Buon compleanno Miguel Montuori, primo 10 della Fiorentina

Miguel Montuori - Puntero

Dagli albori del calcio, il numero sulla schiena dei calciatori funge non solo da identificativo del ruolo e del compito in campo ma, soprattutto, da preludio delle loro abilità e inclinazioni. L’utilizzo del passato è doveroso perché negli anni questa lettura è diventata sempre meno affidabile fino ad arrivare ai giorni nostri dove, oramai, il numero non indica nulla se non la preferenza del giocatore. Tra tutti i numeri, il protagonista principale della numerologia calcistica è il 10, quello che qualunque bambino ha sognato di indossare almeno una volta nella vita. Due cifre che assieme rappresentano un inevitabile richiamo alla fantasia, all’estro, alla classe. La nostra storia lega una delle città d’arte più famose al mondo, Firenze, al calcio e a un suo fine interprete: Miguel Montuori.

 

L’arte fiorentina e i numeri 10

Firenze accoglie migliaia di turisti ogni giorno ed è rinomata in tutto il mondo per le sue bellezze artistiche: dall’architettura ai musei, il capoluogo della Toscana ha conservato un forte senso identitario con le proprie tradizioni e la propria storia. E, come spesso accade per squadre che rappresentano città dalla grande tradizione, la Fiorentina riceve in dono dai propri tifosi la passione e un trasporto emotivo che si traducono in un legame pressoché indissolubile tra la squadra e la città, costituito da un continuo gioco di rimandi e un insieme di valori condivisi.

La Fiorentina ha una grande storia calcistica, dai successi in ambito nazionale e continentale a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, passando per gli anni ’90 in cui i viola erano indicati come una delle sette sorelle della Serie A nel momento di massimo splendore del nostro calcio, fino ad arrivare ai recenti fasti e alle tre finali raggiunte nelle ultime due stagioni. Firenze è stata casa di numerosi campioni che hanno fatto la storia del calcio italiano, annoverando tra le sue fila alcuni dei più importanti numeri 10 del nostro calcio, come Roberto Baggio e Giancarlo Antognoni, eroi nazionalpopolari che hanno conquistato il cuore dei tifosi, imponendosi anche in maglia azzurra grazie al loro sconfinato talento.

Una lunga tradizione di numeri 10, che hanno saputo vincere il tempo e resistere ai limiti della memoria umana, spietata e dimenticatrice. In una città come Firenze, però, certi uomini difficilmente vengono dimenticati. Simbolico e talentuoso, uomo ancora prima che calciatore, Miguel Montuori è uno di questi: precursore dei fantasisti, è stato il primo vero numero 10 della storia della Fiorentina.

Un filmato con alcune azioni di Montuori in maglia viola

 

Origini

Miguel Ángel Montuori nasce a Rosario, in Argentina, il 24 settembre 1932. Cittadino del mondo, è figlio di un pescatore di origini napoletane e di un madre discendente di una comunità di indios, formalmente argentina ma con sangue africano. Dopo aver mosso i primi passi alla corte del Racing Club de Avellaneda, Montuori conosce il “calcio dei grandi” in un altro Paese, il Cile. Emigra per trovare spazio e non rimane deluso, ottenendo una maglia da titolare e conseguenti successi grazie all’Universidad Católica, club della capitale Santiago con cui Montuori si laurea campione nazionale nel 1954. È il trampolino di lancio per la sua carriera: durante la sua militanza cilena viene notato da un osservatore particolare, Padre Volpi, un sacerdote italiano con un passato da calciatore e un occhio particolarmente dotato nel captare il talento. E di talento quel ragazzo argentino ne ha a bizzeffe.

Sangue italiano da parte di padre e osservatore italiano: un destino che pare segnato e che lo porta, effettivamente, nel nostro Paese nel 1955, quando Padre Volpi, rientrato in Italia, segnala il ragazzo a Luciano Giachetti, direttore sportivo della Fiorentina. Che nel 1955 imbastisce la trattativa e si assicura Montuori per una cifra attorno ai 20 milioni di lire, piuttosto considerevole per l’epoca. Ma decisamente ben spesa.

