera, comprensiva ovviamente della città di Roma.

Decisamente meno convincente è la motivazione secondo cui non sarebbe stato possibile dare alle squadre il nome della propria città a causa di una non meglio precisata legge. A smentire questa ipotesi è la proposta di denominazione dello stesso fondatore Luigi Bigiarelli:

“Roma non si può chiamare, perché c’è già la Ginnastica. Diamogli un nome più grande, in cui Roma è compresa: Lazio.”

D’altronde, come detto, già due società calcistiche portavano il nome Roma, il che significa che tale scelta era consentita. Si trattava, quindi, di una libera decisione, al pari di quella dei colori sociali. Una questione, questa, mai oggetto di contesa: la Lazio ha scelto il bianco e il celeste, i colori della Grecia che aveva recentemente ospitato i primi Giochi Olimpici moderni, mentre la Roma ha adottato il giallo e il rosso, colori ufficiali della città, mutuati dal Roman.

Sui simboli vi è sostanziale parità: sia la lupa che l’aquila sono effettivamente legati alla storiografia cittadina e all’Impero. Nello specifico, l’aquila fu l’icona di Giove e insegna di alcune legioni imperiali, mentre la lupa – animale sacro per Marte, dio della guerra e padre di Romolo e Remo – è il simbolo universalmente riconosciuto della Capitale, tanto da esserne considerata l’incarnazione. La scelta dei giallorossi, però, ha alimentato ulteriori polemiche da parte del presidente laziale Lotito, che ha contestato un presunto utilizzo non autorizzato di un simbolo ascrivibile alla città.

 

Il derby di Roma fuori dai confini italiani

Quali trofei dovrebbero essere contati nella battaglia su chi ha vinto più competizioni ufficiali? È più importante una competizione nobile decaduta all’ultima assegnazione o una competizione gerarchicamente inferiore ma nuova di pacca? Questo confronto tocca inedite vette di rivalità.

Iniziamo dai numeri puri. Al momento, la Lazio è in vantaggio 16-15 sui giallorossi. Su questo dato sono state costruite negli anni motivazioni e giustificazioni di ogni genere, a volte per sovvertire il risultato, altre per legittimarlo. Il peso delle competizioni è una delle principali argomentazioni dei tifosi giallorossi, che sottolineano come a indirizzare il confronto verso la sponda biancoceleste siano le supercoppe: la Lazio ne ha vinte 6 (cinque italiane e una europea), mentre la Roma solo 2, entrambe sul suolo nazionale. Secondo i tifosi romanisti, equiparare competizioni di un giorno a quelle di durata stagionale (scudetti e Coppe Italia) è scorretto. Eliminando le supercoppe, infatti, la Roma passerebbe in vantaggio per numero di trofei vinti.

La contesa prosegue in ambito continentale, dove Lazio e Roma condividono un destino curioso: entrambe sono nell’albo d’oro nell’anno di inizio o fine di una competizione europea. Con la nascita della Coppa UEFA nel 1971, il sistema delle coppe europee prevedeva tre tornei, ma tra le stagioni 1999-2000 e 2020-21 si disputarono solo la Champions League e la Coppa UEFA/Europa League, a causa dell’abolizione della Coppa delle Coppe.

 

Coppa delle Coppe o Conference League?

La Lazio ha vinto l’ultima edizione (1998-99) della Coppa delle Coppe, resa obsoleta dall’ampliamento della Champions League, che ammise un numero crescente di squadre per nazione. Questa dinamica creò situazioni in cui i vincitori delle coppe nazionali finivano per accedere alla Champions League, rendendo inutile la Coppa delle Coppe, eliminata nel 1999.

Diverso è il caso della Roma, che ha vinto la prima edizione della Conference League nella stagione 2021-22. La competizione, ideata per ampliare il numero di squadre partecipanti (passate da 80 a 96), ha coinvolto club provenienti da campionati meno rappresentati. La Roma, piazzatasi al settimo posto nella Serie A 2020-21, si qualificò alla neonata competizione e ne conquistò il titolo. Questo fa delle due romane i limiti estremi dei rispettivi albi d’oro: la Lazio chiude quello della Coppa delle Coppe, mentre la Roma apre quello della Conference League.

Ciò accende il dibattito cittadino: la Conference League è realmente “la coppa dei settimi,” come la definiscono i laziali? E la Coppa delle Coppe aveva davvero un valore relativo, come sostengono i romanisti?

