Quando, nell’estate 2021, Federico Dimarco tornò all’Inter (per la seconda volta), dopo il prestito al Verona, quello che si ripresentò a Milano era un giocatore pronto ad essere protagonista con il club nel cui settore giovanile era cresciuto.
Nessuno però si sarebbe potuto immaginare che, tre anni e svariate partite dopo, il Dimarco nerazzurro potesse diventare uno dei migliori terzini sinistri d’Europa. Eppure è andata proprio così. Le prestazioni offerte nel triennio interista, sotto la guida di Simone Inzaghi, hanno infatti proiettato in alto Dimarco, rendendolo un calciatore di caratura internazionale, pedina fondamentale anche di una Nazionale azzurra che, con il laterale nerazzurro e con lo juventino Andrea Cambiaso, pare essersi assicurata una formidabile coppia di esterni per gli anni a venire.
Sia l’interista che Cambiaso sono due interpreti moderni del ruolo di laterale di difesa. Entrambi infatti possono agire lungo la corsia di competenza così come andare ad occupare efficacemente anche i corridoi centrali del campo. Per questo motivo il numero 32 dell’Inter è stato paragonato a Trent-Alexander Arnold. Come il laterale del Liverpool anche Dimarco infatti è un fine passatore, la cui conoscenza dei mezzi spazi è stata implementata dal fatto che, in passato, Simone Inzaghi lo ha impiegato anche da terzo – o da braccetto, se si preferisce – nella linea a cinque dell’Inter.
Agendo ora da centrale ora da quinto di sinistra, Dimarco è andato nel tempo a creare quelle associazioni tecniche sul lato mancino del campo che rappresentano da sempre uno dei punti di forza della squadra meneghina da quando è allenata dal più giovane dei fratelli Inzaghi.
In questo senso, oggi la catena di sinistra vede come protagonisti proprio Dimarco da laterale, con Alessandro Bastoni come centrale e Henrikh Mkhitaryan da mezzala. Proprio il legame che è venuto a costituirsi fra Dimarco e Bastoni ha spesso resto di difficile lettura agli avversari lo sviluppo della manovra interista prodotta da quella parte del campo. Le rotazioni sono infatti continue così come (e questa è una caratteristica del gioco nerazzurro) lo scambio di posizione fra quinti e terzo di difesa, con entrambi i giocatori in grado di occupare con profitto la fascia laterale così come il mezzo spazio adiacente.
In una squadra che non ha a disposizione molti dribblatori, le corse e i movimenti dei giocatori come Dimarco sono funzionali ad aprire quegli spazi che, appunto, non possono sempre venire a crearsi grazie a situazioni di uno contro uno. La forza di Dimarco però non risiede soltanto nell’apporto che il giocatore è in grado di dare in zona di sviluppo. All’ex veronese infatti viene chiesto di contribuire lungo l’intera fascia, a partire quindi dalla fase di costruzione. In queste situazioni, anche quando l’Inter decide di iniziare l’azione costruendo a quattro, ad esempio su rimessa dal fondo, Dimarco ha la qualità per poter restare più basso a garantire un’uscita sulla sinistra, resistendo anche all’eventuale pressione avversaria.
Più avanti poi, negli ultimi trenta metri, il giocatore mette a disposizione della squadra il suo mancino educato, utile per connettersi anche con palle laterali ai compagni che vanno a riempire l’area di rigore.
Questo suo essere un elemento in grado di fare la differenza a varie altezze ha portato Dimarco ad essere confrontato con un altro terzino sinistro di livello mondiale come il “cugino” Theo Hernández. Un paragone utile per accendere le discussioni ma che non ha ragion d’essere in virtù delle differenze fisiche fra i due e dei compiti diversi che sono loro assegnati dai rispettivi modelli di gioco. Dal punto di vista della fisicità ad esempio Dimarco paga nei confronti di Theo una differenza di circa 10 centimetri in altezza e di 6 chilogrammi in termini di stazza.
Ma è dal punto di vista delle funzioni che svolgono in campo che la diversità fra i due si accentua. Il milanista infatti viene utilizzato dal proprio allenatore in maniera differente. Paulo Fonseca infatti ha sì ripristinato le funzioni da invasore del francese – dopo un periodo con Stefano Pioli in cui Theo veniva bloccato dietro per aiutare l’uscita palla – ma lo ha fatto non tanto chiedendogli di agire da invasore verticale dritto per dritto come avveniva un tempo, quanto invece volendo dal marsigliese una interpretazione maggiormente posizionale, volta cioè ad occupare un determinato spazio in fase offensiva.
Nell’Inter invece Dimarco resta sempre, al di là dei compiti, un giocatore verticale, che non deve occupare una zona quanto invece arrivarci, per sfruttare la sua velocità e la capacità di calciare la palla in movimento. Proprio l’abilità nel colpire l’attrezzo, in corsa ma anche da fermo, dà ulteriormente l’idea dell’importanza di Dimarco nel contesto delle squadre ove è chiamato ad operare, ossia l’Inter e la Nazionale italiana.
Al giorno d’oggi, infatti, si parla spesso di una diminuzione del livello tecnico di una Serie A nella quale arrivano i migliori atleti ma non necessariamente i migliori giocatori. Da questo punto di vista, indipendentemente dall’accettare o meno questa tesi, è sempre più difficile trovare elementi in grado di colpire bene la palla. E questo vale in tante le situazioni, come ad esempio sui calci piazzati – angoli e punizioni – o a livello di conclusioni verso lo specchio della porta rivale. In Dimarco abbiamo dunque una felice eccezione, un atleta sì, ma con qualità tecniche che dovrebbero essere proprie di ogni elemento che calca il terreno di gioco.
In base a quanto scritto finora è difficile inserire Dimarco nella categoria dei terzini, intendendo con questo termine il laterale basso di una difesa a quattro. Quando è stato impiegato con questi compiti infatti il nostro ha avuto problemi, come capitato con la maglia dell’Italia agli ultimi Europei. In un modello liquido come quello utilizzato dall’Inter e sommariamente descritto poc’anzi, il ventiseienne milanese è maggiormente inquadrabile come una sorta di “tutta fascia” atipico, un pistone che si proietta in avanti ma in grado di coniugare le sue corse con una occupazione razionale degli spazi e anche con la creazione di legami associativi con i compagni che lo circondano. Insomma, il Dimarco di oggi è più attaccante che mai.
L’abilità di Dimarco nelle letture lo rende quindi adatto anche a trovare spazio fra i corpi, cioè fra avversario e avversario e non soltanto fra le linee.
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