 

Scudetto al primo colpo

Arrivata quinta nel campionato precedente, la Fiorentina vivrà una delle migliori stagioni della sua storia, la 1955-56. L’atmosfera attorno alla squadra è tersa di magia e speranza e l’arrivo di Montuori avrebbe finito per suggellare il tutto. Ma, è bene precisarlo, il suo arrivo non viene accolto con grande entusiasmo: un oriundo dai lineamenti misti e proveniente da un campionato tutt’altro che di alto livello come quello cileno non è esattamente il nome che scalda i tifosi, a differenza dei compagni già noti e stimati dalla piazza. Le basse aspettative, però, hanno vita corta: è il campo a parlare e il giudizio diviene presto insindacabile, la Fiorentina ha trovato la sua stella, il giocatore che serviva per il definitivo salto di qualità.

Il volto cupo di questo ragazzo di 23 anni fa da contrappeso alle giocate illuminanti. Genialità calcistica allo stato puro, senso del gol, classe e fantasia: queste le qualità che Montuori utilizza per entrare nel cuore dei fiorentini. E vi riesce prontamente, l’impatto del ragazzo è a dir poco clamoroso e la Fiorentina si assicura immediatamente lo scudetto, il primo della sua storia. È l’inizio di un ciclo glorioso, che prosegue con quattro secondi posti consecutivi, la Coppa delle Coppe e la Coppa Italia nella stagione 1960-61 e anche un traguardo storico senza lieto fine, la prima finale disputata da una squadra italiana in Coppa dei Campioni, nel 1957, al Santiago Bernabeu contro l’invincibile Real Madrid trascinato da alcuni dei più grandi campioni di ogni epoca, tra cui, a proposito di grandi numeri 10, il leggendario Ferenc Puskás.

 

Sangue misto al servizio dell’azzurro

Il melting pot di culture alle origini di Miguel Montuori risulta in maniera palese nei tratti somatici del ragazzo che, pur di difficile lettura, sicuramente non sembrano suggerire origini italiane. Che invece ci sono, tanto che il sangue napoletano del padre permette al ragazzo, senza particolari ambizioni di indossare la casacca albiceleste alla luce della carriera sviluppata integralmente al di fuori dell’Argentina, di essere naturalizzato italiano. Sbrigate le necessarie formalità di tipo burocratico, Montuori mette il suo talento al servizio della Nazionale a partire dal 1956 e per i successivi quattro anni, per un totale di 12 presenze e 2 gol.

Un periodo tutt’altro che indimenticabile a livello di risultati di squadra ma che finirà per consegnare il fantasista viola alla storia del calcio italiano. Montuori diventa infatti il primo calciatore di colore a vestire la casacca della Nazionale, nonché l’unico oriundo a indossarne – in due occasioni – la fascia di capitano. Un’ulteriore prova del legame tra il talentuoso numero 10 della Fiorentina e l’Italia, che si consoliderà negli anni e anche a carriera conclusa.

Miguel Montuori - Puntero

Montuori (secondo in basso da destra) in maglia azzurra per Italia-Brasile, amichevole del 1956 e sua seconda presenza in Nazionale

 

Schiavo della sfortuna

Prolifico, raffinato ed incantevole, Montuori ha donato la propria arte a Firenze e la città ha replicato con una sensibilità e una comprensione tipica di chi l’arte la respira e la vede tutti i giorni. Ma purtroppo il calcio insegna che la malasorte è spesso più potente del talento e che se la fortuna è cieca, la sfortuna ci vede benissimo. E proprio un problema alla vista è alla base della fine della carriera dell’oriundo. Una pallonata tra tempia e orecchio destro. Prima semplicemente il grande dolore dato dall’urto, poi l’ottimismo fa spazio a un peggioramento e alla tremenda diagnosi: diplopia e distacco della retina. Seguono tre mesi di riposo assoluto, quindi l’intervento e il responso perentorio: carriera finita. Nel 1961, a soli 28 anni, si ferma l’ascesa di uno dei maggiori talenti del nostro calcio.

