Perché l’Inter è ancora la favorita per lo Scudetto, forse

Inter scudetto - Puntero

Nonostante sia reduce da 8 vittorie e due pareggi nelle ultime dieci partite, a molti l’Inter non sembra più la schiacciasassi che ha dominato la Serie A 2023-24. All’ottimo cammino in Champions (tre vittorie e il pari in casa del Manchester City), infatti, fa da contraltare un percorso meno brillante in campionato, per quanto i nerazzurri siano arrivati alla sosta di novembre in piena corsa per lo scudetto, con appena un punto in meno del Napoli di Antonio Conte e nel gruppone delle più dirette inseguitrici in compagnia delle sorprese Lazio e Fiorentina, dell’Atalanta e con un punto di vantaggio sulla nuova Juventus targata Thiago Motta. Ma quindi cosa è mancato ai campioni d’Italia per fare la differenza sin dalle prime giornate e staccare le rivali, come previsto dai bookmaker in estate? Diverse cose. O forse, a ben guardare, quasi nulla.

 

Difesa meno impermeabile ma solo in Italia

Il primo aspetto da tenere in considerazione per abbozzare un confronto tra la stagione passata e quella in corso, è il rendimento dei ragazzi di Inzaghi fino alla dodicesima giornata. Allora l’Inter era prima con 31 punti, davanti alla Juve che la tallonava a 29. Al momento l’Inter è ferma a 26, a causa della dolorosissima sconfitta nel derby con il Milan e i pareggi a Genova, Monza e in casa nei big match con Juventus e Napoli. La differenza di cinque punti può rappresentare sicuramente un campanello d’allarme per Inzaghi e il suo staff, soprattutto perché alcuni dei punti persi per strada sono il risultato di una quantità di errori in fase difensiva che non si ripetevano tanto frequentemente dai tempi in cui a dirigere le operazioni in mezzo al campo c’era Brozović e Lukaku faceva a cazzotti con la forma fisica finendo spesso in panchina per fare posto a Džeko. Un’era fa, quando ancora Inzaghi era in bilico tra l’affermarsi come mister da top club e l’esonero.

I gol subiti, ben 14, sono indubbiamente il dato che più allontana l’Inter attuale dalla macchina quasi perfetta che faceva collezione di clean sheets in giro per l’Italia nella passata stagione. D’altra parte, però, il rendimento europeo è stato fin qui oltre il convincente. Dopo aver imbrigliato il City all’Etihad, Lautaro e compagni hanno fatto bottino pieno in casa con la Stella Rossa, in casa dello Youg Boys e a San Siro con l’Arsenal. Segni particolari delle quattro uscite europee: porta imbattuta, ma soprattutto un livello di concentrazione tenuto per tutti i 90 minuti che ha consentito di ridurre al minimo sindacale i pericoli derivanti dalle transizioni negative. Verrebbe da dire che, banalmente, in questa prima fase di stagione i nerazzurri stiano mettendo le fiches più preziose sulla Champions. Potrebbe essere, esistono decine se non centinaia di esempi simili nella storia dello sport, di gruppi vincenti che più o meno inconsciamente prediligono un obiettivo stagionale a discapito di un altro. Se così fosse, con Guardiola e Ancelotti mai così in difficoltà – al momento – a guidare le rispettive corazzate, l’Inter potrebbe rivelarsi una contender credibile almeno per arrampicarsi fino alla semifinale. La realtà, però, è probabilmente più sfumata e l’inizio di stagione convincente ma non dominante dell’Inter potrebbe dipendere da altri fattori. Diversi fattori.

 

Obiettivo Champions?