Dire che la Conference League sia “la coppa dei settimi” è inesatto per due motivi:

  1. Le access list delle coppe europee prevedono l’accesso della sesta classificata della Serie A, che diventa settima solo se la vincitrice della Coppa Italia è già qualificata in Champions o Europa League.
  2. Nella stagione 2021-22, solo quattro campionati potevano qualificare la settima classificata: Italia, Inghilterra, Germania e Spagna (quest’ultima non inviò nessuna squadra).

Quindi, nella stagione 2021-22, solo tre squadre settime parteciparono alla Conference League: Roma, Union Berlino e Tottenham.

Il “film” del successo giallorosso in Conference League

 

Peraltro, soprattutto nella prima edizione, i punti di contatto tra la Conference League e la vecchia Coppa delle Coppe erano più ampi rispetto a quanto si possa pensare: tutti i paesi al di sotto del 16° posto nel ranking UEFA, infatti, qualificavano la vincitrice della loro coppa nazionale alla Conference League, senza fornire alcun rappresentante diretto all’Europa League. Basti pensare, a tal proposito, che tra le cinque avversarie affrontate dalla Lazio nella Coppa delle Coppe 1998-99 c’erano i vincitori della coppa nazionale di Svizzera, Serbia e Grecia che secondo la access list della stagione 2021-22 avrebbero partecipato alla Conference.

Nonostante le avversarie affrontate nel corso della campagna europea – ad esempio la semifinale ha opposto la Roma al Leicester, retrocessa dall’Europa League dopo un quinto posto e la vittoria della FA Cup – e le contestazioni mosse dalla tifoseria romanista circa l’effettivo pregio dell’ultima edizione della Coppa delle Coppe, il confronto tra le due competizioni va certamente a favore delle argomentazioni della tifoseria biancoceleste. Il blasone dei rivali – Losanna, Partizan, Panionios, Lokomotiv Mosca e Mallorca – è stato spesso oggetto di scherno. Tuttavia il fattore determinante è il criterio gerarchico: la Coppa delle Coppe prevaleva sulla Coppa UEFA, mentre la Conference League è al di sotto dell’Europa League.

Non a caso la vittoria finale ha dato alla Lazio la chance di disputare – e vincere – la Supercoppa europea contro i campioni d’Europa del Manchester United, mentre il meccanismo in voga fino alla stagione appena conclusa, modificato definitivamente a partire dalla stagione 2024-25, vedeva le terze classificate nei gironi di Europa League “retrocedere” dalla seconda alla terza competizione europea.

Un filmato tratto da una videocassetta celebrativa del successo biancoceleste in Coppa delle Coppe

 

Il caso della Coppa delle Fiere

Dipanata una questione piuttosto scontata, emerge una nuova istanza numerica: parte della tifoseria giallorossa invoca un pareggio nel conteggio dei trofei, citando la controversa Coppa delle Fiere, vinta dalla Roma nel 1961. La disputa nasce dal fatto che, secondo alcuni, questa competizione sarebbe l’antenata della Coppa UEFA, introdotta solo nel 1971. Tale interpretazione è stata peraltro avallata dalla FIGC, che nella sua sala trofei espone una bacheca dei vincitori delle coppe internazionali in cui, alla voce “Coppa UEFA,” figura al primo posto proprio il successo della Roma nel 1961.

La realtà, tuttavia, è che la Coppa delle Fiere era una competizione strutturalmente diversa dalla Coppa UEFA e non può essere riconosciuta come titolo ufficiale. Il meccanismo di accesso non dipendeva dal piazzamento in campionato, ma da inviti legati all’appartenenza della squadra a una città ospitante di una fiera internazionale (tant’è che anche la Lazio partecipò all’edizione 1970-71). Nonostante il prestigio e il seguito dell’epoca – la FIFA la considera ancora oggi un major honour e il Barcellona espone i suoi tre trofei nei musei ufficiali – la competizione non è mai stata riconosciuta dalla UEFA. Questo dettaglio sostiene le argomentazioni della tifoseria laziale, rendendo la Coppa delle Fiere fuori dal conteggio dei trofei ufficiali.

 

E a debiti come siamo messi?

Il destino delle due squadre capitoline è stato spesso caratterizzato da grandi trionfi sportivi seguiti da gravi difficoltà economiche. Gli indebitamenti personali del fu presidente romanista Franco Sensi e il crac finanziario dell’ex patron laziale Sergio Cragnotti hanno lasciato ferite profonde, diventando oggetto di sfottò mai sopiti.

