Calcio

Vlahović è davvero un problema per la Juventus?

La Juventus pareggia troppo e vince troppo poco. I numeri parlano chiaro. I bianconeri hanno collezionato 8 pareggi (a fronte di 6 vittorie) in Serie A mentre in Champions (dove la Juve occupa attualmente la diciannovesima posizione in graduatoria), dopo una partenza contrassegnata da due vittorie, la squadra ha inanellato una sconfitta e due pareggi. Quando si va ad analizzare nel dettaglio la situazione, si vede come il problema della squadra bianconera sia da ricercare sul piano offensivo. Difensivamente infatti l’organizzazione che Thiago Motta ha dato ai suoi funziona, come testimoniano gli 11 clean sheet registrati in questa stagione. In attacco invece c’è qualcosa che non va. In base ai dati la Juventus in campionato ha sì segnato più gol (22) rispetto a quelli attesi secondo il modello Fbref (19,6 xG) ma ha realizzato meno gol di altre formazioni d’alta classifica: Atalanta (36), Inter (31), Lazio (29), Fiorentina (27) e Milan (23) hanno tutte trovato la via del gol con più facilità rispetto alla Juventus. E Fiorentina, Milan e Inter giocando una gara in meno.

 

Vlahović non è l’attaccante giusto per Thiago Motta

A tal proposito, gli strali dei tifosi bianconeri – e di parte della stampa – si sono spesso rivolti verso Dušan Vlahović. Le difficoltà del serbo sono sotto gli occhi di tutti. Sempre restando ai dati, l’ex attaccante della Fiorentina in questo campionato ha segnato 6 reti – con tre rigori – nonostante gli 8,1 xG. Se guardiamo al computo totale di reti fatte e attese senza considerare i tiri dagli undici metri, i numeri di Vlahović scendono a tre marcature su 5,7 NpxG (non-penalty expected goals) registrati. Una underperformance evidente, resa ulteriormente esplicita se si passa dal puro dato a quanto si può osservare sul terreno di gioco. In campo Vlahović infatti sbaglia cose semplici come alcuni controlli di palla o conclusioni, con queste ultime che dovrebbero teoricamente far parte del suo bagaglio tecnico.

In particolare, il serbo soffre quando sottoposto a marcatura ferrea, con avversari che lo aggrediscono riducendone tempi e spazi di giocata. Di per sé poi Vlahović non è un giocatore particolarmente associativo e questo finisce per acuirne talune difficoltà. Ma è davvero tutta colpa del centravanti serbo? Difficile affermarlo con certezza. Tanto per iniziare, Vlahović può essere difficilmente considerato un vero e proprio centravanti. Quando cominciò a farsi notare, nel settore giovanile della Fiorentina – dove era arrivato grazie ad una intuizione di Pantaleo Corvino, allora direttore sportivo della Viola – il ragazzo di Belgrado si segnalava soprattutto per l’attacco alla profondità.

Anche in prima squadra Vlahović ha dato il meglio di sé muovendosi in verticale. E questo anche quando chiamato ad agire da punto di riferimento più avanzato. Nella Fiorentina di Vincenzo Italiano l’attaccante veniva impiegato come punto d’appoggio per la ricerca immediata della profondità. Se costretto a giocare spalle alla porta in spazi ristretti emergono invece i suoi difetti, vale a dire quelli di una tecnica non eccezionale – appena il 68,8% di passaggi precisi in campionato – e di una fisicità che, se nel settore giovanile gli era sufficiente per dominare nei duelli, a livello superiore non basta più al serbo per avere la meglio su avversari che fisicamente gli sono pari se non superiori.

