Racconti

Rosa di Borbone, un fiore raro: il calcio a Nova Gorica

Un estratto dal libro “Balkan Football Club” di Gianni Galleri (editore Bottega Errante Edizioni).

 

Sono in piedi al centro della piazza. È il primo pomeriggio di una domenica di agosto. Intorno a me non c’è un rumore, fa caldo, ma qualche ventata rende piacevole il clima. Con il cellulare mi scatto una foto: il mio piede destro si trova in Italia, quello sinistro è già in Slovenia. La mia non è certo un’idea originale, probabilmente il disco di metallo che ricorda l’antica frontiera è stato calpestato da centinaia di scarpe e questa immagine è un po’ inflazionata, ma non potevo perdere l’occasione, visto che finalmente mi trovo in piazza della Transalpina, lungo quello che un tempo fu il confine fra Italia e Jugoslavia, fra Gorizia e Nova Gorica.

Abbiamo pranzato nella parte italiana. Volevamo provare un famoso ristorante dove si mangia una cotoletta dalle dimensioni incredibili, ma è chiuso per ferie per tutto il mese. Evidentemente gli affari vanno alla grande.

Poi abbiamo preso strade diverse, lei ha incontrato un’amica, io mi dovevo vedere con il mio “uomo a Nova Gorica”. Ho conosciuto Danijel in una partita di ormai tanti anni fa. Non sapevo cosa fare in quel week end e con un amico siamo partiti da Roma per andare a vedere Gorica-Domžale. Ci siamo fermati un paio di notti, abbiamo mangiato in un bel ristorante sperduto chissà dove e bevuto così tanto vino bianco che il giorno dopo in gita culturale a Caporetto, riuscivamo a malapena a parlare.

Qualche tempo dopo siamo tornati per il derby contro il Koper, sul campo neutro di Ajdovščina. È stato come se ci fossimo lasciati qualche settimana prima. “Girate intorno alla tribuna grande e venite dall’altra parte, vi corro incontro”. Danijel è arrivato di corsa, senza maglietta, e ci ha abbracciato sotto il sole cocente: “Perché volevate pagare il biglietto?” ci ha chiesto con la sua solita faccia che non sai mai se è serio o se ti sta prendendo in giro. Una cena sul Collio/Brda era stata l’occasione per raccontarci come stavamo, come andavano le cose, per mangiare funghi e carne. “Mi raccomando, stasera beviamo poco che devo guidare” ho implorato ingenuo, prima che sul tavolo atterrassero due o tre bottiglie di grappa.

Insomma Danijel è un amico. Quello che so sul calcio sloveno e non solo lo devo a lui. È sempre stato disponibile, mi ha aiutato, fornendomi contatti e parlando in prima persona con metà delle tifoserie del Paese, per farmi avere materiale per scrivere.

Però Danijel oggi non si trova. Gli scrivo ma non mi risponde da ore. Poco male, conosco il mio amico e so che ogni tanto scompare. Colgo l’occasione per girarmi un po’ Nova Gorica. Adoro i palazzoni ordinati, gli spazi verdi e le strade larghe. Mi dà una bellissima sensazione riuscire a orientarmi fra le vie che ho già conosciuto nelle visite passate. Riconosco gli spazi, le piazze e il locale dove ci siamo fermati una sera a mangiare burek.

Parcheggio la macchina davanti allo stadio e mi faccio una passeggiata, l’impianto alla mia destra, alla sinistra il bar dove ho bevuto la prima prima birra Union. Tutto intorno a me i murales dei Terror Boys, il gruppo ultras del Gorica. Salgo le scale e vedo il terreno di gioco. Dall’altra parte il muro con i disegni e la tribuna vzhod, la tribuna est, il settore dove la parte più calda del tifo si riunisce.

Mi perdo definitivamente a guardare la città. Alzo la testa verso le montagne e ammiro da lontano il Monastero di Kostanjevica (Castagnevizza, in italiano), convento francescano che dall’alto domina la città. Ho tempo per salire fin là?

La curiosità è tanta. Voglio visitare il suo giardino meridionale e vedere dal vivo la famosa rosa di Borbone. Vanto cittadino e soprattutto simbolo della squadra di calcio del Nogometno Društvo Gorica. Nel 1800 era un fiore molto diffuso nelle residenze nobiliari europee, ma oggi è quasi completamente soppiantata da un tipo di rosa più “moderno”. Non sono un esperto di botanica, ma ho scoperto che Edward A. Bunyard nella sua opera Old Garden Roses la colloca fra le cosiddette “rose antiche”. Oggi nel fertile terreno del monastero crescono rigogliose a poche decine di metri dalle tombe della famiglia reale dei Borbone, che scelse questo luogo come ultima e definitiva dimora dopo essere fuggita dalla Francia e dalla Rivoluzione del 1830.

Finalmente mi squilla il telefono. Danijel si è svegliato. Con la bocca ancora impastata di sonno e quel suo accento milanese, appreso ai tavoli da gioco del casinò dove lavora, mi sommerge con un mondo di “Scusa, ma mi sono riaddormentato. Dai passa da casa ti offro un caffè”. Non posso rifiutare.

Arrivo sotto a una serie di palazzoni che sanno di realismo socialista e risoluzione di tematiche abitative. Potrebbero sembrare grigi, ma il verde della vegetazione alle loro basi è così intenso da creare un equilibrio cromatico. L’ascensore mi porta in breve a casa del mio amico.

