La Fiorentina di Palladino può arrivare in Champions?

Palladino Fiorentina - Puntero

Terzo posto in classifica, in coabitazione con la Lazio – l’altra grande sorpresa di questa prima parte di campionato – e reduce da una striscia di sette vittorie consecutive, di cui due in Conference League, durante le quali ha segnato 21 reti subendone appena quattro. Già questi numeri da soli sono utili per spiegare il grande momento che sta vivendo la Fiorentina di Raffaele Palladino. Eppure, l’inizio di stagione dei viola era stato abbastanza deludente, con 3 punti ottenuti nelle prime quattro giornate di campionato e una squadra apparsa troppo fragile difensivamente, alle prese con una difficile transizione dalla gestione tecnica precedente a quella attuale.

 

L’elasticità tattica di Palladino

Arrivato in estate a sostituire Vincenzo Italiano, nel frattempo andato a giocare la Champions col Bologna, Palladino è sbarcato in riva all’Arno con un’idea di gioco ben precisa: implementare quel modello di calcio praticato con successo nelle due stagioni precedenti col Monza, le prime in Serie A sia per il tecnico di Mugnano di Napoli che per il club brianzolo di proprietà della famiglia Berlusconi. Ossia con la volontà di partire con una difesa a tre all’interno di una proposta volta a dominare la partita tramite il possesso (anche se in realtà il suo ultimo Monza, con l’arrivo nello scorso gennaio di Milan Đurić, aveva accentuato l’opzione della palla lunga per il centravanti bosniaco) e il controllo dei corridoi centrali del campo.

In fase di non possesso, poi, l’idea di gioco era mutuata da Gian Piero Gasperini, mentore di un Palladino che, da giocatore, ha lavorato alle dipendenze di quel Ivan Jurić già allievo del Gasp. Ben presto però Palladino si è dovuto scontrare con la realtà, che parla di una squadra che non sembra essere attrezzata per giocare a tre. In difesa, il croato Marin Pongračic, uno dei fiori all’occhiello della campagna acquisti estiva e giocatore per il quale la Fiorentina ha sborsato 15.5 milioni di euro al Lecce, palesava subito le sue difficoltà nel giocare in un reparto con altri due centrali.

Contestualmente, la scelta di Palladino di arretrare nel ruolo di terzo di sinistra Cristiano Biraghi (allo scopo di poterlo utilizzarle insieme al tedesco Robin Gosens, il quinto titolare) non produceva i frutti sperati, con le mancanze difensive del capitano che si acuivano, come evidenziato da una rete segnata proprio dal già citato Đurić contro il Monza al Franchi. Il centrocampo inoltre non garantiva il filtro adeguato e la Fiorentina incorreva in alcuni dei vecchi vizi che avevano segnato parte della gestione Italiano, vale a dire quelli che vedevano la formazione gigliata, sbilanciata in avanti, lasciare alle proprie spalle intere praterie che gli avversari sfruttavano regolarmente in contropiede.

La svolta è avvenuta nella gara con la Lazio (con la vittoria viola che ha dato il via all’attuale striscia di imbattibilità di nove partite) quando Palladino, nel secondo tempo, decideva di cambiare abito alla squadra. Via dunque il vecchio vestito e avanti col nuovo, quel 4-2-3-1 già sperimentato dal tecnico negli anni di Monza.

 

Esaltare l’attacco rilanciando la difesa

Il cambio di sistema, che pur ha inciso, non basta però da solo a spiegare l’evoluzione della Viola. Pian piano infatti, cominciando dalla successiva sfida interna di campionato vinta per 2-1 contro il Milan, Palladino ha abbracciato un tipo di calcio maggiormente reattivo. Tanto per cominciare, il furioso pressing alto che si era provato a fare a inizio stagione è stato abbandonato in favore di un atteggiamento decisamente più prudente. Non a caso l’indice PPDA della Fiorentina è passato dal 10,32 di media registrato fino alla gara di Empoli (compresa) al 16.87 registrato nel periodo seguente (fino ad oggi), in base al modello Understat.

Un innalzamento del dato che significa un abbassamento della pressione da parte della squadra. In pratica la nuova Fiorentina difende più in basso. Questo cambiamento ha avuto come conseguenza quello di creare campo dietro le difese avversarie. Un campo aperto che viene attaccato sfruttando le ripartenze dei vari Moise Kean, Albert Guðmundsson, Andrea Colpani, Gosens, Edoardo Bove e, spesso uscendo dalla panchina, anche Jonathan Ikoné, Christian Kouamé e Lucas Beltrán. In fase di non possesso quindi la Fiorentina va ora a compattarsi agendo con due linee da quattro, con attaccanti e centrocampisti più attenta a coprire gli spazi – soprattutto centralmente, grazie anche al lavoro di prima schermatura operato da Guðmundsson e Kean – e meno orientati sull’uomo. Il risultato è stato quello di dare alla squadra maggior equilibrio e una solidità che prima le era sconosciuta. Qualora poi gli avversari riescano comunque ad arrivare pericolosamente vicino alla porta, ecco che a sistemare le cose ci pensa David De Gea.