Nel gioco di Motta invece il centravanti non deve solo finalizzare ma anche saper venire incontro per giocare palla con i compagni in zona di rifinitura, vale a dire quella compresa fra il centrocampo e la difesa avversaria. Un tipo di gioco nel quale eccelleva ad esempio Joshua Zirkzee. Non a caso l’olandese, dopo un campionato interpretato alla perfezione nel Bologna di Motta, si è guadagnato il passaggio in Premier al Manchester United. Ma Vlahovic non è Zirkzee. La sua maggior propensione ad attaccare la profondità, rispetto al giocare sul corto con i compagni da centravanti arretrato, trova riscontro anche nel fatto che, nelle scorse stagioni juventine, i dati dei gol realizzati da Vlahović erano sempre in linea con quelli attesi in termini di xG: 7 gol nel mezzo campionato disputato 2022 (con 5,2 xG); 10 nel 2022-23 (9,7 xG); 16 lo scorso anno (16,6 xG).

Tutte queste annate Vlahović le ha vissute con Massimiliano Allegri alla guida. Vale a dire con un modello di calcio reattivo – difesa e contropiede – e più adatto alle caratteristiche del giocatore. E questo nonostante un contesto generalmente disfunzionale, che rendeva difficile al giocatore essere servito dentro l’area avversaria. Basti guardare il dato dei palloni toccati negli ultimi sedici metri di campo: nelle tre stagioni di Serie A precedenti a questa il serbo è passato dai 6,67 per 90 minuti di gioco dei primi sei mesi del 2022 ai 4,77 del 2022-23 per poi risalire ai 5,94 dell’ultimo campionato. Il dato attuale è però di 5,28 per 90 minuti, segno di una rinnovata difficoltà per l’attaccante centrale di una squadra che, in generale, registra appena 19,9 tocchi di palla in area offensiva.

Occhi sulla porta e appoggio sulle proprie doti fisiche: i gol a Firenze evidenziano tutte le differenze tra il Vlahović di allora e quello di oggi

Partner d’attacco o cessione

Lo stesso Vlahović, nonostante in passato avesse espresso gradimento per il modo di giocare di Thiago Motta, che aveva ritenuto ideale per le sue caratteristiche, ha sottolineato come si trovi maggiormente a proprio agio in altri contesti. Lo ha fatto dopo una partita della sua nazionale contro la Svizzera al termine della quale, parlando alla tv elvetica di lingua italiana, il giocatore ha candidamente ammesso di trovarsi meglio nel sistema strutturato dal suo ct Dragan Stojković.

La polemica intervista dopo il match di Nations League

 

In quel frangente Vlahović ha fatto riferimento ai minori compiti difensivi che gli vengono assegnati e al fatto di giocare con accanto a Aleksandar Mitrović. Proprio questo è il punto dirimente. Mentre infatti Vlahović difficilmente potrebbe vedersi diminuire i compiti da assolvere senza palla, il nodo del giocare con un compagno di reparto riporta in auge la questione di poter contare su un altro attaccante che faccia per lui il lavoro sporco, come giocare spalle alla porta avversaria e prendere le botte, con la conseguenza di potersi così ritrovare più volte ad attaccare guardando la porta rivale.

D’altra parte la storia del calcio è piena di attaccanti che preferivano non avere compagni intorno – ed essere così più liberi di muoversi – ma anche di altri che, al contrario, preferivano giocare con un compagno di reparto con cui dividersi i compiti centralmente. Cosa fare a questo punto? Difficile immaginare che Vlahović riesca a cambiare le sue caratteristiche, andando a limare quei difetti che lo rendono attualmente poco funzionale al sistema di Motta. Altrettanto difficile immaginare che il tecnico italo-brasiliano possa cambiare l’assetto della squadra bianconera, magari aggiungendo una ulteriore punta vicino al serbo.

La soluzione migliore sembrerebbe allora quella di una cessione a fine campionato. Ognuno per la propria strada: Motta con un numero 9 più adatto al suo calcio e Vlahović in un contesto che ne esalti le qualità, minimizzandone i difetti. A volte separare le strade può essere il modo migliore per svoltare. Per entrambe le parti in causa.

 


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Michele Tossani

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