Oscar Pistorius: la gloria e l’omicidio

Oscar Pistorius - Puntero

Nel 1986, precisamente il 22 novembre, nella città sudafricana di Johannesburg una nuova storia è pronta ad essere scritta. Il protagonista è Oscar Pistorius, un bambino che solamente pochi mesi dopo la sua nascita viene messo dinanzi ad una sfida che lo accompagnerà per tutto il corso della sua vita, quella della disabilità. La diagnosi, sin dai suoi primi respiri, è chiara ai medici: si tratta di emimelia fibulare, malattia congenita caratterizzata dall’assenza del perone, che porterà alla drastica ma necessaria decisione dell’amputazione di entrambi gli arti inferiori, con la conseguente applicazione di due protesi in fibra di carbonio.

Facile, quasi scontato in questi casi non riuscire a guardare oltre l’ostacolo. Eppure Oscar riesce man mano a trasformare quella che sembrava a tutti gli effetti una limitazione in una fantastica opportunità. Durante l’età adolescenziale Pistorius inizia ad avvicinarsi al mondo dello sport: prima il rugby, poi la pallanuoto, poi l’infortunio. È proprio grazie a quest’ultimo che incontra per la prima volta nella sua vita l’atletica leggera, fondamentale nella fase di recupero dallo stop, diventata poi in un battito di ciglia la passerella per la fama, la carriera, i soldi, la gloria e forse anche il tracollo.

 

Pistorius vuol dire vittoria

La carriera di Pistorius è ricoperta d’oro e di successi, traguardi che gli garantiscono notorietà e benevolenza da parte del mondo. Per lui nulla sembra irraggiungibile una volta lasciatosi i blocchi di partenza alle spalle, costantemente una spanna sopra ai suoi avversari. E il palmarès è incredibile. Nel 2004, ai Giochi Paralimpici di Atene, riesce a portare a casa due medaglie alla prima partecipazione alla massima competizione, conquistando il bronzo nei 100 metri T44 (specifica volta ad indicare la tipologia di disabilità) in 11”16 e l’oro nei 200 metri T44 con il tempo di 21”97. Da semisconosciuto scala velocemente le gerarchie, arrivando a rappresentare l’uomo da battere alla vigilia di Pechino 2008.

Nei successivi Giochi Paralimpici non c’è storia, Oscar naviga totalmente su altri livelli rispetto ai suoi avversari e fa en plein. Tris di ori: 100, 200 e 400 metri T44. Il sudafricano è sul tetto del mondo. Successi che non si fermano soltanto allo sport: Pistorius scrive una sua biografia tramite il giornalista italiano Gianni Merlo, partecipa al videoclip musicale dei Negramaro con il brano “Via le mani dagli occhi” e, dulcis in fundo, diverse riviste lo inseriscono nelle classifiche degli uomini più belli al mondo. The Fastest Man On No Legs, come viene ormai soprannominato da tutti, è  un’icona, ha raggiunto l’apice, ma non vuole saperne di accontentarsi e continua a spingersi oltre.

La sua volontà di migliorarsi lo porta a porsi un obiettivo che ha dell’incredibile: partecipare ai Giochi Olimpici di Londra 2012. Com’è andata? Ci è riuscito, ma non ha ottenuto medaglie nel corso della manifestazione. Diversa la storia riguardante l’edizione paralimpica dove, come di consueto, ottiene nuovamente tre medaglie: argento nei 200 metri T44, oro nei 400 metri T44 e nella 4×100 metri T42-46. A queste vanno aggiunte ulteriori tre medaglie placcate argento, due relative ai 400 metri e alla staffetta 4×400 durante i Campionati Africani nel 2012, l’altra ottenuta ai Mondiali di Taegu nel 2011 nella 4×400.

Ad onor di cronaca, Pistorius ha preso parte alla staffetta solamente in semifinale, non partecipando poi alla finale decisiva per la conquista dell’argento. La medaglia è pertanto arrivata grazie al tempo fatto segnare in batteria di qualificazione. Ma ad avvalorare ulteriormente la sua impresa è il cronometro, con il Sudafrica che nella semifinale aveva stabilito il primato nazionale della staffetta (2’59″21). Meglio di quanto sono riusciti a compiere i compagni di Pistorius in finale. Un risultato eclatante.

 

Una notte, mille dubbi

L’atletica ha portato Pistorius ad avere tutto ciò che a livello professionale si può desiderare. Nel 2012, nonostante avesse già vinto tutto, il tempo per continuare a scrivere pagine di successi e gloria c”era eccome, con il sudafricano che a 26 anni poteva avere dinanzi a sé ancora due Olimpiadi da preparare secondo le più rosee prospettive.

