Nella Roma sta funzionando solo Dovbyk

Artem Dovbyk - Puntero

Con la sua predisposizione pressoché genetica e innata ad autogenerarsi drammi, la Roma ha iniziato la stagione 2024-25 in maniera anche peggiore di quanto visto nella scorsa stagione, nonostante un mercato molto dispendioso e l’intenzione di creare un progetto di lunga durata. I risultati scadenti e il gioco sotto le aspettative hanno portato all’esonero di Daniele De Rossi dopo appena quattro giornate di campionato e a un Ivan Jurić sulla graticola dopo le sconfitte con Fiorentina e Verona. Nella squadra giallorossa, per un motivo o per un altro, pare non funzionare quasi niente. Tranne Artem Dovbyk.

 

Difficoltà con De Rossi

Lo scenario in cui Dovbyk si è calato è apparso complesso sin dal suo arrivo. Sebbene sia stato evidente l’entusiasmo connesso all’arrivo dapprima di Matias Soulé e successivamente dell’attaccante proveniente dal Girona – non solo primo ucraino della storia del club giallorosso ma, circostanza abbastanza curiosa per una squadra del livello della Roma, primo nuovo arrivo ad aver vinto la classifica cannonieri nell’anno precedente all’acquisto – al momento dell’avvio della trattativa la tifoseria era parsa già un po’ in subbuglio per un mercato tardivo e per i nomi degli obiettivi che avrebbero dovuto calarsi all’interno di una squadra che, nonostante gli entusiasmi attorno alla figura di De Rossi, era in crollo verticale già dagli ultimi mesi della stagione precedente.

Sebbene l’idea di svecchiare e rinfrescare l’organico risultasse positiva e quasi necessaria, nei fatti la Roma di questi anni ha avuto i suoi momenti migliori in ambito europeo e proprio grazie alla forza di quelle connessioni che, vuoi per esperienza, vuoi per l’abitudine a competere nelle coppe del giovedì, avevano generato un nocciolo duro in cui potersi rifugiare. La Roma ha scelto la via del cambiamento drastico, perdendo alcune figure di riferimento all’interno dello spogliatoio per provare a imboccare la strada del gioco. Una scelta che non ha trovato corrispondenza nei fatti.

Sin dalle prime battute della stagione con De Rossi in panchina, infatti, i giallorossi hanno prodotto una manovra stantia e poco convincente, peraltro non risultando neanche particolarmente solidi in fase di non possesso. L’eccezione è stata paradossalmente la sfida più complicata, quella giocata in casa della Juventus, dove la mossa del tecnico finalizzata a rinforzare il blocco basso con lo spostamento di Saelemaekers in linea con i difensori ha pagato i dividendi grazie alla complessiva riduzione dei rischi ma, al contempo, ha contribuito a isolare il centravanti. Una situazione nata non solo dalla confusione generata dai movimenti non armonici di Çelik e Soulé sulla fascia destra ma anche dall’atteggiamento di Dovbyk, piuttosto pigro nell’attaccare il primo palo e inserirsi negli spazi creatisi tra Gatti – in marcatura a uomo su di lui – e Bremer o tra Gatti e Savona.

Un’incertezza generalizzata, quella dei primi incontri, che ha portato spesso a cambi confusionari, come quelli di Genova: dopo una prima fase di incontro in cui la Roma ha dominato e per la prima volta ha tentato di attivare l’ucraino negli spazi alle spalle della linea difensiva rossoblù, le sostituzioni conservative hanno costretto la squadra ad abbassare il baricentro, non permettendo a Dovbyk di trovare sbocchi in appoggio e sulle seconde palle, nonché concedendo metri ai rossoblù fino all’1-1 siglato nel recupero. In questo scenario, il Pichichi in carica ha iniziato la stagione in sordina, faticando a giocare palloni per la combinazione tra la scarsa qualità dei compagni nel servirlo e per la propria mobilità un po’ ridotta. Di fatto De Rossi ha tentato di sfruttare Dovbyk come faceva con Lukaku, senza tener conto delle differenze tra i due: più statico il belga, più abile negli spazi l’ucraino.

Un rendimento che ha avuto ripercussioni anche sotto porta: un solo gol in quattro partite, siglato proprio a Genova, un record negativo di appena 18 palloni toccati contro l’Empoli – di cui 9 in area – ma anche qualche errore grossolano, tanto da avere una underperformance piuttosto netta rispetto ai 2,1 xG registrati nelle prime quattro partite, con una traversa a distanza ravvicinatissima a Cagliari e due errori piuttosto gravi a Genova che avrebbero potuto permettere alla Roma di portare a casa i tre punti. Si è trattato dell’ultimo capitolo – quantomeno per adesso – della storia di De Rossi come allenatore giallorosso e l’arrivo di Jurić non lasciava presagire un miglioramento che, invece, a livello personale è parso netto.

