Vi avevamo lasciato qualche tempo fa raccontandovi non una, non due ma addirittura tre storie sui calciatori più forti di ciascuna regione. E quindi abbiamo deciso di riprovarci, entrando nel dettaglio e magari scoprendo qualche curiosa sorpresa: qual è il calciatore più forte di ciascuna città italiana? Abbiamo preso in esame solo le città con più di 100.000 abitanti e ne è uscito un mix di campioni e calciatori insospettabili. Vi portiamo in questo viaggio con la prima parte del nostro racconto. Per rendere più interessante il tutto, abbiamo considerato solo i calciatori nati in città e non in provincia.
Nella città più popolosa d’Italia, che ha dato i natali a tanti calciatori capaci di fare le fortune delle due squadre della capitale e non solo – come Agostino Di Bartolomei, Daniele De Rossi, Amedeo Amadei e Giuseppe Giannini per la Roma o Alessandro Nesta e Paolo Di Canio per la Lazio – è impossibile non partire dal capitano giallorosso per eccellenza. Francesco Totti è stato così rilevante per Roma e la Roma da diventare un simbolo contemporaneo della romanità, dall’alto delle sue 25 stagioni in prima squadra a difendere i colori della Lupa.
I numeri sono indiscutibili: 768 partite e 307 gol in maglia giallorossa, di cui 250 siglati in Serie A, campionato in cui figura come secondo miglior cannoniere di tutti i tempi. Un palmarès che avrebbe potuto essere più ricco, se solo non avesse giurato fedeltà alla Roma. Il bottino del Pupone recita uno Scudetto, 2 Coppe Italia, 2 Supercoppe Italiane e un Mondiale. Senza contare alcuni altri record difficilmente battibili: 23 stagioni consecutive in gol, il più anziano a realizzare una doppietta, 19 stagioni da capitano (568 partite con la fascia al braccio). Una leggenda senza eguali.
Una scelta facile e, al tempo stesso, complicatissima. Perché Paolo Maldini, figlio d’arte del Cesarone nazionale che fu il primo capitano milanista ad alzare al cielo una Coppa dei Campioni, è stato un’istituzione e un simbolo dell’Italia nel mondo, quantomeno a livello calcistico. Manifesto di stile, bellezza ed efficacia, ha saputo raggiungere i vertici del calcio sia da terzino sinistro – pur essendo destro di piede – che da centrale difensivo.
Con risultati incredibili, anche alla luce dell’epoca aurea del suo Milan. Anche per lui 25 anni tutti con la stessa maglia. Un bilancio da 902 gettoni di presenza accompagnati da 33 gol. Il tutto mettendo in bacheca 7 Scudetti, 5 Champions League, 5 Supercoppe europee, 2 Coppe Intercontinentali, un Mondiale per club, una Coppa Italia e 5 Supercoppe Italiane. Una carriera travolgente, a cui manca solo un grande alloro in azzurro.
Ma la scelta è stata, come detto, meno banale del previsto. Perché tra i selezionabili troviamo nientemeno che Giuseppe Meazza, un autentico monumento. Al punto da dare il proprio nome allo stadio di Inter e Milan, entrambe squadre appartenenti alla sua storia da calciatore. 313 gol in carriera e due Mondiali vinti, nel 1934 e 1938, dicono tanto del livello incredibile di cui stiamo parlando.
Impossibile non scegliere, per una città che vive di calcio, un Pallone d’Oro e capitano della Nazionale campione del mondo del 2006. Sarebbe già sufficiente per descrivere pienamente la storia di Fabio Cannavaro, ma non c’è solo questo: un centrale con un tempismo e un senso dell’anticipo praticamente senza eguali. Il prototipo del difensore dinamico ed esplosivo, capace di farsi valere come pochi altri nel gioco aereo, nonostante una statura inferiore rispetto ai colleghi.
136 presenze in Nazionale lo collocano al secondo posto all time nella graduatoria azzurra, alle spalle di Buffon. Senza dimenticare una carriera a livello di club che lo ha visto vestire maglie prestigiosissime, come quelle di Napoli, Parma, Inter, Juventus e Real Madrid. Anche la bacheca dei trofei è particolarmente ricca: due vittorie della Liga, una Coppa UEFA, due Coppe Italia e due Supercoppe (una in Italia e una in Spagna).
