Fonseca esonerato, ma i veri guai del Milan sono ancora tutti lì

Paulo Fonseca è stato esonerato, il portoghese non è più l'allenatore del Milan

E così, alla fine, Paulo Fonseca è stato esonerato. La sua destituzione è avvenuta in circostanze surreali, quasi comiche se non si trattasse di una persona che perde il posto di lavoro (pur uno particolare e ben remunerato).

A dare per primo la notizia dell’esonero è stato lo stesso allenatore portoghese, pochi momenti dopo essere uscito dalla pancia di San Siro, teatro della sua ultima apparizione nelle vesti di allenatore del Milan. Dopo aver espletato le formalità mediatiche del dopo gara con la Roma (fra le quali una conferenza stampa inverosimile, con tutti i giornalisti presenti che chiedevano dell’esonero ormai imminente davanti ad un Fonseca che si trovava fra l’allibito, il sinceramente sorpreso e l’atteggiamento di chi sa ma vorrebbe rimandare l’inevitabile).

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L’esonero di Fonseca

La fine del rapporto turbolento fra Fonseca e il Milan, unita al progetto interrotto a suo tempo quando il lusitano era alla guida della Roma, ci faranno ricordare questo tecnico compassato, dai modi gentili (e così estranei alla cultura di un certo calcio, specialmente il nostro) come una sorta di Fatih Terim, l’imperatore turco che in Italia, a cavallo del Duemila, collezionò due esoneri (uno alla Fiorentina e uno, guarda caso, al Milan) senza avere colpe particolari, se non quella di essere diventato troppo ingombrante per un presidente e di ostacolo ai progetti dell’altro, che voleva riportare a casa un certo Carlo Ancelotti (e alla fine gli disse più che bene).

Cosa resta, sul campo, del passaggio di Fonseca al Milan? Il tentativo (ben presto abortito) di creare una squadra padrona del gioco, l’esplosione di alcuni calciatori (Cristian Pulisic, Tijani Reijnders e Youssouf Fofana), alcune partite indimenticabili (come il ritorno alla vittoria in un derby, dopo tanto tempo, o il successo al Santiago Bernabéu contro il Real Madrid in Champions) ma anche i rapporti non idilliaci con alcuni senatori (Theo  Hernández su tutti) e, soprattutto, un’avventura giunta al termine prematuramente, nella totale assenza della società rossonera.

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Un uomo lasciato solo

Anche nel suo ultimo atto da tecnico infatti, così come per tutta la durata della sua gestione, Fonseca è stato lasciato solo, mandato davanti al fuoco di sbarramento delle domande dei cronisti senza lo straccio di un dirigente ad accompagnarlo. Cosa dire poi dell’ammutinamento del già citato Theo e di Rafa Leão in quel di Roma, durante la partita contro la Lazio? Nessuna voce si è levata dalla società, nessun atto è stato compiuto, scegliendo invece di andare avanti come se nulla fosse successo.

La dirigenza milanista, in questi mesi, è parsa preoccupata più di quanto succedeva fuori dal campo (leggasi la vicenda riguardante lo stadio) che di quello che avveniva sul rettangolo di gioco. L’impressione, come per altre proprietà straniere nel nostro campionato, è che il business (inteso come stabilità economica ma anche come aumento del fatturato) sia per questi ricchi stranieri l’elemento cardine dei loro progetti. Progetti aziendali quindi, in assenza di reali progetti tecnici (almeno in apparenza).

Una linea guida che può star bene agli investitori, molto meno ad una tifoseria abituata dagli anni di Silvio Berlusconi a vincere con costanza in Italia e in Europa e che riteneva (a questo punto a torto) di poter costruire una continuità tecnica virtuosa sullo scudetto conquistato da Stefano Pioli nel 2022 (e sembra passata un’era geologica da quel trionfo).