 

Dovbyk si sta prendendo la Roma

L’arrivo di Jurić a Roma ha fatto storcere il naso a moltissimi tifosi. I motivi sono di varia natura: la caratura del tecnico, l’esonero molto discusso di De Rossi, il passaggio in un anno da un allenatore della caratura di José Mourinho al croato, ma anche alcune analisi di freddi numeri che parevano in controtendenza con la strada imboccata dalla società. Difatti, per quanto non ci sia riuscita, la squadra giallorossa è stata costruita con l’intento di proporre un gioco arioso e offensivo, tanto che in estate erano spesi nomi di società come Bayer Leverkusen e Atalanta quale modello da seguire.

Se la fama dell’ex tecnico del Torino è quella di un allenatore solido e che favorisce la tenuta difensiva – fama rispettata nel suo avvio sulla panchina della Roma, quantomeno fino al drammatico tracollo nella trasferta di Firenze, con uno score di 5 gol subiti in 7 partite ufficiali – i numeri offensivi destavano preoccupazione. Solo 268 gol realizzati dalle sue squadre nelle 240 panchine raccolte in Serie A, con soli tre attaccanti andati in doppia cifra: Giovanni Simeone con 10 gol nel Genoa, stagione 2016-17, e i due granata Antonio Sanabria e Duván Zapata, con 12 gol a testa rispettivamente nei campionati 2022-23 e 2023-24. In un momento in cui stavano montando le prime perplessità e malumori attorno alla figura di Artem Dovbyk, la scelta del tecnico di Spalato pareva una sorta di bacio della morte.

Eppure l’ucraino ha saputo reagire da vero campione, dimostrandosi paradossalmente di trovarsi maggiormente a proprio agio con il gioco “uomo su uomo” di Jurić rispetto a quanto fatto con l’idea giochista di De Rossi. All’esordio contro l’Udinese, i compagni lo innescano più spesso negli spazi e al tempo stesso Dovbyk si muove di più, risultando più presente anche in fase di non possesso. Il risultato è tangibile: gol da bomber di razza a sbloccare la partita, recupero in pressione e assist per Dybala per l’azione che porta al rigore del 2-0, assist a chiudere il triangolo con Baldanzi per il 3-0, senza contare il pregevolissimo gol, poi annullato, scappando in profondità e punendo Okoye con un bel colpo sotto.

Quattro giorni dopo Dovbyk si conferma, segnando di testa il primo gol in carriera in Europa League, all’Athletic, su pennellata di Angeliño. È il segnale di una controtendenza rispetto all’andamento complessivo della squadra. Mentre dopo un buon avvio l’era Jurić inizia a produrre molti dubbi e pochissime certezze, l’attaccante giallorosso diventa polarizzante per la manovra della Roma, che sembra aggrapparsi alle sue qualità come i popoli antichi facevano coi loro totem. Se Artem Dovbyk non è in giornata o non viene messo in condizione di fare il proprio gioco, la Roma semplicemente non esiste, sbattendo contro limiti di produzione offensiva che già da tempo si stanno rivelando il suo tallone d’Achille, preda inerme delle prestazioni umorali di Dybala, sempre più spesso poco incisivo al momento di calciare, e della scarsa forma di Pellegrini, unico a presentarsi al tiro – ad eccezione del centravanti – ma in maniera imprecisa o poco incisiva.

 

Cosa dicono i numeri

Allo stato attuale lo score di Dovbyk è assolutamente rispettabile. Dopo lo scarto delle prime quattro di campionato ha parzialmente ridotto il gap tra i gol realizzati in campionato e gli xG: 4 marcature contro 4,21 xG, cui si aggiungono i 2 gol in 3 presenze di Europa League – di cui una da subentrato – a fronte di 1,07 xG. In tutto fanno 6 gol in 13 presenze stagionali, quasi un gol ogni due partite. Numeri forse non stellari ma che assumono solidità all’interno del contesto tecnico giallorosso: nelle prima 14 partite stagionali, infatti, i giallorossi hanno siglato complessivamente appena 14 reti, ragion per cui Dovbyk rappresenta poco meno del 50% del fatturato offensivo stagionale della squadra. Senza dimenticare un aspetto di non minore importanza: se è vero che per un attaccante i gol sono tutto, è altrettanto vero che spesso conta più il peso che il numero delle reti realizzate.

Per questo non si può non tenere conto del fatto che cinque dei sei gol dell’ucraino hanno sbloccato il match: nel momento di difficoltà nel produrre e, in generale, delle fasi di studio dell’incontro, la Roma si aggrappa al centravanti per stappare le partite. Anche in questo caso il dato, già significativo, assume maggior rilevanza analizzando il contesto. Oltre a quei cinque gol dell’ucraino, solo una volta la Roma è andata in vantaggio per prima, proprio quando Dovbyk era assente, contro il Torino. Gli altri gol stagionali sono arrivati in situazioni di svantaggio – contro Empoli, Fiorentina e Verona o i due gol con cui i giallorossi hanno rimontato il Venezia – o per chiudere il match, come contro l’Udinese, unica partita vinta con più di un gol di scarto e in cui le impronte digitali del capocannoniere della Liga sono, come detto, ben visibili anche negli altri gol.

In buona sostanza, se i centrocampisti giallorossi saranno in grado di verticalizzare e far scappare il bomber ucraino negli spazi, la Roma avrà buone possibilità di sfruttare le sue doti di finalizzatore.

 


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Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.