La morte di Tito durante Hajduk Spalato-Stella Rossa: la Jugoslavia non c’è più

Dopo la morte di Tito durante Hajduk Spalato - Stella Rossa, la Jugoslavia cominciò a dissolversi

Inquietudine, tristezza, incredulità. Sono queste le emozioni che hanno travolto lo Stadio Poljud di Spalato durante Hajduk Spalato-Stella Rossa, il 4 maggio 1980. Una partita che già di per sé incarnava una potente commistione di significati calcistici e politici, ma che si trasformò in pochi attimi in un evento di lutto collettivo. La causa? La morte di Josip Broz Tito, il leader della Jugoslavia al potere dal 1953. Un nome che, nel bene e nel male, rappresentava l’essenza stessa della nazione.

La Jugoslavia di Tito

Territorio di sloveni, croati e serbi, inizialmente chiamato Regno dei serbi, croati e sloveni, nato dall’unione del Regno di Serbia e del Regno di Montenegro, per poi divenire il Regno di Jugoslavia. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Paese assunse molteplici denominazioni: prima Lega dei Comunisti di Jugoslavia, poi Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia, e infine Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Tuttavia, al di là dei suoi nomi e delle sue trasformazioni, fu sotto la guida di Tito che la nazione balcanica divenne una protagonista cruciale nello scacchiere europeo.

Con il maresciallo Josip Broz Tito al timone, la Jugoslavia intraprese una strada unica, in aperto contrasto con le direttive sovietiche. L’espulsione dal Cominform segnò una rottura clamorosa con Stalin e inaugurò una fase di crescita e di autonomia politica. Grazie a un’economia pianificata che si apriva gradualmente all’impresa privata, Tito portò avanti una serie di riforme che modernizzarono il Paese. L’accordo del 1966 con il Vaticano, che consentì l’insegnamento del catechismo, fu un esempio concreto di quel pragmatismo che caratterizzava la sua leadership.

Un mosaico culturale unico

Tito però non è ricordato solo per le sue politiche economiche o per il ruolo di co-fondatore del Movimento dei Paesi Non Allineati, ma anche e soprattutto per aver incarnato l’idea di un mosaico culturale unico. La Jugoslavia era una terra di profonde diversità: etnie, religioni e tradizioni convivevano all’interno di un fragile equilibrio. Slavi, serbi, macedoni, montenegrini, croati, bosniaci — popoli così diversi, eppure tutti sotto il controllo del maresciallo. Per quasi quattro decenni, Tito riuscì a mantenere unita questa pluralità culturale, pur tra tensioni e contraddizioni.

Nonostante i suoi sforzi, però, alcune fratture rimasero insanabili. Tra tutte, quella tra Serbia e Croazia spiccava come la più profonda. Rivali in guerra, antagonisti nello sport, le due regioni rappresentavano il cuore pulsante di un conflitto latente che attraversava il Paese. Eppure, quel 4 maggio 1980, queste due realtà così lontane trovarono un inatteso momento di unione: un dolore condiviso che riecheggiò sugli spalti e oltre i confini. Sorellastre divise dal passato, ma unite, per un attimo, nel ricordo di un leader che aveva cercato di governare le loro differenze.

I destini incrociati di Stella Rossa e Hajduk

Il calcio è sempre stato a stretto contatto con la politica, e le vicende legate alla Jugoslavia non fanno eccezione. Rappresentanti di due nazioni diverse e in contrasto tra loro, l’Hajduk Spalato e la Stella Rossa affondano le proprie radici in epoche ben distinte e incarnano identità diametralmente opposte. La Stella Rossa, supportata da una tifoseria notoriamente di estrema destra e identificata come la squadra del popolo, è la più importante formazione serba e, ad oggi, l’unica squadra dell’ex Jugoslavia capace di vincere la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale, entrambe nel 1991.

Dall’altra parte, invece, c’è l’Hajduk, che pur vantando numerosi trofei nazionali, rimane la seconda forza croata, subito dietro la Dinamo Zagabria. Le due squadre erano in contrasto non solo per i trofei, ma anche per ideologie politiche e status quo. I primi dissidi non tardarono ad arrivare: dopo la creazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, i giocatori e lo staff dell’Hajduk — entrati clandestinamente tra le fila dei partigiani jugoslavi nel 1944 — rifiutarono il trasferimento a Belgrado e la proposta di Tito di fare del club spalatino la formazione ufficiale dell’esercito slavo. Questo ruolo, successivamente, venne ricoperto proprio dalla Stella Rossa. Come se non bastasse, il Partizan divenne la squadra del regime, alimentando ulteriormente i conflitti tra spalatini, zagabresi e belgradesi. Questi antagonismi avrebbero continuato a infiammare il campionato jugoslavo di calcio, la Prva savezna liga SFRJ, per decenni.

