Eroiche e pioniere: storia del primo Mondiale di calcio femminile

Calcio femminile - Puntero

Dopo un anno abbondante dalla famosa staffetta tra Gianni Rivera e Sandro Mazzola, un’altra Italia ha provato a guadagnarsi un titolo iridato in Messico. Ma stavolta non è stato un semplice Mondiale, è stato il primo tentativo di rivoluzione: quello di 22 ragazze che hanno onorato la maglia azzurra e che, assieme ad altre cinque nazionali, avrebbero cambiato radicalmente il calcio femminile.

 

Il Mondiale “desaparecido”

Negli anni in cui la televisione non aveva ancora il monopolio sul calcio e sugli eventi sportivi in generale, gli stadi si riempivano per forza di cose. I Mondiali rappresentavano uno dei pochi baluardi della globalizzazione del calcio, grazie alla loro trasmissione in mondovisione era possibile vedere la partite della propria Nazionale e conoscere calciatori che fin lì erano più mito che realtà, relegati ai cassetti della fantasia da cui uscivano solo ogni quattro anni, quando vestivano la casacca della loro selezione.

E a proposito di stadi pieni, nel 1971 in Messico si sono disputate due partite che hanno abbattuto il muro dei 100mila spettatori. Un traguardo pazzesco, soprattutto tenuto conto che non vi era altro modo che frequentare lo stadio per conoscere l’esito di tali partite. Stiamo parlando della semifinale e della finale del Mondiale femminile di calcio del 1971. Una competizione che, a differenza dell’omologa e più seguita rassegna iridata maschile, sfuggiva alle dinamiche televisive. Un Mondiale, quello disputato allo stadio Azteca di Città del Messico, mai riconosciuto dalla FIFA ma che ha visto protagoniste sei squadre, tra cui anche ventidue ragazze italiane capitanate da Elena Schiavo. Il pregiudizio che si è sempre celato dietro il calcio femminile è stato il protagonista di una rassegna sconosciuta ma capace di smuovere, forse per la prima volta, gli animi di molti.

Il torneo messicano non fu la prima competizione internazionale della storia del calcio femminile: l’anno precedente, proprio in Italia, venne organizzato quello che è stato ribattezzato come “Trofeo Martini & Rossi”, dal nome della famosa casa produttrice di alcolici che aveva sponsorizzato la rassegna. Anche tale torneo, disputato con un tabellone tennistico tra otto nazionali a partire dai quarti, non venne riconosciuto dalla FIFA, declassato a semplice trofeo non ufficiale. Le nostre ragazze ottennero un onorevole secondo posto, cadendo nella finale disputata al Comunale di Torino al cospetto della fortissima Danimarca, vincitrice con il punteggio di 2-0 grazie ai centri di Helene Østergaard Hansen e Marie Ševčíková.

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Le Azzurre schierata prima del calcio d’inizio della finale del Trofeo Martini & Rossi del 1970

 

Uno stadio teatro della Storia

È tra le mura di un grande tempio, l’Azteca, che si è giocato quello che è considerato il Mondiale desaparecido. Tra quegli stessi spalti, un anno prima, la grandiosità degli Azzurri di Ferruccio Valcareggi aveva piegato la tenacia della Germania nella semifinale del Mondiale maschile, in quel famoso 4-3 entrato negli annali come Partita del Secolo. E sempre l’Azteca è stato lo stadio di Argentina-Inghilterra, il match che il 22 giugno 1986 ci ha regalato due dei gol più iconici della storia del calcio a firma del Pibe de Oro, Diego Armando Maradona. Che prima sblocca l’incontro con la leggendaria Mano de Dios, quindi raddoppia con quello che è ritenuto il gol più bello di sempre: i mitici undici tocchi di sinistro a far girare la testa a metà dei calciatori inglesi, prima di depositare la palla nel sacco.

Quel tempio ha visto scrivere una nuova pagina di storia, quella del primo Mondiale di calcio femminile, ospitando 6 delle 11 partite in programma nella competizione (i match del Gruppo 2 e le finaline si sono disputate a Guadalajara). Il Gruppo 1 è stato dominato dalle padrone di casa del Messico: due partite e due vittorie, la prima per 2-1 sull’Argentina – che a sua volta ha strapazzato per 4-1 l’Inghilterra con poker di Elba Selva – quindi un secco 4-0 nell’ultimo turno sulle albioniche. Più combattuto il Gruppo 2, in cui l’esito finale è stato determinato dalla differenza reti. Perché se nell’ultimo turno Italia e Danimarca si sono divise la posta pareggiando 1-1, il primo posto è stato decretato dall’ampiezza dei successi sul fanalino di coda Francia. Primato che è andato dunque alle danesi, vincitrici con un rotondo 3-0, mentre l’Italia si è imposta solo per 1-0, finendo seconda.