Fin qui, nel corso della sua carriera, Inzaghi si è sempre dimostrato un tecnico che potremmo far rientrare nel gruppo degli aziendalisti. Tanto alla Lazio quanto durante l’esperienza milanese, infatti, si è sempre contraddistinto per una comunicazione allineata con gli obiettivi dirigenziali – è sempre stato sincero? Con tutta probabilità no, ma funziona così a certi livelli. Al netto di un paio di sfoghi di puro ego quando la sua panchina traballava – occasioni in cui ha ribadito di aver sempre portato “trofei e fatturato” ai suoi datori di lavoro – l’ex attaccante biancoceleste si è perlopiù limitato a ribadire ai cronisti ciò che il proprio presidente aveva annunciato prima dell’inizio della stagione. E se Lotito non è famoso per annunciare obiettivi chiarissimi già in estate, il discorso cambia se si prende in considerazione Marotta, che di fatto era il numero uno in Corso Vittorio Emanuele II anche ai tempi di Zhang. Nell’estate del 2023 l’ex direttore generale bianconero aveva detto a chiare lettere che quell’Inter era stata costruita per appuntarsi al petto la seconda stella. Dal luglio scorso, invece, porta avanti la tesi secondo cui la rosa a disposizione di Inzaghi può (tradotto: deve) competere su tutti e tre i fronti, quattro se aggiungiamo anche il Mondiale per club. Se consideriamo un rebus l’inizio di stagione dei campioni d’Italia, le parole di Marotta somigliano tanto a un indizio decisivo per arrivare alla soluzione.

La differenza di rendimento, nonché di risultati, tra campionato e Champions, in linea con il diktat dirigenziale, si è decisamente ridotta rispetto all’annata passata. E questo, banalmente, perché Inzaghi ha accorciato di molto le rotazioni delle partite del martedì e del mercoledì. Il girone a quattro del 2023/2024 era stato affrontato all’insegna di un turnover decisamente ampio, dando tanti minuti a chi ne aveva meno in Serie A (Frattesi, Sánchez, l’esordiente Bisseck, persino Audero) e i risultati erano stati altalenanti, tanto che l’Inter era finita seconda dietro alla Real Sociedad, formazione che un anno fa proponeva un calcio sfavillante ma che allo stesso tempo sembrava alla portata dell’Inter, a patto che Inzaghi proponesse la formazione tipo e in particolare il terzetto di centrocampo Barella, Çalhanoğlu e Mkhitaryan che sin da agosto stava sbalordendo e dando una sensazione di dominio tecnico e mentale delle partite che poi veniva esaltato dal periodo di forma insensato di Lautaro Martínez.

Anche con i baschi, invece, Inzaghi optò per un turnover massiccio e raccolse due punti: finì 1-1 in Spagna e 0-0 a Milano. A un anno di distanza, complice forse anche il nuovo formato della Champions, le priorità del fratello di Filippo sembrano mutate in maniera sostanziale. In Europa, quando possibile e, al netto dell’impiego massiccio di Zieliński (247 minuti) e Taremi (addirittura 335 minuti, secondo solo a Sommer), scende in campo qualcosa che somiglia molto alla formazione titolare, che poi è una copia piuttosto fedele di quella che ha dominato dalla fine dell’inverno alla primavera la scorsa serie A. E ciò accade specie nei match di cartello, fin qui quelli con le due inglesi.

Sia chiaro, anche in campionato Inzaghi si è spesso affidato all’11 tipo, ma nessun elemento della rosa ha disputato meno di 400 minuti, se si escludono Arnautović e Correa (quarta e quinta punta e ormai marginali nel progetto tecnico), il neoarrivato Palacios e chi come Carlos Augusto, Asllani e Acerbi è stato frenato da infortuni. Insomma, numeri alla mano è indiscutibile che la tendenza è stata quella di preservare, quando possibile, il meglio per la Champions, di fidarsi molto di non titolari come De Vrij e Bisseck (lui comunque in netta crescita) e di alternare scientificamente Dumfries e Darmian come quinto di destra. Basta soltanto questo per spiegare l’avvio poco scattante in campionato? No di certo, ma questo non è l’unico elemento da prendere in considerazione per provare a motivare l’avvio brillante ma non troppo dell’Inter in campionato.

