Si avvicina, inesorabile, il 5 novembre 2024, il giorno delle elezioni presidenziali che segneranno il corso della politica non solo statunitense, ma globale. Donald Trump da una parte, Kamala Harris dall’altra. Tra attentati, candidati rimpiazzati in corsa, endorsement di miliardari salterini, e strani piani per prendere il controllo degli apparati amministrativi e legislativi in caso di vittoria da parte del candidato repubblicano, il dibattito è sempre più polarizzato. L’America sembra perfettamente spaccata in due, al netto delle oscillazioni di sondaggi più o meno affidabili: sembra proprio che ad essere in gioco non sia solo un ruolo politico, ma la democrazia stessa, laddove Trump in persona promette apertamente che “se votate per me non avrete più bisogno di votare”.
Il Tycoon e la UFC
Ovviamente, il candidato repubblicano è il centro della maggior parte degli articoli, non solo perché maggiormente controverso della sua controparte dei Democratici, Kamala Harris, ma anche perché Donald Trump è stato, prima che un politico, uno showman di grande successo, onnipresente nei tabloid scandalistici e con diverse comparsate in film e serie televisive sin dagli anni ‘80, e in seguito conduttore del seguitissimo reality show The Apprentice, basato sul mondo degli affari, la cui versione italiana – di più breve vita – fu condotta da Flavio Briatore. Trump è sempre stato dotato di un carisma tutto yuppie fuori da ogni misura, che lo ha portato – oltre ad altri fattori – all’interno della Sala Ovale. E ha finanziato e preso parte a business ventures di vario tipo, incluse, appunto, quelle sportive.
Una delle scommesse più importanti vinte da Trump è stata infatti quella fatta con la Ultimate Fighting Championship (UFC) di Dana White. La compagnia, che oggi dà vita agli incontri di MMA più remunerativi e visti al mondo, deve moltissimo a Trump: questi infatti garantiva, a prezzi d’affitto molto bassi, i suoi prestigiosi casinò per lo svolgimento degli eventi, avendone intuito il potenziale a lungo termine e la grande lealtà che ne sarebbe derivata. White, a capo di una UFC ricchissima e estremamente lucrativa, oggi è uno dei maggiori sostenitori di Trump, e la quasi totalità dei Fighters della UFC si identifica pubblicamente, sui social media, nell’ideologia ultra-conservatrice.
Donald Trump ospite di The Undertaker
Arriviamo, però, al fatto concreto che ci porta oggi a parlare di Donald Trump in relazione al mondo dello sport-spettacolo: la sua recente ospitata nel podcast di Mark Calaway, conosciuto principalmente come The Undertaker, uno dei lottatori simbolo della World Wrestling Entertainment (WWE) e in generale tra i più famosi del mondo. La cosa ha destato scalpore, contando che parliamo di un candidato presidenziale che va a fare un’ospitata di un’ora da un wrestler, una figura associata principalmente alla “lotta finta” da circo americano.
Che ciò sia accaduto non dovrebbe comunque sorprendere troppo chi legge, specie considerando l’utilizzo pubblico che Donald Trump ha fatto dell’uomo che tutti associano col wrestling, Hulk Hogan, nella propria campagna elettorale, sia alla Republican National Convention sia, recentemente, al suo comizio al Madison Square Garden di New York – arena simbolo del wrestling anch’essa, non a caso. È tutto studiato nei minimi dettagli – di fronte a 20mila persone, Hogan ha fatto tutti i gesti che ci si aspetta da lui, dallo strappo della maglietta ai suoi urli, lodando il candidato repubblicano e chi lo vota come “Veri Americani”, con il pubblico che ha risposto entusiasta: obiettivo raggiunto. D’altro canto Trump e il wrestling, e nello specifico l’organizzazione conosciuta come World Wrestling Entertainment (WWE), hanno una lunga storia condivisa.
L’intervento del candidato repubblicano nel podcast dell’ex campione WWE
Trump e Vince McMahon, la WWE e un’amicizia florida
Innanzitutto è una storia che si lega all’amicizia tra due uomini, Trump stesso e l’ex chairman della WWE, Vince McMahon. Due uomini che, visti dall’esterno, già risultano molto simili: stessa generazione di appartenenza (McMahon è solo di un anno più giovane) e dunque imprenditori yuppies, figli di ricchi imprenditori (Fred Trump e Vince McMahon Sr.) a loro volta figli di imprenditori (Frederick Trump e Jess McMahon) che operavano nel settore in cui si sarebbero poi di fatto attivati figli e nipoti. Donald Trump e Vince McMahon avevano, quindi, tutto da dimostrare a se stessi, alla loro famiglia e al mondo degli affari: non è difficile immaginare come i due abbiano connesso sin dal primo incontro. Sappiamo che la loro prima collaborazione finanziaria fu nel 1988, anno di Wrestlemania IV, che fu ospitata alla Boardwalk Hall, arena di Atlantic City vicino al Trump Plaza, l’allora più importante casinò dell’ex presidente americano. Stessa sorte capitò a Wrestlemania V l’anno successivo.