Dici Torino e pensi alle due squadre della città: la più titolata e continua d’Italia, la Juventus, e quella forse più iconica, il Grande Torino che il fato avverso ci ha tolto troppo presto. Nonostante i molti giocatori nati nella capitale sabauda – si pensi a Guglielmo Gabetto, 208 gol in Serie A giocando sia per la Juventus che per il Torino prima di morire nella tragedia di Superga, ma anche a juventini di epoche diverse come Roberto Bettega e Claudio Marchisio – il più forte calciatore nato a Torino ha dedicato la sua carriera ad altri colori.
Parliamo di Sandro Mazzola, bandiera dell’Inter per 17 stagioni e nato nel capoluogo piemontese proprio in quanto figlio di quel Valentino Mazzola che del Grande Torino è stato il simbolo indiscusso, prima di incontrare il suo tragico destino. Dotato di tecnica sopraffina, in carriera si è alternato tra centrocampo e attacco, segnando molto e deliziando il pubblico nerazzurro – per lui 4 Scudetti, 2 Coppe dei Campioni e 2 Coppe Intercontinentali – e della Nazionale, con cui è divenuto campione d’Europa nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970. A renderlo ancor più iconico è il dualismo con un altro piemontese divenuto celebre a Milano, l’alessandrino Gianni Rivera del Milan.
Impossibile non citare un calciatore che ha saputo farci sognare per un’estate, quasi per caso, e che ha fatto soffrire un’intera nazione quando ci ha lasciati. Totò Schillaci è stato il simbolo della gavetta, del saper cogliere le occasioni giuste al momento giusto. Tanto in ragione delle sue qualità tecniche da attaccante opportunista, da rapace d’area, quanto a livello di carriera, sapendo trasformare il suo ruolo da comprimario a Italia ’90 in quello del protagonista, laureandosi capocannoniere della competizione e arrivando a sfiorare il Pallone d’Oro.
Schillaci non ha mai vestito la maglia del Palermo, bensì quella dei rivali del Messina. Lo stesso non si può dire del terzino goleador Alessandro Parisi, palermitano ed ex rosanero, ma che ha conosciuto la Serie A e il momento di maggior gloria proprio con i peloritani, di cui oggi è team manager. In diversi momenti, hanno vestito i colori del capoluogo siciliano anche i fratelli Giovanni Tedesco e Giacomo Tedesco e, soprattutto, Gaetano Vasari, simbolo del Palermo dei Picciotti di metà anni ’90 e tornato nel 2004. Appena in tempo per riportare in A la squadra della sua città, per giunta segnando nell’ultima di campionato. Con tanto di dedica al padre da poco scomparso, cui aveva promesso la promozione.
Abbiamo già citato qualche questione di famiglia e altre ne citeremo, nel corso di questo viaggio. Ma qui parliamo quasi di una corsa a due: quella tra Enrico Chiesa e il figlio Federico Chiesa. Ne avevamo già discusso in passato e anche oggi andiamo con la scelta del padre, uno dei migliori attaccanti italiani negli anni ’90, epoca d’oro della nostra Serie A. Punta che univa senso del gol a doti di assistman, senza dimenticare le capacità balistiche da lontano principalmente con tiri a giro, anziché di potenza. È stato una perfetta seconda punta al fianco di Crespo nell’ultimo successo europeo del Parma, la Coppa UEFA del 1998 nella quale si è laureato capocannoniere.
Un palmarès che avrebbe meritato qualche titolo in più, avendo solo sfiorato l’età d’oro della Sampdoria, club in cui è cresciuto, e vincendo sul suolo nazionale appena due Coppe Italia con Parma e Fiorentina. E proprio in viola è iniziato il percorso del figlio Federico, poi passato alla Juventus e oggi al Liverpool, ancora a caccia del primo campionato nella storia di una famiglia che, finora, ha raccolto meno di quanto ha seminato.
A rappresentanza del Genoa, il club più antico d’Italia, citiamo invece Stefano Eranio. Egli ha conosciuto, lontano dalla Liguria, quei successi che i due concittadini non hanno mai raggiunto. Con la maglia del Milan, infatti, ha vinto 3 Scudetti, una Coppa dei Campioni, una Supercoppa europea e 3 Supercoppe Italiane.