Campagna acquisti lacunosa

A riprova di questo assunto possiamo chiamare in causa una campagna acquisti farraginosa, per non dire proprio lacunosa, che non ha portato miglioramenti là dove servivano (in difesa soprattutto), lasciando così a Fonseca una rosa ricca in alcuni reparti (centrocampisti centrali) ma terribilmente povera o limitata qualitativamente in altri. In questo senso, a testimonianza del fatto che Fonseca fosse lì solo per allenare gli uomini che l’azienda decideva di mettere a sua disposizione, senza nessun potere decisionale in merito, c’è il caso di Alexis Saelemaekers.

Il belga, tornato rigenerato in rossonero dopo l’anno trascorso sotto le cure di Thiago Motta a Bologna, era ben presto diventato elemento importante del Milan che Fonseca stava plasmando in estate. Salvo poi essere ceduto alla Roma in chiusura di mercato.

Il parafulmine del Milan

Alla fine Fonseca (che pur ha commesso degli errori) ha cercato in qualche modo di tenere in carreggiata la macchina rossonera, arrivando anche a compromessi sul modulo e sul modello di gioco. Difficile chiedergli di più. Il problema è che, al netto delle condizioni di partenza difficili, il portoghese ha svolto perfettamente il ruolo di parafulmine costruito per lui dalla società.

Se le cose fossero andate bene, merito del club che, dopo un estenuante balletto intorno al nome di Julen Lopetegui (la prima scelta) e dopo non aver mai seriamente preso in considerazione la candidatura di Antonio Conte (invocato dai tifosi perché, a detta loro, sinonimo di progetto vincente) aveva poi ripiegato su Fonseca. In caso invece di nubi tempestose (come accaduto) ecco l’esonero che scarica su Fonseca tutte le responsabilità di una prima parte di stagione avara di successi.

La Serie A perde un gentleman

Se ne va dunque un signore, un vero gentleman. Un qualcosa che nel calcio, specialmente italiano, sembra essere più un difetto invece che un pregio. E questo è uno dei mali che si annidano nel nostro universo pallonaro.

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Al posto del portoghese arriva un suo connazionale, quel Sérgio Conceição che ad un certo punto, la scorsa estate, era già entrato nel ballottaggio dei possibili sostituti di Pioli.

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Nell’ex centrocampista di Lazio e Parma il Milan trova un allenatore vincente, reduce da un ciclo al Porto foriero di ben undici trofei vinti, fra i quali tre titoli portoghesi.

https://x.com/OptaPaolo/status/1873718971058504076

Conceição ha firmato un contratto fino al 2026. Un anno e mezzo quindi per risollevare le sorti dei rossoneri. Tuttavia, se l’esperienza del suo predecessore può insegnare qualcosa, questa è certamente che RedBird non aspetta. Il nuovo allenatore dovrà dunque dare subito una sterzata ad una squadra che si ritrova ora all’ottavo posto in classifica, a otto lunghezze di distanza da quel quarto posto che significherebbe qualificazione alla prossima Champions (l’unico obiettivo realmente dichiarato dalla proprietà).

Cosa aspettarsi da Conceição

Per centrare questo obiettivo Conceição ripartirà probabilmente da quel calcio quadrato visto alla guida del Porto e, prima ancora, del Nantes. Una squadra senza tanti fronzoli, orientata su una struttura base 4-4-2 volta ad andare in verticale il prima possibile. Magari difendendo in blocco medio. In pratica, una evoluzione rispetto al gioco di Fonseca, più in linea con una rosa piena di buoni contropiedisti e portatori di palla ma poco incline al possesso.

Un impianto verticale quindi, apparentemente più adatto per sfruttare le qualità in campo aperto dei vari Reijnders, Pulisic, Theo e Leão ma anche di Tammy Abraham e di Ruben Loftus-Cheek. Con una linea arretrata un po’ più bassa inoltre dovrebbero trovarsi maggiormente a loro agio anche Malick Thiaw e Strahinja Pavlović (partito bene con Fonseca per poi sparire dai radar).

Di certo sarebbe auspicabile che il nuovo condottieri rossonero puntasse sui giovani Mattia Liberali e Francesco Camarda con ancora maggior continuità rispetto a quanto fatto da Fonseca. E questo anche perché, in una stagione di grigi, l’eventuale boom dei giovani potrebbe ridare un minimo di entusiasmo ad una tifoseria disillusa.