Vinnie Jones è un duro. Un duro vero, di quelli la cui realtà e misurabilità nelle manifestazioni della propria durezza ispirano la fantasia e fanno inventare storie su duri uguali a lui. Inevitabile quindi che una tale irrinunciabile attitude di una vita finisca per diventare un testamento professionale e un termine di paragone per qualsiasi pretendente al trono di “più duro e ruvido”. Non che nella Premiership inglese, almeno fino all’alba del nuovo millennio, di personaggi di tale calibro ne mancassero. Si potrebbe dire che quasi ogni squadra ne avesse almeno uno, cani da guardia provocatori, ringhiosi e cattivi come il diavolo, messi apposta nella zona nevralgica del campo a dettare la legge della propria giungla e proteggere le caviglie di coloro cui il cielo aveva donato talento e poesia nel gesto ma non il carattere e il gusto per lo scontro. Elementi necessari quando, come molto spesso accadeva, la temperatura nervosa in campo raggiungeva picchi allarmanti e più che le scarpe da ballo erano necessari gli anfibi.
Vinnie Jones simbolo del calcio inglese che fu
In un calcio non ancora pompato a steroidi dai soldi russi, statunitensi e arabi e sostanzialmente diffidente rispetto a tutto ciò che arriva dal continente, a dettare legge nell’Inghilterra degli anni ’80 e ’90 sono i manager britannici che, tolte rare eccezioni, non hanno mai puntato a rivoluzionare il gioco del calcio. Per loro, il calcio è innanzitutto battaglia di trincea, corse sfiancanti ad inseguire l’ennesimo lancio prodotto delle retrovie, infiniti corpo a corpo dove, in mancanza di talento, vince il più forte, esperto e spietato. Un gioco in cui servono quelli cattivi. In questo ruolo strategicamente fondamentale, Vinnie Jones si trova a meraviglia, tanto da passare nel giro di tre anni dal semi-professionismo con il Wealdstone alla First Division con il Wimbledon nel 1986. Nel mezzo, una breve parentesi in prestito in Svezia, all’ IFK Homsund.
Da dilettante del pallone che si sfama lavorando come manovale nel mondo delle costruzioni al calcio che inizia a contare: cambia radicalmente lo scenario, ma non cambia Vinnie. Jones ha una tecnica a dir poco approssimativa e quindi se possibile in fase di costruzione della manovra il pallone gira ben lontano dai suoi piedi o, meglio ancora, lo scavalca direttamente, a cercare quel marcantonio di John Fashanu, sicuri che, in un modo o nell’altro, qualcosa di utile ci farà con quei movimenti disarticolati da polpo che in Italia abbiamo iniziato a conoscere grazie alla Gialappa’s. Il gioco del Wimbledon è tanto primitivo quanto efficace, interpretato da personaggi che, tranne il delizioso e futuro Chelsea Dennis Wise, vincono le partite a spallate e denti digrignati, urla e legnate. Il suddetto Wise, Vinnie Jones, Fashanu, il portiere David Beasant, Lawrie Sanchez. Cinque moschettieri la cui epica calcistica medievale non può non avere un nome ufficiale. Nel 1988 nasce la Crazy Gang e Vinnie Jones è il loro D’Artagnan mesozoico. A proposito del livello tecnico delle loro esibizioni, Gary Lineker dirà laconicamente:
Il modo migliore per assistere ad una partita del Wimbledon è guardarne il risultato sul Televideo.
I Crazy Boys del Wimbledon
È proprio Vinnie Jones a sintetizzare il manifesto programmatico di quel Wimbledon, mediante una dichiarazione alla stampa:
Qui o ti fai crescere in fretta una spina dorsale o ti dissolvi come essere umano.
Folli gare di corsa in autostrada, scherzi al limite del penale, compagni di squadra obbligati a camminare nudi per le strade cittadine. Il patto di sangue dei Crazy Boys ha un prezzo discretamente alto da pagare, ma è un accordo per la vita e fa in modo che nel loro inquietante “noi contro di loro” si sia sempre dalla parte giusta. Giocano in First Division ma non sembrano accorgersene: dalla ridotta visuale della trincea il nemico è un avversario qualsiasi, poco importa da dove arrivi. Chiunque sia, i Crazy Boys picchieranno come fabbri, il resto verrà di conseguenza. Vincono un’epocale FA Cup l’anno successivo, ai danni del Liverpool. Il canto di guerra del Wimbledon è sempre lo stesso, anche quando i Crazy Boys lo trascinano per i capelli in Premier League. In rampa di lancio verso un empireo del calcio che non raggiungerà mai davvero.