Per la Roma, il momento più critico a livello economico si verificò nell’estate del 2003: dopo i fasti dello scudetto, i debiti accumulati costrinsero il club a operare un mercato praticamente a costo zero per la stagione 2002-03. Per iscriversi al campionato successivo, i giallorossi presentarono alla FIGC una fidejussione risultata falsa, circostanza che generò grande apprensione nell’ambiente. A maggior ragione, considerando che il Cosenza, in una situazione analoga, non venne iscritto alla Serie B.

A differenza delle altre società coinvolte – tra cui Napoli e Spal – tutte fallite nel giro di pochi anni, il volume d’affari della Roma, sostenuto dalla partecipazione regolare alle competizioni europee, permise di evitare il collasso. Una fase di austerity e la gestione di Rosella Sensi consentirono al club di rientrare lentamente in un regime sostenibile. Circa sei anni dopo, la Roma fu riconosciuta parte lesa nel processo, con la condanna dei broker responsabili delle fidejussioni false.

La Lazio visse un incubo economico analogo, ma con caratteristiche diverse: il crac Cirio mise a rischio di bancarotta nella stagione 2002-03. Fu nominato presidente il legale della famiglia Cragnotti, Ugo Longo, nel tentativo di gestire l’amministrazione ordinaria di una società che non era più in grado di sostenere gli impegni economici. Nell’estate del 2003, grazie all’associazione di piccoli azionisti denominata Lazionista, venne raccolta la somma necessaria per l’iscrizione.

Nel 2004, Claudio Lotito rilevò il club, che però aveva un debito colossale nei confronti dello Stato: 140 milioni di euro. Dopo che già Longo aveva avanzato una proposta di adesione al decreto salva-calcio del 2002, la trattativa con il governo fu facilitata dall’allora premier Silvio Berlusconi e consentì di spalmare il debito verso l’erario in 23 anni.

 

Scandali veri e presunti

Oltre alle questioni economiche, entrambe le squadre sono state coinvolte in scandali sportivi che hanno alimentato la rivalità. Sostanziale pareggio nella vicenda dei passaporti falsi: la Lazio subì una condanna più severa in termini economici e di inibizioni ai dirigenti, mentre la Roma pagò un prezzo maggiore con la squalifica di tesserati.

Un altro scandalo, risalente al 2000, fu quello della vicenda Rolex, che coinvolse il presidente romanista Franco Sensi, accusato di aver regalato orologi di lusso ad arbitri e designatori per un valore di circa 25 milioni di lire. L’indagine, però, si concluse senza provvedimenti, trattandosi di un regalo di poco superiore a quelli di altre società.

Più grave fu il caso Vautrot, dal nome dell’arbitro francese designato per dirigere la semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni 1983-84 tra Roma e Dundee. L’allora presidente giallorosso Dino Viola, indotto da Spartaco Landini e Giampaolo Cominato, accettò di pagare 100 milioni di lire per influenzare l’arbitraggio, pur non essendoci prove che l’arbitro fosse coinvolto. Viola fu truffato e i responsabili arrestati, ma l’episodio resta una macchia per le intenzioni iniziali del club.

Sul fronte biancoceleste, il primo grande scandalo fu il Totonero del 1980, che portò alla retrocessione della Lazio e alla squalifica di quattro giocatori, tra cui Bruno Giordano e Pino Wilson. Nell’ambito del Totonero-bis del 1986, alla Lazio arrivò una penalizzazione di 9 punti in Serie B.

Infine, in Calciopoli (2006), la Lazio subì l’esclusione dalle coppe europee e una penalizzazione in campionato per aver alterato quattro partite decisive per la salvezza. Nel 2011, un altro scandalo di calcioscommesse coinvolse l’allora capitano biancoceleste Stefano Mauri, squalificato per sei mesi.

Non sono mancate vicende oscure legate ai capitani laziali: da Pino Wilson e Lionello Manfredonia fino a Giorgio Chinaglia, accusato di riciclaggio in una tentata scalata al club, evento che lo costrinse a una lunga latitanza fino alla morte.

 

Ospiti o padroni?