Una città che ha conosciuto la gloria in passato, grazie alla squadra che tremare il mondo fa, e che quest’anno è finalmente tornata ad assaporare il palcoscenico europeo dalla porta principale, quella della Champions League. Bologna la dotta, la rossa, la grassa. La Bologna di Angelo Schiavio, implacabile cannoniere degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, che dopo gli inizi nella Fortitudo è passato nell’organico della più importante realtà calcistica felsinea.
Con risultati e numeri pazzeschi: 242 reti in massima serie – non è al terzo posto della classifica all time solo perché 133 di questi sono stati realizzati prima che la Serie A divenisse tale, quando il massimo campionato era denominato Prima Divisione o Divisione Nazionale – uniti a 4 titoli nazionali, 2 Coppe dell’Europa Centrale, un titolo di capocannoniere e anche un Mondiale e un bronzo olimpico con la Nazionale azzurra.
Impossibile, tuttavia, non menzionare un altro grande simbolo di Bologna: Giacomo Bulgarelli, capitano dell’ultimo tricolore emiliano nel 1964, nonché recordman di presenze del club. Bulgarelli ha dedicato alla maglia rossoblù una carriera intera, ma è stato anche il bolognese che ha vestito per più volte la casacca azzurra, con la quale si è laureato campione d’Europa nel 1968. L’ultimo anno si è tolto lo sfizio degli Stati Uniti, giocando appena due partite negli USA con gli Hartford Bicentennials. È rimasto nel cuore dei tifosi anche come commentatore televisivo e dei videogiochi, sia per FIFA della EA Sports che, per un solo anno, di PC Calcio.
Ed eccoci al primo colpo di scena. Già, perché pur avendo dato i natali a molte personalità di spicco in vari ambiti, dall’arte alla letteratura fino alla politica, la Culla del Rinascimento è stata avara a livello di calciatori. Questo, ovviamente, senza nulla togliere al buon Marco Baroni, attuale allenatore della Lazio e, comunque, difensore di buon livello. Baroni, ex libero dal piede buono, dopo gli inizi alla Fiorentina ha iniziato a girare per l’Italia, collezionando 153 presenze e 8 gol nella massima serie e conoscendo la massima gloria durante la sua esperienza al Napoli.
E nel 1990 è il suo gol a regalare il successo decisivo per il secondo Scudetto della storia dei partenopei, un 1-0 sulla Lazio. Una rete che all’epoca aveva anche un significato da derby – visto il suo passato nella Roma – e che si sarebbe rivelata un segno del destino, stante la sua attuale grande occasione in panchina coi biancocelesti.
Menzione per due calciatori sfortunati: il primo è Andrea Pazzagli, ex portiere prematuramente scomparso per un infarto e con un curioso record. Ha vinto sei trofei in carriera, ma nessuno a livello nazionale. Egli conta, infatti, 2 Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, 2 Supercoppe europee con il Milan e una Mitropa Cup con l’Ascoli. L’altro nome oggi appare principalmente legato al Genoa e alla città di Genova, tanto da vedersi intitolare lo stadio della città, ma Luigi Ferraris è nato a Firenze. La sua carriera da calciatore è stata molto breve, con appena 35 presenze e 1 gol in massima serie, prima di cadere in battaglia a 28 anni durante la Prima guerra mondiale.
Genio e sregolatezza, se pensi a Bari pensi a Fantantonio. Soprannominato anche, per l’appunto, il Fenomeno di Bari Vecchia o il Pibe di Bari Vecchia, Antonio Cassano è stato uno dei calciatori più tecnici e belli da vedere della storia del nostro calcio. Una carriera piena di rimpianti a causa di un carattere difficile, tanto da essere stato considerato nientemeno che da France Football il più grande talento sprecato della storia del calcio. Il palmarès del giocatore ricalca bene questo senso di rammarico: una volta campione di Spagna con il Real Madrid e uno Scudetto con il Milan. In rossonero ha conquistato anche una Supercoppa Italiana, medesimo titolo che ha vinto anche con la maglia della Roma. Minimo comun denominatore? Il ruolo da comprimario, per motivi diversi di volta in volta.