Alcune complicazioni post-operatorie spingono l’ormai ex numero 10 fiorentino all’isolamento a casa, un calvario che dura un anno. Fin quando, nel 1962, Miguel riesce a riprendersi e avvia una nuova carriera nel mondo del calcio, quella da cronista per un giornale locale. Ma ci si mette di nuova la sfortuna: stavolta è un aneurisma a colpirlo, costringendolo a tornare nuovamente sotto i ferri nel 1963. Un intervento che lascia gravi conseguenze fisiche ed economiche, comunque non sufficienti a minare lo spirito caparbio e testardo di Montuori, che tenta di tornare in pista, stavolta come allenatore.

Ma il talento dimostrato in campo non è pari a quello in panchina e il credito con il destino continua ad aumentare. Arrivano altri malanni fisici, un’altra operazione per un’ulcera, quindi un’ernia al disco. Gli interventi richiedono cure che mandano Montuori sul lastrico, al punto che Miguel decide di trasferirsi assieme alla moglie e ai quattro figli in Cile, dove la vita costa meno. Una volta tornato a Santiago, tenta nuovamente di trovare un posto nel calcio, allenando le giovanili dell’Universidad Catolica, la società dove si è messo in luce per la prima volta da calciatore.

 

Il richiamo del giglio

I suoi figli sono nati in Italia e due di loro decidono, non appena cresciuti, di tornare a vivere in Italia, alimentando la nostalgia di Montuori per il nostro Paese. Una saudade al contrario che si scontra con la ristrettezza economica in cui versa la famiglia dell’ex azzurro. I tifosi però non hanno dimenticato quanto ha fatto Montuori per la Fiorentina e per la città, dentro e fuori dal campo. E quando un uomo dona tutto se stesso, i fiorentini non vedono l’ora di ricambiare.

Nel 1988 il tifo viola organizza una festa per riunire e celebrare i grandi numeri 10 della storia della Fiorentina, invitando ovviamente anche Montuori, quasi obbligato a presenziare. Consapevoli della sua volontà di restare in Italia, gli ex compagni gli organizzano un’incredibile sorpresa: una casa arredata e, con l’ausilio del Comune di Firenze, un impiego come bibliotecario, affiancato dal compito di osservatore di talenti per la società calcistica del Calcio Isolotto.

Grazie all’amore e all’affetto della sua gente, Montuori riesce a esaudire il suo desiderio e torna nella sua amata Firenze, per giunta continuando a calpestare il prato verde di un campo di calcio, dapprima grazie all’incarico nell’Isolotto, quindi come allenatore delle giovanili del Vingone. Purtroppo, con il ritorno a Firenze torna anche la cattiva sorte, che lo colpisce per l’ultima volta. Il 4 giugno 1998 Miguel Ángel Montuori si spegne per un male incurabile, a soli 66 anni.

 

Montuori e Firenze: un legame indissolubile

L’amore, l’affetto e la stima che il popolo fiorentino ha riservato nei confronti del suo primo numero 10 ha radici profonde, che valicano i confini del campo da gioco e trovano una spiegazione principalmente in uno specifico momento, esemplificativo della purezza dell’amore che ha legato il calciatore argentino alla sua città adottiva. Nel 1966, anno della disastrosa alluvione, l’Arno rompe i suoi margini, annientando le vie della città, ridotta in ginocchio dal disastro. In questa occasione, Montuori si presenta dal sindaco di Firenze, mettendo a disposizione tutti i suoi trofei per organizzare una raccolta fondi destinata alla città: una dimostrazione di attaccamento da parte di un uomo, nato dall’altra parte del mondo, figlio di una commistione di culture diverse, perseguitato dalla malasorte ma che a Firenze ha trovato la sua casa.

 


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