Ma poi il buio. La fine di tutto. È il 14 febbraio del 2013. Oscar si trova nella sua casa in Sudafrica in compagnia della fidanzata Reeva Steenkamp, recatasi lì nella giornata precedente per fare una sorpresa al suo ragazzo in occasione di San Valentino. I due si addormentano ma Pistorius, nel corso della notte, come da lui stesso raccontato, viene svegliato da dei rumori provenienti dalla stanza da bagno dell’abitazione.

Non ha nemmeno il tempo di indossare le protesi. Tutto avviene in fretta. Si alza dal letto e, per paura di trovarsi faccia a faccia con un ladro, si munisce di una delle pistole che ha in casa. Poi gli spari: uno, due, tre, quattro colpi. Che oltrepassano la porta chiusa e trafiggono la persona all’interno della stanza. Oscar apre la porta e, solo in quel momento, realizza di non aver colpito un ladro ma di aver ucciso la fidanzata, Reeva Steenkamp. Oscar si stende accanto a lei e scoppia in lacrime. Chiama la sorella per avvisarla dell’accaduto. Il tempo si ferma, Via le mani dagli occhi. Il campione viene arrestato e accusato di omicidio, con il conseguente processo che avrà inizio il 13 febbraio 2014.

Mai durante il corso di tutti gli appelli si dichiara innocente, anzi. Confessa immediatamente quanto fatto, ma ripete più e più volte che la sua intenzione non era quella di colpire la compagna. Sono però tante, forse troppe le cose che non tornano rispetto alla sua versione dei fatti. In primis, ad entrare in disaccordo con quanto da lui raccontato è il fatto di non essersi accorto che Reeva non fosse accanto a lui nel letto quando fu svegliato dai rumori.

A non convincere pienamente, c’è anche un altro aspetto: la villa di proprietà è situata all’interno di un complesso residenziale difficilmente espugnabile, provvisto di alte mura e guardie di sicurezza. Ad aggravare la sua posizione sono anche i testimoni, ovvero i vicini, che negli attimi immediatamente precedenti agli spari sono tutti concordi nell’aver sentito provenire dalla casa di Oscar e Reeva delle forti urla, verosimilmente legate ad un litigio. Il processo genera sin da subito una forte attenzione mediatica e la sentenza definitiva arriva nel novembre del 2017. Ad emetterla è la Corte Suprema d’Appello del Sudafrica: condanna a tredici anni e sei mesi di reclusione.

Si è ipotizzato che Pistorius non fosse totalmente lucido al momento dell’omicidio, offuscato forse dall’utilizzo di alcol e sostanze stupefacenti. Altri invece sostengono come tutto possa risiedere nel suo senso di inadeguatezza, quello che ha sempre provato rispetto alla sua disabilità. Un sentimento sotteso, sottile. Che lui ha sempre cercato di mascherare dietro le vittorie, grazie ad una mentalità vincente che in pochi hanno.

Un senso di inadeguatezza forse acuito  dall’inizio della relazione con Reeva Steenkamp. Lei modella giovane e bellissima, una perfezione che potrebbe aver portato Pistorius a credere di non essere abbastanza. Un meccanismo di protezione eccessivo, forse non necessario, una smania di controllo della vita altrui troppo pressante, che sarebbe culminato in un gesto estremo al termine di una discussione. Tanti sono comunque gli interrogativi e i dubbi che il processo non ha saputo spiegare.

 

Nel segno di ciò che è stato

Oscar Pistorius non avrebbe dovuto lasciare il carcere di Atteridgeville prima del 2030, ma nel gennaio del 2024 ha ottenuto la libertà vigilata. Nulla si sa su come proceda la sua vita in questo momento. Riserbo pressoché totale sui suoi progetti o sulle ambizioni future. Poche anche le immagini che sono circolate una volta “libero”, ma non è comunque mancata l’indignazione dell’opinione pubblica per la scarcerazione anticipata.

Quanto ai genitori di Reeva, invece, sappiamo che non hanno mai creduto alla possibilità di un incidente. Sono fermamente convinti che l’omicidio sia avvenuto in seguito a una lite in cui Reeva ha minacciato di andare via di casa. Oggi il padre e la madre della vittima riversano le loro energie in una fondazione che porta il nome della figlia, creata per aiutare le vittime di abusi e violenza sessuale.

 


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