Non fu una esperienza esaltante per i wrestler, che negli anni raccontarono – Hulk Hogan incluso – di come le prime file fossero piene di uomini d’affari amici di Trump, largamente disinteressati allo spettacolo che prendeva vita davanti a loro, mettendo i performer della WWE alquanto a disagio, abituati com’erano a un pubblico partecipe. Ma a Trump importava solo che, durante la trasmissione in pay-per-view, venisse promosso il Trump Plaza, anche e soprattutto come sede dell’evento – nonostante ciò non corrispondesse alla realtà dei fatti. Ciò testimonia come il figlio di Fred Trump ritenesse già allora la verità come un’opzione alquanto trascurabile, specialmente quando si vuole fare affari.
Il rapporto tra Vince McMahon e Donald Trump proseguì comunque florido negli anni, nonostante alcuni alti e bassi finanziari di entrambi. Nel 1991 Vince promosse come “ospite celebre” di Wrestlemania VII Marla Maples, la futura seconda moglie di Trump, già allora famosa come sua “amante pubblica” durante il primo matrimonio di questi. L’anno dopo, per Wrestlemania VIII, tra gli ospiti figurava Donald Trump stesso: sarebbe tornato nel 2004 per il ventesimo anniversario dell’evento di wrestling più importante della WWE, mentre nel 2007 avrebbe preso parte a una vera e propria storia che lo vedeva contrapposto al suo amico di sempre, Vince McMahon, in quella che fu pubblicizzata come una Battle of the Billionaires. Nel 2013 Donald Trump fu anche introdotto nella Hall of Fame della WWE, un premio “fittizio” – non esiste come luogo fisico – per i lottatori particolarmente celebri della federazione e gli amici della medesima.
Dal punto di vista strettamente politico, la famiglia McMahon – Vince e sua moglie Linda, nello specifico – è stata a lungo la maggiore donatrice alla Donald J. Trump Foundation. Proprio Linda è stata forse la principale beneficiaria del rapporto tra suo marito e l’ex presidente: donna con aspirazioni politiche mai concretizzatesi, avendo provato ad essere eletta sia in Congresso che al Senato senza riuscirci, ottenne una posizione chiave nell’amministrazione delle piccole e medie imprese durante il governo Trump. E nel corso delle campagne di rielezione, sia nel 2020 che nel 2024, Linda McMahon si è trovata saldamente a capo delle raccolte fondi di Trump. Dirà inoltre Josephine Riesman, autrice della biografia su Vince McMahon, che quest’ultimo era solo una delle due persone con cui il presidente Trump poteva parlare al telefono senza essere intercettato dai servizi segreti e che, quando parlava con lui, nessun altro in stanza poteva essere presente. Forse sono, l’uno per l’altro, la cosa più vicina a un migliore amico.
Il podcast e il rapporto tra Trump e la violenza
Il mondo del wrestling e Donald Trump sembrano avere molto in comune, dal modo in cui si parla del proprio avversario a quella spettacolarizzazione del conflitto e delle personalità coinvolte che il pubblico generalista ritiene trash o più semplicemente volgare; di certo, mentre il wrestling rimane comunque nella sua nicchia di appassionati, Trump è invece riuscito a portare il proprio personaggio ovunque. Il suo successo, volenti o nolenti, è sempre e comunque sotto i nostri occhi, avvinti dalla macchina pubblicitaria che Trump sembra essere in grado di padroneggiare senza eguali.
Risulta quasi straniante dunque, durante questo podcast con un lottatore anch’egli “leggenda” della WWE quale è The Undertaker, vedere un Trump che non sembra saperne granché del wrestling. Fa costantemente domande sul dietro le quinte, non sembra distinguere tra finzione e realtà e appare solo a ricerca di “risposte violente”, di storie di lottatori che si prendono a cazzotti o impazziscono per una sconfitta. Quando non fa ciò, passa la maggior parte del tempo a promuovere la propria piattaforma politica, senza fare mancare una frecciata a Imane Khelif, che accusa ancora di essere “un uomo che ha picchiato una bellissima ragazza italiana”. Una delle immagini finali di questo podcast ci è stata consegnata dall’apparizione di una delle figlie – appena dodicenne – di Mark Callaway/The Undertaker, che l’ex presidente ha guardato con sguardo compiaciuto, se non addirittura concupente, rimarcandone la bellezza e augurandosi di poterla incontrare più spesso, davanti al di lei padre che sembrava addirittura onorato delle parole di Trump.
Volendo lasciare giudizi più esplicitamente politici soltanto alla sensibilità di chi legge, possiamo almeno permetterci di osservare come la storia tra Trump e la WWE, e con essa la recente partecipazione al podcast di The Undertaker, che ha fatto grandi numeri di visualizzazioni, ci possano dire qualcosa sugli uomini di potere, circa la loro noncuranza di cose di cui dovrebbero avere oramai una certa conoscenza e, soprattutto, della loro presunzione.
Trump e il suo uso del wrestling nella comunicazione: nel 2016 prese in prestito l’entrata di The Undertaker per la convention nazionale del Partito Repubblicano
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