Cosa è rimasto del calcio in Palestina

Palestina Calcio - Puntero

Il 7 ottobre 2023, l’Ahli Gaza doveva ospitare lo Shabab Rafah, che lo precedeva di soli due punti. Una gara di metà classifica, valida per il settimo turno del campionato della Striscia di Gaza: il vero interesse per i tifosi era in realtà per le sfide del giorno seguente, in particolare per la trasferta dei campioni in carica del Khadamat Rafah – in quel momento secondi in classifica – contro il Khadamat Al Shatia, quarto.

In caso di vittoria, la squadra di Rafah avrebbe temporaneamente scavalcato in prima posizione l’Al Ittihad Shuja’iyya, in attesa che il 9 ottobre quest’ultimo si confrontasse con lo Shabab Khan Younis. È inutile dire che nessuna di queste partite si è mai giocata e la classifica è ancora congelata ad allora. Il campionato 2023/2024 non verrà mai concluso ed è impossibile dire quando si potrà tornare a giocare a calcio nella Striscia di Gaza, anche nel momento in cui la regione dovesse rivedere la pace.

 

La guerra e gli stadi

Nel gennaio del 2024, The New Arab scriveva che gli stadi di Gaza erano divenuti irriconoscibili, dopo l’inizio dei bombardamenti israeliani. Il Palestine Stadium di Al-Rimal – l’impianto più grande della regione, che ospitava tradizionalmente le gare della Nazionale – è stato sventrato: già nel 2012 era stato seriamente danneggiato dagli attacchi dell’Israel Defense Forces, fin quando, nel 2019, è stato ricostruito grazie alla FIFA.

Stessa sorte per il Gaza Sport Club Stadium, a Nord Gaza, rinnovato nel dicembre 2022 con il sostegno di USAID, e per il Beit Hanoun Municipal Stadium, l’Al Hilal Sporting Club Stadium, e anche il campo dell’Al Ittihad Shuja’iyya, formalmente ancora primo in classifica. A febbraio, Karim Zidan ha pubblicato un articolo nella sua newsletter Sports Politika in cui ha raccolto diverse immagini delle macerie che un tempo erano il teatro del calcio della Striscia di Gaza.

Un uomo di nome Ahmed Hamada ha raccontato a The New Arab:

Sono un tifoso dell’Ahli Nusairat Club, la squadra del campo profughi di Al-Nusairat. Ora, tutti gli amici che venivano con me allo stadio sono morti e io ho perso l’amore per il calcio. Voglio solo tornare a casa mia.

Ma la casa di Ahmed a Gaza City non esiste più: nel momento in cui pronuncia queste parole, è ospitato assieme ad altre 10.000 persone all’interno dell’Al-Dorra Stadium di Deir al-Balah, nella zona centrale della Striscia. Questo è l’unico impianto sportivo ancora in piedi. L’intervista ad Hamada l’ha realizzata un ragazzo di appena 22 anni di nome Abubaker Abed: appassionato di calcio, ha iniziato presto a parlare dello sport a Gaza attraverso i social, ma con l’inizio degli attacchi dell’IDF si è ritrovato sostanzialmente a svolgere il lavoro dell’inviato di guerra.

Il 6 ottobre scorso, in un suo video mostrava una maglia del Borussia Dortmund con il nome di Marco Reus, ritrovata tra le macerie della moschea dei Martiri di Al-Aqsa, rasa al suolo da un bombardamento nonostante al suo interno ci fossero diversi rifugiati. Il video ha fatto molto discutere quando, il giorno seguente, il Dortmund ha pubblicato un ricordo di Netta Epstein – una sostenitrice israeliana uccisa da Hamas negli attacchi del 7 ottobre 2023 – senza dire una parola sul tifoso senza nome rimasto sotto le macerie a Deir al-Balah.

Tra la distruzione e l’essere trasformato in un campo profughi, c’è una terza via, la più umiliante. È quella che ha subito il Yarmouk Stadium di Gaza City – il più antico impianto della Striscia, costruito nel 1952 dalle autorità egiziane che all’epoca occupavano la regione – il quale è stato occupato dall’IDF e trasformato in un campo di prigionia e tortura. Le immagini dei prigionieri ammanettati e incappucciati in campo, davanti alle porte, hanno fatto il giro del mondo nel dicembre 2023, riportando alla memoria di tanti le drammatiche foto dello stadio Nacional di Santiago nelle settimane successive al golpe di Pinochet di 50 anni prima.

 

Il calcio in Palestina piegato dalla morte

All’inizio del 2024, le truppe israeliane hanno demolito lo stadio Yarmouk e ciò che ne resta è ora usato come un altro campo profughi. Nella Striscia di Gaza, 50 delle strutture sportive presenti sono oggi completamente distrutte o inutilizzabili a causa dei danni subiti. I club di calcio locali in pratica non esistono più, dissolti dalla devastazione degli edifici sportivi, dalla necessaria fuga dalle bombe e dalla dispersione nei vari campi per i rifugiati.

E dalla morte, ovviamente: secondo la federcalcio palestinese PFA, l’IDF avrebbe ucciso più di 454 atleti nella regione, di cui 313 calciatori. E, di questi ultimi, 87 erano bambini. Hani Al-Masdar, allenatore della selezione olimpica palestinese, è morto a gennaio nel villaggio di Al-Musaddar, vicino Deir al-Balah, dove viveva.