Ma alla fine, Roma è giallorossa o biancoceleste? Chi può davvero rivendicare il predominio cittadino? Chi ha ragione nel definire “ospite” la controparte? La Lazio invoca il maggior numero di trofei e la data di fondazione, mentre la Roma punta sul predominio nelle stracittadine, nei titoli più rilevanti, nei risultati sul suolo nazionale – compresi gli anni di permanenza in massima serie – e sulla romanità e fedeltà dei suoi calciatori-simbolo.

Un argomento che sposta gli equilibri, sia a livello numerico sia, secondo alcuni, qualitativo, è quello della tifoseria. La Roma ha fin dalle sue origini potuto contare su un numero di tifosi superiore rispetto alla Lazio. A conferma di ciò, bastano le parole del Littoriale, il giorno dopo il primo derby capitolino, vinto dai giallorossi per 1-0 con gol di Rodolfo Volk l’8 dicembre 1929:

Sapevamo che a Roma la maggioranza del pubblico volge le sue simpatie ai giallorossi, credevamo tuttavia che anche gli azzurri avessero messe di simpatie. Ci siamo dovuti ricredere: i nove decimi dell’immenso pubblico che aveva gremito lo stadio agitavano bandierine giallorosse.

La Roma, infatti, ha fatto dell’attaccamento e del calore della sua tifoseria un motivo di vanto non solo in Italia ma anche oltre i confini nazionali. Questo è evidente nella costante presenza di pubblico sia nei match casalinghi sia in trasferta, come dimostrato dopo la riapertura degli stadi post-pandemia. Tuttavia, questa caratteristica è oggetto di critiche da parte della tifoseria biancoceleste, che rivendica l’autenticità e la purezza del proprio pubblico, in contrapposizione a una parte di tifosi giallorossi considerati solo simpatizzanti o star in cerca di visibilità.

A rispondere, in parte, a questa polemica, sono le parole di Giuseppe Signori, ex capitano e simbolo della Lazio negli anni ’90, che nella sua autobiografia scrive:

C’era una certa differenza tra il tifoso della Lazio e quello della Roma. Il tifoso della Lazio andava all’Olimpico solo quando la squadra vinceva, quello della Roma andava all’Olimpico sempre, anche quando la Roma perdeva tre partite di fila. Nei momenti di difficoltà la gente biancoceleste tendeva a smarrirsi, quella giallorossa si univa, si legava ancora di più alla propria squadra.

La rivalità tra Roma e Lazio ha avuto momenti in cui le due squadre hanno persino influenzato il destino dei propri rivali. Nel 1973, ad esempio, i tifosi della Roma si trovarono divisi: sostenere la propria squadra nell’ultimo turno contro la Juventus – decisivo per le sorti del campionato – o tifare contro, sperando di danneggiare la Lazio, che però vanificò ogni calcolo con una sconfitta a Napoli. Situazione opposta nel 2010, quando la tifoseria laziale tifò compatta contro la propria squadra nella sfida contro l’Inter, per evitare di favorire la Roma nella corsa al suo quarto scudetto.

Quindi, chi domina realmente? La risposta, in realtà, sfugge a una definizione univoca. Che siano più importanti gli scudetti o i trofei complessivi, che si discuta di quantità o qualità dei tifosi, che si rivendichino vittorie passate o si cerchi di invalidare i successi altrui, una cosa è certa: tutto ciò rappresenta il sale e il pepe del derby di Roma.

La Lega Serie A tenta di spiegare cosa sia il Derby di Roma

Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.

Recent Posts

Puntero è online, viva Puntero!

Un nuovo spazio dove gli appassionati di sport potranno sentirsi a casa, sempre.

1 anno ago

L’album di Calcutta racconta gli amori della Serie A

E se Calcutta avesse dedicato ogni traccia del suo nuovo disco alla nostra Serie A?

1 anno ago

Ora tutti devono fare i conti con Ben Shelton

L'inesorabile ascesa della nuova star in the making del tennis americano.

1 anno ago

Il calcio in Suriname tra dittatori, fuoriclasse e razzismo

In uno Stato pieno di problemi, il calcio ha rappresentato l'unica via d'uscita.

1 anno ago

Questo Torino ancora non funziona

Come è cambiata tatticamente la squadra di Juric e come dovrà ancora cambiare.

1 anno ago

La Bobo Tv vi ha preso in giro

Un format che ha promesso la rivoluzione ma che ha solo arricchito i brand dei…

1 anno ago

This website uses cookies.