Il destino del calendario ha scelto il weekend dell’Immacolata per mettere il Bologna di fronte al proprio passato. Lo scontro dell’Allianz Stadium contro la Juventus di Thiago Motta e il 2-2 finale ha il gusto della chance sprecata per i rossoblù di Vincenzo Italiano, perché i padroni di casa sono riusciti ad acciuffare il pareggio per i capelli solamente nei minuti di recupero, grazie ad una prodezza del classe 2004 Mbangula. Fissiamo qui il nostro punto di partenza per compiere un’analisi di quello che sta succedendo in casa Bologna. Da Thiago a Thiago, ecco tutto quello che è cambiato in una stagione.
Eredità pesante
La prima lancia da spezzare a favore di Vincenzo Italiano risiede certamente nel coraggio, per aver accettato una sfida dalla quale, oggettivamente, il tecnico siciliano potrebbe avere molto da perdere. Italiano e il Bologna si sono detti sì a una settimana di distanza rispetto alla finale di Conference League tra Fiorentina e Olympiacos. Una ferita aperta e non ancora rimarginata per i tifosi viola, quella di un trofeo che si è spento al minuto 116 con l’incornata di El Kaabi e il tripudio dell’Opap Arena Agia Sophia di Atene.
Va detto che l’acredine nei confronti dell’allenatore non si è accesa d’improvviso nei sobborghi della capitale greca. Si è trattato, piuttosto, dell’atto finale che ha suggellato una separazione annunciata. Certo, entrambe le parti avrebbero voluto salutarsi con un titolo. Specie perché la stessa Conference era già sfumata l’anno prima, di fronte al West Ham, anche in quell’occasione nelle battute finali.
Italiano ha raccolto la pesante eredità lasciata da Thiago Motta alla guida del Bologna, un’annata sensazionale che i rossoblù hanno meritatamente concluso con la qualificazione in Champions League, sessant’anni dopo la prima e unica volta nell’Europa dei grandi. Europa come “Euforia” per paronomasia, ci avevano sapientemente giocato a Casteldebole per realizzare gadget e t-shirt celebrative dell’evento storico.
Scordiamoci il passato
Il Bologna di Italiano ha dovuto sin da subito fare i conti con una realtà diversa da quella immaginata. La squadra ha faticato, soprattutto nei primi mesi, a trovare forma e continuità. Ma anche qui, sarebbe un errore puntare il dito in modo esclusivo verso lo staff tecnico. Il nuovo allenatore ha dovuto prendere in mano un gruppo incompleto a livello di organico e, per un motivo o per l’altro, privo degli assi che avevano fatto la differenza sotto la gestione Thiago Motta: Calafiori inebriato dall’Arsenal e fra i pochi azzurri a salvarsi dall’Europeo, Zirkzee corteggiato da tutti ma stretto nella morsa delle cospicue commissioni per l’agente Kia Joorabchian, il terzetto Freuler-Aebischer-Ndoye rientrato soltanto a fine luglio dopo aver sorpreso con la Svizzera, infine Ferguson – che era già mancato nei mesi finali della cavalcata Champions – ai box per l’infortunio al crociato.
La preparazione atletica durante il ritiro estivo di Valles ha richiesto, anche per questo, un periodo di adattamento più lungo del previsto. Per modellarsi al pressing alto e all’intensità richiesti da Italiano, la squadra ha dovuto gestire le energie in modo diverso rispetto alla fase difensiva targata Thiago Motta.
C’è dell’altro: la gestione di più competizioni ha rappresentato una novità assoluta per tanti giocatori del Bologna. Motivo, questo, che ha influito sull’avvio un po’stentato di stagione: un pari all’esordio contro l’Udinese, batosta a Napoli per 3-0, punti lasciati per strada contro Empoli e Como. Nemmeno l’esordio casalingo in Champions, uno 0-0 contro gli ucraini dello Shakhtar in un match pienamente alla portata, è riuscito a far saltare di gioia il Dall’Ara.
Per attendere la prima vittoria, i tifosi rossoblù hanno dovuto aspettare il 22 settembre: 1-2 in casa del Monza con siluro dalla distanza di Santi Castro.
Champions fuori portata
Da quel momento in poi, il gruppo di Italiano si è scrollato di dosso le proprie paure e le gambe hanno cominciato a girare. Il ruolino di marcia parla di 5 vittorie, 7 pareggi e solamente 2 sconfitte nelle prime 14 giornate di campionato. Ventidue punti in classifica che corrispondono esattamente a quelli realizzati da Thiago Motta lo scorso anno. Insomma, “fino a qui tutto bene“ andava ripetendo il tizio che, cadendo da un palazzo di 50 piani, voleva farsi coraggio. La frase del film “L’odio” – 1995, regia di Mathieu Kassovitz, protagonista Vincent Cassel – proseguiva: “Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio“.
