È la tarda serata del 13 dicembre 1954, David Wynne-Morgan, giornalista del Daily Mail, sta scrivendo il suo pezzo per il numero del giorno successivo. Batte gli ultimi caratteri e titola: “Hail, Wolves ‘Champions of the world’ now”. Ma di che cosa sta parlando? A Wolverhampton, West Midlands, si respira aria di Natale. Poche ore prima, circa 55.000 cittadini si sono riuniti allo stadio Molineux per assistere a quella che Wynne-Morgan definisce “la più grande vittorie calcistica britannica nel dopoguerra”. Wolves è il soprannome che da sempre accompagna i calciatori del Wolverhampton Wanderers Football Club che, quella piovosa sera di metà dicembre, hanno sconfitto per 3-2 la Honvéd di Budapest. 70 anni fa, quella partita e quell’articolo sul Daily Mail portarono alla nascita della competizione per club più ambita, sognata e gloriosa di tutte: la Coppa dei Campioni e odierna Champions League.
Oggi il Wolverhampton è una squadra da metà classifica. Da qualche anno oscilla in quell’anonimo limbo che si frappone tra la gloria per una qualificazione europea e il dramma, l’isteria per la salvezza. In realtà, la qualificazione europea è arrivata: nella stagione 2019-20 gli Wolves hanno giocato l’Europa League, dove si sono dovuti arrendere al solito Siviglia – futuro vincitore – ai quarti. Era agosto, era il calcio in piena pandemia. Una buona campagna europea, a distanza di 60 anni dall’ultima apparizione nientemeno che in Coppa dei Campioni. Ebbene sì: negli anni Cinquanta, il Wolverhampton era un vero e proprio squadrone.
La figura chiave è Stan Cullis, l’allenatore. Dopo tredici stagioni al Molineux da calciatore, nel 1948 si siede sulla panchina. E vince subito: FA Cup e Charity Shield nel 1949. Si aprono così i fifties, la squadra diventa la migliore d’Inghilterra, vince un’altra FA Cup, altre tre Charity Shield e, soprattutto, tre campionati, gli unici della storia del club. Il primo, storico, quello del 1953-54: sopra di quattro sole lunghezze contro gli acerrimi rivali del West Bromwich Albion. Retrocede il Liverpool, in ultima posizione. Era un altro calcio d’altronde. Quella stagione passerà agli annali anche per una serie di amichevoli che il Wolverhampton giocherà contro varie squadre provenienti da tutto il mondo, che metteranno i Wolves sotto i riflettori. Letteralmente.
Out of darkness cometh light.
È il motto cittadino, “dalle tenebre viene la luce”. E non può essere un caso. Oggi vedere una partita di calcio sotto le luci dei riflettori è cosa normale. Anzi, spesso gran parte delle partite più attese si gioca in prima serata. Ma, ovviamente, non è sempre stato così. Il Molineux è lo stadio del Wolverhampton dal 1889. A parte i primi 12 anni, i Wolves hanno passato la loro storia qui. Nel settembre 1953 arriva la luce: con una spesa di circa 10.000 sterline vengono installati dei modernissimi – per l’epoca – riflettori al Molineux. Per inaugurare il nuovo sistema di illuminazione, la formazione di Cullis sfida una rappresentativa del Sudafrica: il 30 settembre 1953 il Wolverhampton batte per 3-1 la rappresentativa africana davanti a 33.681 spettatori. Sulle locandine si parla di “Floodlight match”, la partita dei riflettori. Si gioca alle 19.45, di mercoledì. Partite infrasettimanali di sera: vi ricorda qualcosa? Inizia così una serie di partite che vedono i Wolves sfidare compagini straniere sotto le nuovissime luci del Molineux. Nelle locandine c’è sempre la dicitura “floodlight match”.
Mercoledì 14 ottobre 1953: Wolverhampton- Celtic 2-0. 10 marzo 1954: Wolves-Racing Club de Avellaneda, vittoria per 3-1. Il 13 ottobre dello stesso anno l’unica amichevole senza vittoria degli inglesi: Wolves-First Vienna 0-0. I padroni di casa si rifanno due settimane dopo con uno schiacciante 10-0 nei confronti del Maccabi Tel Aviv. Il 16 novembre i Wolves sfidano lo Spartak Mosca, considerata la miglior squadra di calcio dell’URSS. Gli undici di coach Cullis dominano e vincono per 4-0. Ma serve qualcosa di più, una prova di forza vera e propria. Una battaglia dai contorni epici. E arrivano, quindi, gli ungheresi.
Piccolo passo indietro. La nazionale ungherese tra il 4 giugno 1950 al 4 luglio 1954 gioca 33 partite e ne perde soltanto una. L’ultima, la sconfitta più importante: la finale del Mondiale 1954 contro la Germania Ovest. Aranycsapat, in ungherese “squadra d’oro”, è il soprannome che accompagna questa generazione di giocatori che tocca picchi mai più immaginabili per il calcio magiaro. Nel dominio assoluto del periodo rimane nella storia un’amichevole: Inghilterra-Ungheria, del 25 novembre 1953. Wembley è gremito, gli inglesi sono sicuri della propria superiorità. Finisce 6-3 per gli ospiti. Come se non bastasse, il 23 maggio 1954 si gioca il “ritorno”: al Népstadion di Budapest gli ungheresi annientano i Tre Leoni per 7-1.