Il campionato jugoslavo 1979-80

Diciotto squadre partecipanti, provenienti da sette diverse regioni della Jugoslavia — compresa la Vojvodina — si sfidarono nella cinquantunesima edizione del campionato nazionale, la trentaquattresima dalla fine della Seconda guerra mondiale. La formula della competizione era semplice: girone all’italiana con calcio d’inizio fissato per il 15 luglio 1979. Ai blocchi di partenza l’Hajduk si presentò da favorita, forte della vittoria dell’anno precedente, ottenuta superando la Dinamo Zagabria. Il club di Spalato, inoltre, arrivava da una serie di successi straordinari — cinque Coppe di Jugoslavia e tre campionati slavi tra il 1972 e il 1979 — grazie alle prestazioni della zlatna generacija, la “generazione d’oro”. In quel momento, la squadra spalatina era una delle migliori del Paese, ma la Stella Rossa non era da meno. Nella stagione 1978-79, il club di Belgrado si era piazzato al terzo posto in campionato, raggiungendo anche la finale della Coppa UEFA, persa contro il leggendario Borussia Mönchengladbach.

Nell’ultimo campionato del decennio, l’Hajduk Spalato rallentò in diverse occasioni contro squadre alla sua portata. Pur avendo una rosa forte, la squadra non riuscì a essere incisiva come nella stagione precedente. Ancora più in difficoltà la Dinamo Zagabria, che concluse al dodicesimo posto, a sole tre lunghezze dalla zona retrocessione. La Stella Rossa, al contrario, procedeva spedita: il primato in classifica sembrava saldo, e ogni partita rafforzava la sua posizione. La venticinquesima giornata rappresentava uno snodo cruciale: lo scontro diretto a Spalato.

La squadra serba, forte della sua leadership in campionato, arrivò carica, determinata a staccare definitivamente l’Hajduk e consolidare il proprio dominio. Tuttavia, ciò che sembrava una giornata come tante si trasformò in un momento epocale, destinato a cambiare per sempre la vita di milioni di persone.

4 maggio 1980

4 maggio 1980, lo Stadio Poljud di Spalato è invaso da cinquantamila persone pronte ad assistere allo scontro che tutta la Jugoslavia sta aspettando: quello tra i campioni dell’Hajduk e la prima della classe, la Stella Rossa. Il club serbo giunge alla sfida con uno score di 14 vittorie, 5 pareggi e altrettante sconfitte, tra cui quella del Marakàna con l’Hajduk che la capolista intende vendicare. I padroni di casa, invece, hanno collezionato 12 vittorie, 7 pareggi e 5 sconfitte. Pertanto le due formazioni sono divise solamente da due punti in classifica: 33 punti la Stella Rossa, 31 l’Hajduk.

Quella di Spalato, però, non è solamente una sfida calcistica: c’è molto di più in gioco. All’inizio del decennio precedente, infatti, Tito era stato rieletto per la sesta volta e, dopo aver introdotto 20 emendamenti che rivoluzionarono lo schema sul quale si basava lo Stato, aveva combattuto la Primavera Croata e i tentativi di rinnovamento politico emersi in Slovenia, Serbia e Croazia. Il 16 maggio 1974, inoltre, dopo l’entrata in vigore della nuova costituzione federale, Tito era stato eletto Presidente a vita.

L’occupazione italiana di Spalato

A sei anni da quel giorno – con un Tito in condizioni critiche e ricoverato in ospedale da quattro mesi – l’Hajduk combatteva non solo per i due punti ma per la propria patria, per l’orgoglio croato. Ad aggiungere ulteriore benzina sul fuoco della storia e dell’ambiente circostante, come se non fosse già abbastanza caldo, si aggiunse un retroscena risalente al secondo conflitto mondiale. L’Hajduk, infatti, in seguito all’occupazione italiana di Spalato, si rifiutò di gareggiare nel campionato dell’Italia Fascista. A differenza delle squadre nate dopo il conflitto come Stella Rossa, Dinamo, Partizan e Vardar Skopje, dunque, l’Hajduk era visto come un club partigiano in forte contrasto con il regime ed era l’unica big sopravvissuta alla guerra. Di fronte ai propri tifosi, quel pomeriggio, si giocava tutto.