Sicuramente meno talento ma più titoli per altri due calciatori provenienti dal capoluogo pugliese, come Nicola Caricola, arma tattica del difensivismo trapattoniano nella Juventus anni ’80 e vincitore di 2 Scudetti, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa europea, e Angelo Carbone, che dopo la Mitropa Cup vinta dal Bari nel 1990 è passato al Milan, vincendo subito Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale prima del bis Scudetto-Champions League del 1994.
Anche Catania è avara di calciatori che si sono espressi ad alto livello. Il nome principale è quello di Pietro Anastasi, non solo grande campione sul campo ma anche un simbolo per tutti quei cittadini del Mezzogiorno che si trovavano ad emigrare al nord – e spesso proprio a Torino, dove Anastasi avrebbe raccolto i suoi maggiori successi – per lavoro.
Goleador ma anche assistman, è stato il primo vero prototipo di attaccante capace di svariare su tutto il fronte offensivo per favorire i compagni e le loro capacità di inserimento. Ha conosciuto la massima gloria con la maglia della Juventus – in otto anni ha vinto 3 Scudetti – prima di trasferirsi all’Inter in uno scambio con Roberto Boninsegna. Operazione di mercato suggestiva, dal momento che quello tra il catanese e Bonimba è stato uno dei primi veri dualismi della storia del calcio italiano. In ottica Nazionale, Anastasi si è assicurato il titolo di campione d’Europa nel 1968, mettendo a segno un gol in finale contro la Jugoslavia.
Un’altra curiosità riguarda la parte finale della carriera del compianto bomber catanese: durante l’esperienza all’Ascoli, Anastasi ha disputato due competizioni che hanno avuto un’unica edizione, vincendole entrambe. Si tratta del Torneo di Capodanno nel 1981 a livello nazionale e la Red Leaf Cup nel 1980 a livello internazionale, un torneo a quattro squadre organizzato dalla federazione canadese. L’Ascoli fu scelto dalla FIGC in virtù del grande campionato disputato nella stagione precedente e, pur partendo senza i favori del pronostico, riuscì ad imporsi sul Glasgow Rangers in finale.
Quando l’Udinese se lo assicurò dalla squadra della sua città, il responsabile dell’area tecnica friulana Pierpaolo Marino usò parole che sul momento apparvero simili a una sparata:
Se penso che Destiny non ha ancora compiuto 19 anni non ci credo. È un predestinato, come dice il suo nome.
E in effetti la carriera di Destiny Udogie ha spiccato il volo, con il ragazzo che è diventato un punto fermo della sua squadra di club, il Tottenham, ritagliandosi spazio anche con la Nazionale azzurra. Ad oggi il suo palmarès è ancora vuoto ma, a soli 22 anni, il destino è tutto da scrivere. Ed è roseo.
Verona significa soprattutto Hellas, ma non va dimenticata la storia del Chievo nel panorama calcistico scaligero. Per accontentare entrambe le sponde cittadine, menzione allora per Stefano Fattori, ex centrale difensivo cresciuto nel Verona e transitato anche dal Torino, con 88 presenze in Serie A e un gol clamorosamente divorato in un derby della Mole, e Marco Zamboni, una lunghissima carriera iniziata nel Chievo, passata anche dal Verona – oltre che, tra le altre, da Juventus e Napoli, per un totale di 71 presenze e 2 gol in A e la vittoria dell’Intertoto con l’Udinese – e ancora oggi in corso. A 47 anni di età Zamboni gioca nel Pedemonte, squadra dell’omonimo paese della provincia di Verona e militante in Promozione.
Una scelta difficile, considerando che è stato preferito a un campione del mondo. Ma Tommaso Rocchi, per continuità e visibilità, merita questa nomination. Attaccante rapido ed essenziale, dopo i promettenti inizi nelle giovanili della Juventus e un iniziale smarrimento, si è guadagnato anche la prestigiosa fascia di capitano della Lazio e la maglia della Nazionale – in un momento di grande affollamento nel reparto offensivo – come culmine di una carriera che lo ha visto collezionare 324 presenze e 102 gol in Serie A, una Coppa Italia e una Supercoppa italiana prima di chiudere la carriera in Ungheria.