Paul Gascoigne è un talento eccezionale e purissimo, semplicemente inarrestabile quando inizia a ballare tra gli avversari. Vinnie lo sa bene e la marcatura preventiva nei suoi riguardi diventerà una foto iconica che ancora oggi rappresenta alla meraviglia quell’epoca del calcio inglese. Vinnie che, digrignando i denti, stringe in una morsa d’acciaio i testicoli del povero Gazza, che si piega come un burattino ben consapevole che saranno novanta minuti di immolazione totale.
Saltano caviglie e volano i cartellini rossi, ma la missione di Vinnie non termina certo con la fine della sua esperienza al Wimbledon. Nel giugno del 1989 trasferisce il proprio bagaglio di cattiverie a Leeds, in First Division. Poi Sheffield United, Chelsea, di nuovo Wimbledon, Queen’s Park Rangers. Grazie alle origini della nonna materna, riesce anche a racimolare qualche convocazione della nazionale del Galles. La nomea di picchiatore duro e puro inizia, con naturalezza e sistematicità, a mutare la figura di Vinnie: non è più un semplice centrocampista difensivo decisamente aggressivo. Nel corso degli anni, cartellino dopo cartellino, l’immaginario popolare inizia a investirlo di un ruolo di vera e propria rappresentanza di uno stile di gioco e di vita.
Cattivo anche fuori dal campo: la carriera da attore
Nel 1992 partecipa in prima fila a Soccer’s Hard Men, un home video prodotto dalla Video Vision che raccoglie in un’antologia tutti i momenti più violenti e discussi del calcio inglese degli ultimi anni. Superfluo dire come il nostro ne sia il protagonista indiscusso. La FA si indigna, accusando l’iniziativa di essere una vera e propria apologia della violenza applicata al calcio. Vinnie ne ride, deliziato, si becca 20mila sterline di multa, sei mesi di sospensione per “aver gettato discredito” sull’intero mondo pallonaro britannico e l’epiteto di “cervello d’insetto” dall’allora presidente del Wimbledon Sam Hammam.
Colui che ha dichiarato di dover essere ringraziato per aver “tolto la violenza dalle curve trascinandola sul campo di gioco” diventa una vera e ingombrante spina nel fianco dell’intera federazione, che in occasione di un nuovo record di misure disciplinari in una stagione lo convoca ufficialmente per una reprimenda con tutti i crismi. Lui non si presenta, sostenendo di essersi confuso sulle date. Sospensione a tempo indefinito. Ma siamo a fine anni ’90 e la sua carriera calcistica è ormai agli sgoccioli. Come detto, la figura del Vinnie Jones calciatore è già andata sfumandosi negli anni per lasciare il posto al Vinnie Jones personaggio tout court.
Se ne accorge per primo il regista Guy Ritchie che, ingaggiandolo nei panni di un criminale nella commedia nera Lock, stock and two smoking barrels, gli chiede presumibilmente di esagerare con l’essere se stesso. E funziona, tanto da permettergli di vincere l’Empire Award for Best Newcomer del 1999, premio riservato agli esordienti. Con il successivo The Snatch, sempre a firma Guy Ritchie, subisce un ulteriore, eccessiva caratterizzazione nel vestire i panni di “Pallottola al dente” Tony e vince il premio come miglior attore alla sesta edizione degli Empire Awards.
Gli ultimi venticinque anni l’hanno visto apparire, in vesti più o meno di rilievo, in una moltitudine di produzioni delle più diverse portate che avessero bisogno di una faccia da cattivo vera e riconoscibile. Un percorso lungo anni che ad un certo punto sembrava aver depotenziato la carica polarizzante di Vinnie Jones nei rapporti con l’immaginario popolare: la sua partecipazione al Celebrity Big Brother 7 del 2010 ne ha in qualche modo rinverdito i fasti. Presto inviso al pubblico per i suoi atteggiamenti tutt’altro che ortodossi, ha concluso il programma travolto da una salva di fischi, la testa alta e quel ghigno sprezzante come estrema forma di difesa di una vita.
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