 

Troppi errori di concentrazione

Per una stagione che potrebbe essere la più lunga di sempre della storia del club, è evidente che non soltanto lo staff tecnico è portato a fare delle scelte, tentando di gestire nella maniera più oculata carichi di lavoro e minutaggio dei calciatori. Pure questi ultimi, infatti, in modo più o meno consapevole, è possibile che tendano ad essere maggiormente focalizzati su determinati impegni rispetto ad altri. Ciò non vuol dire che alcuni match di campionato vengano sottovalutati, visto che stiamo parlando non solo di professionisti ma di esseri umani che hanno storie e curricula pronti a dimostrare una continuità ad alti livelli con pochi pari in Serie A. Sgomberato quindi il campo dall’ipotesi un po’ troppo facilona secondo cui semplicemente si sottovaluta l’avversario quando sulla carta è inferiore, va comunque messo in conto un livello di rabbia agonistica e di concentrazione che potrebbe non essere sempre al 100%. Il calcio europeo – viene da dire per fortuna – è ancora lontano dal modello NBA che porta le star a iniziare a marce più o meno basse per poi salire di livello con l’avvicinarsi dei playoff, ma ciò non toglie che chi deve mantenere prestazioni di livello élite può essere soggetto ad alcuni cali di tensione, talvolta improvvisi. E qui tornano alla mente le parole di Marotta sull’Inter che deve essere competitiva su tutti i fronti. In fin dei conti, ad oggi, l’Inter è perfettamente in linea con i desiderata del proprio presidente.

Molte delle partite fin qui disputate dai nerazzurri sono apparse “diverse” rispetto a quelle giocate nei primi mesi del 2024. E la differenza la stanno facendo molto più alcune prestazioni individuali rispetto al contesto tattico in cui avvengono, che è sostanzialmente identico a quello che ha portato la seconda stella. Inzaghi è ripartito da uomini e concetti di gioco più che oliati: Çalhanoğlu è messo nelle migliori condizioni per esprimere le proprie geometrie ma anche il suo estro partendo spesso in posizione defilata, con Barella e – meno spesso – Mkhitaryan a coprirgli le spalle nelle situazioni in cui il turco rischia una giocata che potrebbe far ripartire immediatamente gli avversari. Lautaro, seppur alla perenne ricerca della miglior condizione (ne parleremo più avanti) resta il centro di gravità del gioco nell’ultimo quarto di campo, agendo ora da seconda punta nel tentativo di far scatenare i cavalli di Thuram che attacca la profondità, ora indossando il mantello da numero 9 che fa la differenza in area vincendo duelli che lo portano alla conclusione o all’assist per i compagni. La squadra tende a creare sovraccarico a destra grazie all’asse costituito da Pavard o Bisseck, Darmian o Dumfries e a turno Barella o una delle due punte, per poi cambiare gioco in maniera improvvisa e sfruttare il piede di Bastoni o di Dimarco, entrambi capaci, da zolle diverse di campo, di mettere in mezzo palloni efficaci per chi intanto va a riempire l’area (nelle ultime partite soprattutto Dumfries, oltre agli attaccanti e alla mezzala sinistra). Insomma, tatticamente lo spartito è lo stesso dell’Inter apparsa imbattibile e capace di esprimere un calcio liquido basato sullo scambio continuo delle posizioni e delle triangolazioni nella trequarti avversaria. Eppure qualcosa – a Genova, a Monza e nel 4-4 con la Juve – si è inceppato.