Ha vinto il testa a testa con Ivano Bordon, portiere di riserva al Mundial del 1982 e Hall of Famer dell’Inter, a fronte di 388 presenze complessive in nerazzurro. Più staccati ma meritevoli di nomination Paolo Poggi, Michele Serena e Manuel Gerolin.
Non una grande scelta, quella relativa alla città siciliana. La spunta Antonino Ragusa che ha difeso i colori della squadra dei peloritani – prima esperienza in Sicilia – solo nella passata stagione. Per lui, attaccante esterno rapido e ficcante, tanto da guadagnarsi il soprannome di Ronzinante come il cavallo di Don Chisciotte, solo 56 presenze e 1 gol in A tra Genoa e Sassuolo, ma anche ottimi risultati in B e un passato nella nostra Nazionale Under 21, seppur non da prima scelta. A 34 anni è ancora in attività e ha deciso di tornare alla Reggina, a dodici anni di distanza dall’ultima volta, accettando di ripartire dai dilettanti.
Il nome scelto per la città veneta è quello di Francesco Toldo, portierone ex Fiorentina e Inter, nel cuore e nella mente di ogni tifoso italiano per lo straordinario quanto sfortunato Europeo del 2000. Torneo concluso con una cocente amarezza al Golden Gol ma, al tempo stesso, con una sua pazzesca performance da pararigori nella semifinale contro l’Olanda. Conta 380 presenze in Serie A ma i successi sono arrivati quasi tutti da panchinaro di Júlio César all’Inter, nella parte finale della carriera: 5 Scudetti, una Champions League, 5 Coppe Italia – le prime tre delle quali, due alla Fiorentina e una all’Inter, da titolare – e 4 Supercoppe italiane, oltre all’Europeo Under 21 vinto nel 1994 prima ancora di esordire in massima serie. Altro grande rimpianto della carriera è lo Scudetto del 2002, volato via all’ultimo istante proprio come l’Europeo di due anni prima. Sarebbe stato il suo primo grande successo da titolare.
Da menzionare anche Albertino Bigon, centrocampista offensivo con una lunga militanza nel Milan. Un’esperienza contraddistinta da uno Scudetto, una Coppa delle Coppe e tre Coppe Italia. Da allenatore è riuscito a conquistare il titolo nazionale in Svizzera e Grecia, ma soprattutto ha portato al successo il Napoli di Maradona nel 1990. Uno Scudetto che ha fatto la storia.
Abbiamo già parlato del Grande Torino e della tragedia di Superga. E Giuseppe Grezar ne era uno degli esponenti più in vista, per le grandi capacità difensive e atletiche – valse il soprannome di Gazzella – ma anche per le doti balistiche da fermo, che gli permisero di guidare la mediana granata verso cinque titoli nazionali e una Coppa Italia. Per lui anche 8 presenze in Nazionale, ma tutte in partite amichevoli. Senza la possibilità di cimentarsi con manifestazioni ufficiali a causa di quel maledetto giorno di maggio del 1949.
Triestino anche il Ragno Nero Fabio Cudicini, portiere che non ha mai conosciuto la maglia azzurra ma che ha ottenuto grandi successi a livello di club, consacrandosi come un grande portiere negli anni ’60. Dopo aver vinto una Coppa delle Fiere e una Coppa Italia con la Roma, si è trasferito al Milan con cui ha vinto una moltitudine di titoli: Scudetto, Coppa dei Campioni, Coppa delle Coppe, Coppa Italia e Coppa Intercontinentale.
Al Milan hanno legato i loro inizi anche due triestini attualmente in attività, Andrea Petagna e Tommaso Pobega. Senza dimenticare due ex calciatori del capoluogo giuliano capaci di distinguersi soprattutto da allenatori: Ferruccio Valcareggi, ct della Nazionale campione d’Europa nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970 e, soprattutto, Nereo Rocco. Il Paròn ha collezionato anche una partita in Nazionale ma è ricordato principalmente come il grande tecnico che ha rivoluzionato la storia del Milan, con cui ha vinto 2 Scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe – nessuno ha fatto meglio di lui – e 3 Coppe Italia.
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