Entrambe le semifinali si sono, quindi, giocate all’Azteca: la Danimarca ha demolito l’Argentina con un roboante 5-0, mentre l’Italia è caduta al cospetto del Messico per 2-1, vedendosi rimontare il gol di Carmen Varone con due calci di rigore. Ad assicurarsi il primo titolo iridato, ancorché non riconosciuto dalla FIFA, è stata la Danimarca, che ha vinto 3-0 sulla Nazionale ospitante grazie ad una tripletta di Susanne Augustesen, abile ad approfittare della svagata difesa del Tricolor. Un Mondiale trionfale per le biancorosse, chiuso con 13 gol fatti e solo uno subito. Quello realizzato dalla nostra Claudia Avon per il definitivo 1-1 nella partita della fase a gironi. Per la cronaca, le derelitte Inghilterra e Francia si sono giocate il quinto posto allo Stadio Jalisco di Guadalajara: 3-2 per le transalpine, in una partita piena di rimonte e colpi di scena. Curiosamente, la Francia è l’unica delle sei partecipanti a non aver mai giocato all’Azteca.

Nonostante si volesse cancellare ogni traccia di questa competizione, c’è chi non solo ha tenuto memoria di un evento storico ma ne ha anche conservato con grande cura il materiale. Tanto da permettere di realizzare, a distanza di 52 anni, un docufilm dal titolo Copa 71, prodotto da James Erskine e Rachel Ramsey con le autrici d’eccezione Venus e Serena Williams. Con la promessa di un nuovo futuro per lo sport femminile, l’elaborato audiovisivo mira a narrare quello che non è mai stato trasmesso in televisione: dallo scetticismo alle ingiustizie subite dalle giocatrici, premessa di tutta la narrazione extra sportiva di una storia che doveva essere raccontata. Non si è trattato di un episodio fine a se stesso ma di una storia globale.

La tripletta di Susanne Augustesen, dominatrice della finale del Mondiale del 1971

 

Calcio femminile in Italia

Tra le protagoniste, come detto, anche le Azzurre di Giuseppe Cavicchi. Per capire bene le dinamiche dell’epoca, l’età media non superava i 18 anni. La più giovane del gruppo era Liliana Mammina, appena 14enne. L’attaccante di punta, che tuttavia avrebbe chiuso la competizione senza segnare, era Maurizia Ciceri, 18 anni, giocatrice del Real Torino e con un curriculum, tra campionato e Nazionale, di 48 gol segnati in 23 partite. Le Azzurre sono arrivate terze, vincendo la finalina contro l’Argentina per 4-0 con un gol di Schiavo e la tripletta di Elisabetta Vignotto. E proprio Schiavo, la più forte e rappresentativa del gruppo con un passato nell’atletica leggera, ha parlato di una grande impresa. Pur non riuscendo a giocarsi la rivincita per il titolo contro la Danimarca solo a causa della doppietta della messicana Patricia Hernández Montoya su rigore in semifinale. L’ala sinistra ha vestito le maglie di diverse squadre tra cui ACF Roma, Real Torino, Astro Corsetterie, Falchi Astro, Valdobbiadene, Padova, Bologna e Gorgonzola, vincendo in tutto quattro Scudetti e due Coppe Italia.

Dopo un debutto e una risonanza mediatica così importanti ci si aspettava un cambiamento radicale che, tuttavia, è tardato ad arrivare. Quell’attesa che assume le sembianze di un destino quasi immutabile per le donne che intraprendono la strada del calcio giocato. Fu un gruppo di impiegate in una fabbrica di locomotive a decidere di mettere i tacchetti per la prima volta, alla fine dell’Ottocento in Inghilterra e durante la seconda rivoluzione industriale. Un’altra piccola rivoluzione nella loro decisione di creare quella che sarebbe diventata la prima squadra femminile della storia: la Dick, Kerr’s Ladies Football Club. La prima partita di calcio femminile di cui si ha testimonianza si è svolta il 26 dicembre del 1920 tra le Kerr’s Ladies e la St. Helen’s Ladies FC, davanti a quasi 50mila spettatori.

In Italia il calcio femminile ha preso piede negli anni ’30 con il Gruppo Femminile Calcistico nato a Milano nel 1933. Solo con la fine della Seconda Guerra Mondiale e delle imposizioni fasciste il movimento ha ripreso vita, trovandosi nuovamente bloccato neanche venti anni dopo. A quel tempo vi erano due federazioni distinte, la FICF a Torino e la FIGC a Roma, che organizzavano due campionati e due conseguenti selezioni Nazionali distinte. Dopo anni di diatribe le federazioni si sono unite nel 1968, dando il via al primo campionato femminile della storia, vinto dal Genova.

Con il passare del tempo, molte cose sono: nel 1986 è stato il turno del primo campionato organizzato dalla FIGC assieme alla Lega Nazionale Dilettanti, nel 1991 le prime competizioni riconosciute dalla FIFA, quindi, nello scorso decennio, il passaggio sotto l’esclusiva egida della FIGC con l’inserimento di sezioni femminili all’interno delle società professionistiche già attive a livello maschile. È stato il preludio della nuova rivoluzione avvenuta nel 2022: il professionismo della Serie A femminile. Nelle ultime due stagioni è stata la Roma a vincere il titolo e il movimento, sia a livello di club che di Nazionale, sta finalmente emergendo con forza, godendo di un sempre crescente seguito.

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Una formazione della Dick, Kerr’s Ladies Football Club, prima squadra di calcio femminile della storia

 


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Di Ludovica Guidobaldi

25 anni. Mi piace raccontare storie di sport che trasmettono emozioni.