Mohammed Barakat – 39enne icona del Khan Younis Youth Club e dell’Ahly Gaza, tre volte nazionale palestinese – è stato ucciso a marzo, quando una bomba ha colpito la casa in cui viveva con la sua famiglia a Khan Younis. A giugno sono morti l’arbitro internazionale Hani Mesmeh e il difensore dell’Ahly Gaza Ahmad Abu al-Atta – assieme alla moglie, che era medico, e ai due figli, nella loro casa a Gaza City. A luglio, è toccato a Shadi Abu al-Araj, portiere dello Shabab Khan Younis.

Questo è il destino ciclico del calcio nella Striscia di Gaza: ogni volta che le tensioni tra Hamas e Israele esplodono, i bombardamenti che seguono distruggono gli impianti sportivi e uccidono atleti, direttori di gara, dirigenti e personale tecnico, assieme a tante altre persone. Quando tutto si calma, inizia la ricostruzione e il tentativo di ricostituire una parvenza di normalità. Fino alla prossima guerra. Il pallone è lo sport più popolare in Palestina, e per la popolazione gazawi è fondamentalmente l’unica possibile occasione di svago, specialmente per chi non abita nei pressi della costa. Non che anche nel cosiddetto “tempo di pace” il calcio locale fosse un’oasi dorata: la carenza di strutture, l’incertezza dovuta alla situazione politica e la scarsa disponibilità economica rappresentano da sempre un ostacolo considerevole allo sviluppo sportivo nella Striscia.

 

Fuga da Gaza e dalla Cisgiordania

Della Nazionale palestinese che ha raggiunto uno storico ottavo di finale in Coppa d’Asia lo scorso gennaio, solamente due elementi erano originari di Gaza: il difensore Mohammed Saleh e l’attaccante Mahmoud Wadi. Nessuno dei due, né altri compagni, giocava però nel campionato gazawi: Saleh ha lasciato la Striscia all’età di 22 anni, nel 2015, quando è passato dal Gaza Sport all’Ahli Al-Khaleel di Hebron, in Cisgiordania, e da allora ha sempre giocato lontano da casa (oggi milita in Qatar, nell’Al-Rayyan). Wadi ha lasciato definitivamente l’Ittihad Khan Younis a 23 anni, nel 2017, per andare a giocare coi giordani dell’Al-Ahli, e lo scorso settembre ha firmato con l’Asswehly, in Libia.

Chi ha la possibilità di lasciare Gaza, anche solo per spostarsi in Cisgiordania, lo fa, e il calcio è una delle migliori vie d’uscita dalla regione. È il caso di Khaled Al-Nabris, 21enne promessa di Khan Younis che al momento dell’interruzione del campionato locale era in testa alla classifica marcatori con 4 gol in 6 partite: lo scorso febbraio ha ottenuto un contratto con gli egiziani dell’Ismaily e ha così potuto scappare da Gaza e continuare a coltivare il suo sogno di diventare un calciatore professionista.

Sebbene al centro della cronaca, nell’ultimo anno, ci sia stata soprattutto la Striscia di Gaza, in Cisgiordania le cose non vanno tanto meglio, calcisticamente e non. Il territorio occidentale della Palestina vive costantemente in conflitto, nelle zone lungo il confine israeliano, con i sempre più numerosi e aggressivi coloni protetti dall’IDF. Una colonizzazione che è anche sportiva: da tempo la PFA denuncia la costituzione di club di calcio israeliani nei territori cisgiordani occupati (illegalmente, come sottolineato dall’ONU), cosa che rappresenta una violazione dello statuto della FIFA.

 

Calcio e speranza, la Nazionale della Palestina

Anche in Cisgiordania il campionato è stato interrotto e mai più ripreso all’inizio dell’ottobre 2023, ed è diventato impossibile organizzare i match casalinghi della Nazionale, per comprensibili ragioni di sicurezza. La Palestina gioca da allora le proprie gare interne in campo neutro: il 21 novembre 2023 ha affrontato l’Australia in Kuwait, dove è tornata a giocare a marzo col Bangladesh; a giugno ha affrontato il Libano in Qatar e a settembre la Giordania in Malesia.

In estate, la PFA aveva espresso la propria volontà di disputare le proprie gare casalinghe per le qualificazioni ai Mondiali del 2026 nello stadio di Ramallah, ottenendo il via libera della FIFA, con l’eventualità che al primo match interno potesse essere presente anche Gianni Infantino. Invece, il 15 ottobre la Palestina giocherà nuovamente sul campo neutro del Jassim bin Hamad Stadium di Doha, dopo che il Kuwait, avversario di giornata, ha chiesto di spostare la gara in un’altra sede: l’allargamento della guerra verso l’Iran rende particolarmente insicuro raggiungere la Cisgiordania. Nonostante questo, la Palestina avrà la possibilità di conquistare un altro traguardo storico: è già approdata al terzo turno delle qualificazioni della AFC e si trova ora a un passo dalla possibile prima partecipazione ai Mondiali.

È il paradosso di una squadra quasi in esilio, senza grandi campioni, che si sposta tra mille difficoltà (il 4 ottobre le autorità israeliane hanno fermato per quattro ore il segretario generale della Federcalcio Firas Abu Hilal mentre cercava di raggiungere il Qatar per riunirsi con i giocatori) e che nonostante ciò sta vivendo il periodo migliore della sua storia sportiva. Ciò che è rimasto del calcio in Palestina è dunque essenzialmente una speranza, forse l’ultima a essere sopravvissuta sotto le macerie.

 


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