Nel 1947 grazie alle realtà attive nei piccoli paesi in prossimità di Gorizia, si ricominciò a giocare a calcio anche in territorio jugoslavo. Alcuni ragazzi dei centri circostanti si riunirono e decisero di fondare una nuova squadra, FD Gorica, che diventò quasi subito Železničar, visto che questa parte della città ruotava quasi tutta intorno alla Stazione Transalpina, che era rimasta da questa parte del confine e rappresentava il fulcro della ricostruzione, con l’arrivo di tanti lavoratori adibiti a movimentare il materiale necessario per la costruzione della nuova città. Inizialmente il simbolo era la ruota alata del treno, poi fu scelta la rosa di Borbone.

I colori furono quelli cari alle “strade ferrate” in tutto l’est Europa ovvero il bianco e l’azzurro. Tuttavia pare che la scelta cromatica arrivi da più lontano. Infatti uno dei primi club calcistici di cui si fa menzione a Gorizia fu l’FK Jugoslavija, nato in seno agli ambienti studenteschi. Nel 1907 la formazione disputò alcune partite contro l’Hermes Lubiana e una squadra italiana creata per l’occasione. Le due squadre goriziane avevano entrambe i colori bianco-blu.

Entrambi i club continuarono la loro attività fino alla Grande Guerra, che fece fermare qualsiasi attività sportiva. Nel 1919, dopo il passaggio della città all’Italia, la compagine italiana riprese la sua attività e nel 1923 divenne la Pro Gorizia, attuale squadra cittadina.

Come detto la squadra slava fu fondata nel 1947, ma lo stadio a Nova Gorica arrivò solo nel 1963. Fino ad allora la squadra disputò le sue gare a Šempeter pri Gorici (San Pietro di Gorizia, in italiano). Dopo qualche tempo perse il nome Železničar e negli anni Ottanta accanto a Gorica fu posto il nome dello sponsor: Vozila. Con l’indipendenza la squadra divenne la Hit Gorica, dal nome dell’impresa di case da gioco attiva in città.

Fino alla dissoluzione della Jugoslavia il Gorica non ha mai raggiunto la prima divisione nazionale. “Qui si tifava Gorica nelle serie minori, però poi quasi tutti tifavano Olimpija Lubiana o una delle quattro grandi (Stella Rossa, Partizan, Hajduk e Dinamo), ma quello succedeva un po’ in tutto il Paese”. L’Olimpija e il Vardar Skopje erano una sorta di nazionale per sloveni e macedoni e da questo punto di vista erano molto simili, nella distanza geografica che le poneva agli estremi, dal Triglav al Vardar, appunto.

Mentre sorseggiamo il caffè, Danijel mi racconta cosa significa sostenere una squadra del campionato sloveno e mi aggiorna su come stanno andando le cose sugli spalti di Nova Gorica. “Sono poche le tifoserie che hanno un seguito consistente, ci sono i Green Dragons dell’Olimpija, le Viole del Maribor. E poi, insieme a qualche altra squadra, ci siamo noi”.

La tifoseria organizzata del Gorica si ritrova dietro lo striscione dei Terror Boys, gruppo fondato nel 1991, anno dell’indipendenza nazionale. “Con il Maribor siamo in buoni rapporti, mentre con l’Olimpija proprio no. Ma è normale. Prova a immaginare il periodo immediatamente successivo all’indipendenza, noi eravamo una squadra locale, loro giocavano nella prima divisione jugoslava. Erano troppo più avanti, hanno vinto per quattro anni di fila, sono diventati antipatici a tutti. Siamo stati noi a interrompere il loro ciclo di vittorie”. Anche a livello di tifo erano più avanti, erano la capitale. Oggi fra loro e il resto del paese non c’è più questa distanza.

Il Gorica ultimamente se la passa male e sta facendo lo yo-yo fra la prima e la seconda divisione, mentre sulla testa del club pende sempre la minaccia di una consistente crisi finanziaria. In questo contesto non è semplice portare la gente allo stadio e il motto Naše mesto, naš ponos, “La nostra città, il nostro orgoglio” diventa sempre meno potente, sbiadito. Sono lontani i tempi delle presenze in Europa: “Sai che non possiamo usare il nostro striscione in Europa?” La UEFA non ha gradito la parola “Terror”. Una misura la cui efficacia per la sicurezza nel mondo del pallone è ancora tutta da dimostrare. “A dire il vero, si sono lamentati solo quelli del Maccabi Tel Aviv, dicendo che scritto in bianco su sfondo nero sembrava una bandiera dell’Isis”.

Affacciati alla finestra che guarda i monti e il grande casinò Perla perdiamo il senso del tempo. È sempre un piacere quando ci incontriamo e la conversazione potrebbe andare avanti per ore. Ma il telefono squilla di nuovo: “Ehi, io sono pronta, mi passi a prendere?”. Mi sono fermato più di quanto avevo messo in conto, ma la distanza ci impone di goderci appieno i pochi incontri che il tempo ci riserva. Ci diamo appuntamento per un futuro vicino, senza far passare troppo tempo. Ci diciamo di rivederci sui gradoni dello stadio, a sostenere il Gorica. È una promessa.

 


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Gianni Galleri

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