L’annuncio della morte di Tito

Arrivati al minuto 41 del primo tempo, tre uomini entrano in campo e ordinano all’arbitro di interrompere il match. Poco dopo, giocatori e corpo arbitrale si allineano a metà campo. Poi il presidente dell’Hajduk, Ante Skataretiko, prende in mano il microfono e annuncia quello che in molti si aspettavano e che al contempo non avrebbero mai voluto sentire: la morte di Tito. Il pubblico mormora, si dispera, giocatori bosniaci, croati e serbi scoppiano in lacrime.

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Ne segue un momento incredibilmente toccante: la folla, spontaneamente, canta Druže Tito mi ti se kunemo, da sa tvoga puta ne skrenemo (“Compagno Tito, non ti tradiremo, dalla tua strada non devieremo”). Questo inno risuonò come un atto di fedeltà e commozione collettiva. Uno dei giocatori maggiormente colpiti dalla morte di Tito, come appreso da un’intervista rilasciata diversi anni dopo, fu Boško Đurovski, calciatore macedone della Stella Rossa:

Quello è stato un momento orribile, sapevamo che Tito stava per morire, ma la notizia ci ha distrutti. Ho pianto tantissimo. Prima la vita era bella, a nessuno importava di che nazionalità fossero gli altri durante il governo di Tito. Sapevo che non avremmo più avuto quel senso di unità. Per questo ricordo il mio pianto per Tito e non me ne vergogno.

Anche per Zlatko Vujović, devastato dall’annuncio, non fu un momento facile:

Ci sono foto, video, non si sfugge alla storia e non c’è motivo per farlo. Il mio amico Zoran è crollato e anche io ho pianto a dirotto. Eravamo di fianco a giocatori di entrambe le squadre, è stato un momento complicato per tutti.

Dušan Savić, invece, attaccante serbo della Stella Rossa, la pensava diversamente:

Credo che all’inizio sia prevalsa la paura di ciò che sarebbe accaduto, per decenni ci hanno detto che non c’era vita senza Tito, che era l’unica cosa che contava in Jugoslavia. Solo più tardi ho realizzato chi fosse veramente e cosa rappresentassero lui e la Lega dei Comunisti. Ma ci sono stati anche bei momenti perché quando sei giovane, in fondo, tutto sembra bello.

Morte di Tito - Puntero

La disperazione dei giocatori in campo

 

Cosa accadde dopo la morte di Tito

La sfida del Poljud fu interrotta e recuperata successivamente – vinse 3-1 la Stella Rossa, che avrebbe fatto suo anche il campionato. Al di là del calendario calcistico che passa evidentemente in secondo piano, però, c’è altro di cui parlare. La realtà slava, come sappiamo, era ben più grigia di quanto si pensasse.

Negli ultimi anni di vita di Tito, la Jugoslavia infatti era entrata in crisi sia dal punto di vista economico che politico. I prezzi del mercato globale erano decollati e così anche i debiti verso l’estero, mentre la produttività crollò. Il sistema sul quale si basava la Jugoslavia era in fase di rottura già prima della morte di Tito. L’episodio non fece altro che accelerare un processo di dissoluzione che ormai sembrava inevitabile. A partire dal 1980, i movimenti nazionalisti e secessionisti si diffusero tra le masse, che iniziarono a insorgere in cerca di indipendenza. Ma soprattutto in cerca di una via di fuga dalla crisi che aveva colpito la Jugoslavia.

Il Far West slavo

I quartieri, con il passare del tempo, si trasformarono in ambienti sempre più pericolosi, le strade diventarono la cornice principale del “Far West slavo”. Gli stadi e i campi da calcio divennero invece lo scenario ideale per gli ultras in protesta pronti a sfogarsi contro gli altri popoli, a partire proprio dagli ultras della Stella Rossa, capeggiati dal terribile Arkan. Al Poljud di Spalato, i tifosi dissero che non avrebbero tradito il loro leader, ma la promessa non fu mantenuta.

Dieci anni dopo la morte di Tito, di nuovo in un campo di calcio – luogo che dovrebbe unire piuttosto che dividere – gli episodi legati alla gara del Maksimir tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa segnarono in maniera quasi definitiva la fine della Repubblica Socialista che, lo stesso anno, avrebbe giocato il suo ultimo Mondiale. Solo un anno più tardi, la Jugoslavia cessò ufficialmente di esistere, travolta da una guerra orribile che ha portato morte e devastazione. Ma probabilmente, quella terra, se l’era già portata via Tito il 4 maggio 1980, giorno in cui si spense a Lubiana.

Di Alessandro Amici

Romano, 26 anni. Vivo la mia vita una partita di calcio alla volta.