Arriviamo quindi alla partita con cui questa storia è iniziata: Wolverhampton-Budapest Honvéd, 13 dicembre 1954. I trascorsi sono chiari: c’è voglia di rivincita. Le storie si intrecciano. Sei undicesimi della nazionale ungherese giocano nella Honvéd ed erano tutti in campo a Wembley nel 6-3. Quel giorno, da capitano, per gli inglesi c’era Billy Wright. 20 anni al Wolverhampton, la leggenda del club. Wright entra in campo: pallone nella mano destra, gagliardetto nella sinistra. Al suo fianco, il più grande interprete ungherese del gioco: Ferenc Puskás, forse il miglior calciatore al mondo dell’epoca. Dietro di loro le squadre. Al quarto d’ora gli inglesi sono già sotto di 2 reti. La prima la insacca Sándor Kocsis, detto Testa d’Oro. Segna, di testa – giustamente – su assist di Puskás. Loro due insieme sono valsi alla Honvéd ben 54 gol nel campionato precedente, ovviamente vinto. Tenetelo a mente. Secondo tempo e qui si fa la storia. Wynne-Morgan, nel suo articolo, scrive: “Hanno trasformato una sconfitta quasi certa in una gloriosa vittoria”. Accorcia, su rigore, Johnny Hancocks. E infine, in due minuti ”la leggenda dell’invincibilità ungherese morì per sempre nel pantano del Molineux”. Doppietta del numero 9 Roy Swinbourne al 76’ e al 78’, 3 a 2 per il Wolverhampton. La partita viene trasmessa in diretta sulla BBC, privilegio concesso solo alle finali di FA Cup al tempo. L’entusiasmo è alle stelle, la squadra di Cullis ha battuto, in poco più di dodici mesi, scozzesi, argentini, sovietici e persino i maestri ungheresi. Sono la squadra più forte del mondo. O forse no.
Un curioso filmato sullo storico match Wolverhampton-Honvéd
Il 14 dicembre, all’indomani dell’incredibile vittoria, l’articolo di David Wynne-Morgan finisce nelle mani di Gabriel Hanot, giornalista per L’Equipe e per France Football. Hanot è un personaggio brillante e decisivo della storia del calcio. Nel 1949 era stato uno dei promotori della Coppa Latina, una competizione mai riconosciuta dalla FIFA, una sorta di Final Four in cui si sfidavano i campioni d’Italia, Spagna, Portogallo e Francia. Hanot tuona su L’Equipe:
Non, Wolverhampton n’est pas encore le “champion du monde des clubs”.
Secondo lui i Wolves non potevano definirsi ancora campioni del mondo, d’altronde avevano affrontato solo alcune grandi squadre, tutte in casa. La soluzione viene data subito dopo:
L’Equipe lancia l’idea di un Campionato Europeo per club.
Dal 1927 esisteva anche la Coppa Mitropa (o Coppa dell’Europa Centrale) a cui partecipavano squadre austriache, italiane, ceche, jugoslave, ungheresi, rumene e svizzere. Tuttavia, non si disputava dal 1940 e secondo Hanot serviva “qualcosa di nuovo, meno episodico e più originale”. Dopo un’iniziale freddezza, a febbraio 1955 riceve il supporto, sotto forma di lettera firmata, di Rodolphe Seeldrayers, presidente della FIFA e di Santiago Bernabéu, patron del Real Madrid. Il 4 settembre 1955, all’Estadio Nacional di Lisbona si gioca la prima partita: Sporting-Partizan 3-3. Nasce, di fatto, la Coppa dei Campioni. Alla prima edizione partecipano 16 squadre su invito. Ci sono due “no” di rilievo: la Honvéd, campione d’Ungheria, rinuncia; al suo posto il Vörös Lobogó. Dicono di no anche gli inglesi: parteciperanno dall’edizione successiva, col Manchester United. Le prime cinque Coppe dei Campioni vengono alzate dal Real Madrid, stabilendo fin dai primordi un dominio che dura ancora oggi.
E i nostri Wolves? Come detto, Wright e compagni vincono altri due campionati e partecipano dunque a due edizioni consecutive della Coppa dei Campioni, nel 1958-59 e nel 1959-60. Nel primo caso vengono sbattuti fuori subito, dallo Schalke 04. Nella stagione successiva escono malamente dalla doppia sfida ai quarti di finale col Barcellona: 4-0 in Catalogna, 2-5 a Wolverhampton. Al Molineux segna 4 reti per i blaugrana un attaccante ungherese. È un ritorno, c’era già stato, con la maglia della Honvéd: è Testa d’Oro Sándor Kocsis. Una magra consolazione.
È la tarda serata del 13 dicembre 1954, David Wynne-Morgan rilegge attentamente il suo pezzo per il numero del Daily Mail del giorno successivo. Al Molineux ha visto Wolverhampton-Honvéd, una partita leggendaria. Lo stadio era pieno, la luce dei riflettori illuminava gli undici Wolves, la loro maglia oro sembrava brillare di luce propria e aleggiava nell’aria un’atmosfera magica, nuova, proiettata al futuro. Preso dall’entusiasmo celebra la squadra: Champions of the World, now. Ancora non sa a cosa porterà quel suo articolo.
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