Il Bologna in Champions League ha provato a gettare il cuore oltre l’ostacolo. L’esodo di tremila tifosi ad Anfield Road è stato commovente, qualcuno ha deciso di investire così i propri risparmi. Facendosi un regalo di Natale anticipato solo per poter dire: “Io c’ero“. La squadra di Italiano ha messo in campo la giusta tenacia e il giusto atteggiamento, più contro il Liverpool che contro l’Aston Villa, ma il divario tecnico e tattico è parso troppo elevato per poter competere con le corazzate inglesi.
Anche se l’ultimo treno per invertire il trend, per sperare ancora nella qualificazione, il Bologna lo ha perso in casa ad opera di due compagini francesi: 0-1 allo scadere contro il sornione Monaco, 1-2 contro il Lille.
I limiti felsinei sono risultati ancora più accentuati in fase offensiva, tanto che per segnare il primo gol in Champions League il Bologna ha dovuto attendere addirittura la 5a giornata, con il sigillo di Jhon Lucumi. L’ultima delle 36 squadre della competizione ad andare a segno.
Perlomeno, i rossoblù un punticino in classifica ce l’hanno e non sono in fondo alla classifica. Meglio di niente, perché è quello che basta per rimanere aggrappati a un miracolo. Il viaggio europeo proseguirà in Portogallo, prima contro il Benfica e poi contro lo Sporting Lisbona, inframezzando le due trasferte con l’ultima partita al Dall’Ara contro il Borussia Dortmund.
L’imperativo, a questo punto, è provare a godersi il privilegio di lottare contro squadre di un’altra categoria, in una competizione fuori portata.
Perché la squadra di Italiano piace meno di quella di Motta?
Quali sono le dinamiche che accompagnano un allenatore chiamato a raccogliere l’eredità di un’impresa sportiva così importante come quella del Bologna di Thiago Motta?
Cerchiamo di riassumerle in tre punti.
- I nuovi arrivi sul mercato – questo è l’umore della piazza e degli addetti ai lavori – non sono stati in grado di rimpiazzare chi è partito.
Al posto di Calafiori sono arrivati Casale ed Erlic, mentre Thijs Dallinga – preso dal Tolosa per essere il sostituto di Zirkzee – siede comodamente in panchina alle spalle della perla del Bologna di quest’anno, l’argentino classe 2004 Santiago Castro.
Senza dimenticarsi di Saelemaekers, anche se qui il giudizio è sospeso per l’area tecnica guidata da Giovanni Sartori perché il naturale sostituto Nicolò Cambiaghi ha riportato la rottura del legamento crociato alla prima giornata di campionato.
Dal canto proprio, Italiano può contare su alcune note liete: Dan Ndoye, giocatore sempre più imprescindibile, sta dimostrando di saper anche segnare, Castro è un cliente scomodo per molti difensori della nostra Serie A, Ferguson è recuperato e sta mettendo minuti nelle gambe. - La squadra di Motta impressionava per solidità difensiva, caratteristica alla quale i tifosi si erano troppo ben abituati. Sotto la guida di Italiano, il Bologna è invece più vulnerabile e dà spesso l’impressione di non essere del tutto in gestione, di poter subire dannose imbucate. Per tutta la prima parte di stagione, anche la nuova Juventus mottiana ha subito pochissimo. A fare da contraltare, è giusto dire che i bianconeri hanno spesso faticato a trovare la via del gol, anche a causa dei numerosi infortuni. Scoprendo il fianco, anche la Vecchia Signora che ha obbligato Motta all’abito (sotto le Due Torri indossava la tuta), ha cominciato a incassare di più. Certo, la difesa è ancora la meno battuta della Serie A – 10 reti in 15 partite – ma ora il primato è condiviso con la pimpante Fiorentina di Palladino e con il Napoli di Antonio Conte.
- Il Bologna è orgoglioso della propria storia: 7 Scudetti, 2 Coppe Italia, 3 Mitropa Cup. Su questo, Italiano può fare poco. La piazza è ancora più esigente dopo il ritorno in Europa, tende a perdonare di meno gli errori ed è più severa rispetto al passato.
Contro il proprio passato: lo “stranino” Thiago Motta
Veniamo al dunque: tra mille difficoltà e incertezze, la verità è che il tecnico ex Fiorentina sta tenendo a galla i rossoblù. L’approccio tattico è forse meno innovativo rispetto a quello di Thiago Motta, ma per un’ora il Bologna ha dominato la Juventus all’Allianz Stadium. Prima delle solite amnesie difensive che mandano all’aria punti e prestazioni. Anche Thiago “lo stranino”, come diceva il chairman Joey Saputo, mieloso in conferenza (“A Bologna posso tornare a testa alta“) e nervoso in campo (espulso dall’arbitro Marchetti prima della resurrezione bianconera), è apparso vulnerabile.
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