Colpo a sorpresa del mercato viola l’ex portiere del Manchester United, nonostante sia rimasto fermo la scorsa stagione, ha dimostrato di non essersi affatto arrugginito fra i pali. Basti pensare al fatto che lo spagnolo è ben presto diventato uno dei migliori portieri dell’intera Serie A, come confermano anche i dati raccolti da Fbref. In base a questi ultimi infatti il numero uno viola ha evitato alla sua squadra 2,1 gol rispetto a quelli che avrebbe dovuto incassare sulla base della qualità dei tiri ricevuti. Un dato che lo colloca al quarto posto di questa graduatoria, dietro i soli Vanja Milinković-Savić (3,1), Mile Svilar (2,6) e Maduka Okoye (2,5).

Restare compatti in zone più basse di campo (ma senza schiacciarsi e provando sempre a tenere la linea alta) ha reso più agevole anche il lavoro dei difensori. A trarne beneficio, in attesa del rientro di un Pongračic che l’anno passato si è esaltato proprio in una linea a quattro, sono stati sia i centrali Pietro Comuzzo e Luca Ranieri che Dodô. Il brasiliano, mai veramente a proprio agio da quinto, ha ritrovato centralità e livello prestativo tornando a giocare da terzino destro, accompagnando in questo l’azione di un Gosens che, sulla fascia sinistra, ha silenziato quanti avevano avanzato dei dubbi sul suo arretramento in una linea a laterale basso.

Per quanto riguarda invece la fase offensiva la Fiorentina, oltre ad una straordinaria forza in ripartenza può contare anche sulla qualità di un reparto di centrocampo di buonissimo livello e di un attacco che sta funzionando ottimamente. In prima linea infatti gioca Kean. L’ex juventino sembra finalmente esploso dopo tanti anni di promesse non mantenute, venendosi a trovare in un contesto tattico ideale che ne esalta le abilità nell’attacco alla profondità e che lo vede al centro della scena, dovendo rivestire i panni del finalizzatore principale, l’uomo per il quale tutti gli altri in qualche modo giocano.

Accanto a lui ruota Guðmundsson. L’islandese è giocatore di livello, in grado sia di andare alla conclusione in prima persona che di fornire preziosi assist e passaggi smarcanti per i compagni. Quando poi può agire in campo aperto, l’ex genoano viene a trovarsi in un terreno ideale, come già ampiamente evidenziato durante gli anni trascorsi in rossoblù. Con lui in campo la Fiorentina ha ritrovato dopo anni un numero 10 attaccante, in grado di determinare l’andamento delle partite dalla trequarti in su in modo anche autosufficiente. La batteria degli invasori è poi completata nell’undici ideale da Colpani e Bove. Il primo ha incontrato delle difficoltà nell’agire da secondo trequartista nel precedente sistema tattico – nonostante questa fosse la posizione ricoperta con successo anche nel Monza con lo stesso Palladino in panchina – mentre si è completamente ritrovato fungendo da attaccante esterno destro pronto ad accentrarsi per pennellare giocate col suo educato sinistro, contribuendo anche in fase di ripiegamento. L’ex romanista Bove si sta invece esaltando grazie al lavoro come incursore.

Nel mezzo al campo poi, come detto poc’anzi, la Fiorentina ha molta qualità, espressa da giocatori che danno del tu al pallone come il francese Yacine Adli e l’ex laziale Danilo Cataldi, ai quali va aggiunta l’energia che può offrire Amir Richardson, il figlio dell’ex cestista Micheal Ray.

 

Dove può arrivare la Fiorentina?

La domanda che tutti si pongono a questo punto è una sola: fin dove potrà arrivare questa Fiorentina? Difficile dirlo. Per quanto undici giornate di campionato siano già un buon campione per trarre delle impressioni, queste ultime non possono che essere pur sempre parziali, dato che mancano ancora ventisette gare e molti mesi alla fine del torneo. Resta da capire soprattutto se la squadra riuscirà a mantenere a lungo questo stato di forma collettivo, con tutti i giocatori chiave in grandi condizioni. Questa domanda è vera in particolare per gli uomini che lavorano in fase offensiva. In base ai dati Opta infatti ad oggi la Fiorentina ha segnato ben 19 reti (esclusi i rigori) fuori da un dato di 14.48 non penalty expected goals (NPxG).

L’attacco viola sta dunque overperformando, pertanto le maggiori incognite sono in avanti. Se la qualità dei giocatori deputati alla fase offensiva continuerà a consentire loro di trasformare in gol anche occasioni a bassa percentuale di realizzazione, allora la Fiorentina potrebbe davvero aspirare ad un posto nell’Europa che conta.

 


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