Detto che anche la fase di non possesso è per buonissima parte copiata e incollata dalla versione 2023/2024 e che gli interpreti sono rimasti gli stessi, l’Inter in più occasioni è apparsa fragile, sia quando ha dovuto assorbire un’azione di rimessa che a difesa schierata, per non parlare delle reti subite da calcio piazzato, ultima quella di McTominay nel pari di San Siro. Analizzando i 14 gol subiti fin qui, risulta impossibile non notare errori grossolani di calciatori di solito affidabili nelle situazioni di gioco recenti che sono costate carissimo a Sommer. A turno Dumfries, Acerbi, Bastoni, Pavard e Bisseck hanno commesso errori tecnici che definiremmo non da loro, distraendosi in marcatura, entrando non abbastanza decisi sull’offendente o addirittura perdendo totalmente l’uomo. In aggiunta Çalhanoğlu e Barella sono stati a volte protagonisti di svarioni incomprensibili, con passaggi all’indietro durante l’uscita bassa che hanno messo in seria difficoltà i compagni del pacchetto arretrato. In definitiva, al netto della bravura di chi attacca, l’Inter ha subito diverse reti oggettivamente evitabili. Il punto però è capire se e quanto, nel corso di una stagione infinita, queste disattenzioni possano tornare a rappresentare una rarità. Dalla risposta a questa domanda passa molto del futuro del progetto tecnico di Inzaghi, anche perché va ricordato che da quando siede sulla panchina dei milanesi la sua squadra tende ad avere un’efficienza offensiva ballerina. Per capirci, non chiudere la partita realizzando il 5-2 contro la Juve poteva essere da “vecchia Inter”, ma il vero guaio nasce se dopo aver fallito in un paio di occasioni il colpo del ko la difesa collassa, perde solidità fino a rischiare addirittura di tornare negli spogliatoi con zero punti.

Gli highlight del match tra Inter e Juventus. Gol, spettacolo ma anche difetti da limare

 

Taremi sta facendo fatica

Le differenze tra vecchia e nuova Inter, però, non si limitano soltanto alle amnesie dei singoli dalla propria trequarti in giù. Il dato che forse più di tutti preoccupa Inzaghi riguarda infatti gli attaccanti. Come anticipato, Arnautović e ancora di più Correa sono all’ultima stagione in maglia nerazzurra e il loro apporto alla causa fin qui è stato trascurabile. L’argentino, con il contratto in scadenza a giugno, è stato chiamato in causa soltanto per 39 minuti in Serie A e a meno di infortuni sarà il calciatore di movimento meno impiegato da qui a giugno. Diverso il discorso per l’austriaco, che se assistito da una condizione fisica almeno decente può ricoprire degnamente il ruolo di quarta punta, come dimostrato a sprazzi in Champions, andando anche a segno con la Stella Rossa. Al momento, però, le preoccupazioni maggiori per il mister piacentino arrivano da Taremi e soprattutto da Lautaro. L’ex Porto aveva segnato a ripetizione in precampionato e si presentava ai nastri di partenza come una potenziale minaccia per la titolarità di Thuram. Le prime partite ufficiali hanno spazzato via questa ipotesi, non solo per l’avvio bruciante del figlio di Lilian. L’iraniano, al pari di Zieliński, avrebbe dovuto essere l’aggiunta di spessore internazionale capace di elevare il valore complessivo della rosa. L’ex Napoli, seppur frenato da alcuni guai fisici, già da qualche settimana sembra essersi integrato in maniera più che accettabile nel sistema di Inzaghi: da lui è realistico attendersi un ulteriore miglioramento non appena manderà a memoria i diversi compiti a cui sono chiamate le mezzali del 3-5-2 del Demone di Piacenza, specie in fase di riaggressione.

L’iraniano, invece, al momento appare un corpo estraneo nelle trame dei compagni. Abituato a fungere da riferimento principale in Portogallo, Taremi sta impiegando più del previsto a diventare omogeneo al nuovo contesto tattico. A dimostrarlo non è soltanto la penuria di gol, appena uno su rigore con la Stella Rossa, ma la cronica incapacità di farsi trovare dai compagni in una posizione utile a rendersi pericoloso. Il dato degli xG in questo senso è impietoso, 1,05 (fonte Understat) in 570 minuti giocati. Davvero troppo poco per un centravanti arrivato per puntare alla doppia cifra e far rifiatare i due titolari senza che la squadra perda troppo in peso offensivo e presenza in area. Le difficoltà della punta arrivata a parametro zero sono di natura squisitamente tecnica, perché per quanto riguarda intensità e spirito di sacrificio il suo inizio in nerazzurro è stato impeccabile tanto che, paradossalmente, i suoi highlight sono i tackle vincenti ai danni di diversi difensori avversari che perdono palla in fase di impostazione generando una potenziale occasione da rete per l’Inter. Dall’ambientamento tattico di Taremi passa molto della credibilità dei nerazzurri, se davvero vorranno competere su tutti i fronti.

 

Lautaro Martínez, abbiamo un problema

Il proverbiale elefante nella stanza, però, al momento si chiama Lautaro Martínez. Che il Toro potesse risentire delle fatiche della Copa America era facilmente ipotizzabile e molto si è detto e scritto di come i nazionali argentini di fatto giochino senza sosta da quasi due anni. Il confronto con la stagione passata, però, è impietoso. Nelle prime 16 gare, il numero 10 nerazzurro era a quota 16 gol (14 in campionato), mentre quest’anno è finito nel tabellino dei marcatori appena 6 volte (5 in campionato). La prima considerazione che si potrebbe fare a proposito di queste cifre è che l’Inter avrebbe potuto essere in testa alla Serie A se solo il suo giocatore più rappresentativo si fosse espresso in maniera discreta a livello realizzativo, senza toccare picchi clamorosi ma mettendola dentro con continuità. Ora, che Lautaro stia segnando poco è un dato oggettivo, ma in realtà ciò che nel lungo periodo potrebbe rappresentare un scoglio insormontabile per le ambizioni interiste è un altro aspetto che ha più a che fare con le funzioni in campo del capitano, che vanno ben oltre lo score personale.

Lautaro sta segnando meno perché il suo stato di forma è parecchio lontano da quello che mediamente ha mantenuto nella stagione passata. Il bomber argentino è celebre per vivere momenti più o meno lunghi di digiuno, ma da ormai un paio di anni il suo modo di stare in campo si è evoluto in maniera tale da renderlo importantissimo per l’Inter e per l’Argentina anche quando spreca qualche occasione di troppo sotto porta. Il vero problema è che allo stato attuale al Toro manca quella brillantezza che gli fa fare la differenza nel suo ruolo ibrido di regista avanzato/centravanti in grado di far salire la squadra e anche di concludere l’azione. In questi primi tre mesi Inzaghi non ha avuto a disposizione quella seconda e prima punta insieme dotata di tecnica raffinata nello stretto e di un’esplosività capace di renderla letale negli ultimi 16 metri. Lautaro, pur non rubando l’occhio per pulizia delle giocate, è infatti un calciatore in grado di dialogare con compagni di reparto molto diversi tra loro per caratteristiche e peculiarità (Lukaku, Džeko, Thuram) proprio perché in possesso di un talento innato nell’adattarsi allo stile di gioco altrui. Una capacità, questa, che risulta altamente depotenziata se il motore gira sotto ritmo. Banalizzando, da agosto ad oggi il capitano interista non ha mai fornito una prestazione totalmente negativa, ma d’altro canto ha sempre dimostrato di essere una versione depotenziata di se stesso, una punta che pensa e si muove più lentamente di qualche decimo di secondo rispetto al suo stesso standard. Ciò spiega la scarsa vena realizzativa ma soprattutto la sua pericolosità ridotta rispetto alla passata stagione. I 5 gol (5,71 xG) in campionato e l’unica rete in Champions (0,82 xG) sono lì a dimostrarlo. Impossibile dire oggi se, quando e per quanto tempo si potrà vedere un Martínez al 100%. Più scontato affermare che l’Inter, per essere davvero competitiva su tutti i fronti, ha l’assoluta necessità di riavere a disposizione il “vero” Lautaro e non la sua versione sbiadita vista fin qui.

 


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Di Vincenzo Corrado

Giornalista professionista, scrittore e altre cose che andavano di moda prima dell'intelligenza artificiale. Nato al mare e cresciuto tra la nebbia: avrei preferito il contrario.