È iniziata pochi giorni fa la nuova Champions League, con le milanesi impegnate con Liverpool e Manchester City. L’Inter ha affrontato la squadra di Pep Guardiola in quello che è stato un rematch della finale di Champions di poco più di un anno fa, vinta dai britannici grazie al gol di Rodri. Il City però la partita più importante ha iniziato a giocarla pochi giorni prima dell’esordio nella massima competizione continentale. Nella mattinata di lunedì 16 settembre, all’International Dispute Resolution Center di Londra, ha ufficialmente preso il via il processo del secolo.
Sul banco degli imputati troviamo il club dello sceicco Manṣūr, accusato di 115 capi d’imputazione, tra cui informazioni false sui ricavi e sui pagamenti ad allenatori e giocatori, mancata collaborazione nelle indagini e altro ancora. Il tutto durerà non meno di dieci settimane e il verdetto arriverà non prima della primavera 2025, con possibili conseguenze epocali per il mondo del calcio. Il risultato è imprevedibile, stante l’assenza di precedenti di questa portata e le contestazioni della difesa dei Citizens alle accuse mosse.
Ma come è iniziato tutto? Quali sono le accuse? Che cosa rischia il City? L’inizio del processo del secolo, secondo il nome fornitogli dai tabloid, risale a ben sei anni fa. La lega calcistica inglese aveva già aperto un fascicolo riguardante il Manchester City, in cui le violazioni di cui il club è accusato inizierebbero addirittura dalla stagione 2009-2010. Parliamo quindi della vera e propria genesi del club campione d’Inghilterra, prima di tale data relegato a essere la seconda squadra di Manchester e spesso presente nella parte destra della classifica della Premier League. La stagione 2008-09 è quella della svolta per i Citizens, passati dall’essere controllati dall’ex primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra e dalla sua UK Sport Investments al gruppo Abu Dhabi United Group dello sceicco Manṣūr bin Zāyed Āl Nahyān.
La proprietà araba nel giro di pochi anni trasformerà il City, portandolo alla vittoria della Premier League nel 2011-2012, con Roberto Mancini in panchina e Mario Balotelli in campo, autore dell’assist per il decisivo gol del Kun Aguero contro il Queens Park Rangers. Da quel momento in poi, il club lotterà sempre per il titolo, diventando con il tempo la squadra più forte del calcio inglese e vincendo gli ultimi quattro campionati consecutivamente.
Come ha fatto lo sceicco Manṣūr a trasformare un club che aveva vinto l’ultimo titolo nel 1968 in una macchina da guerra capace di sollevare il trofeo della Premier League per ben otto volte sotto la sua gestione? La risposta, banalmente, è nell’immensa quantità di denaro che lui e il suo fondo hanno potuto riversare nella società. A titolo esemplificativo, ricordiamo che nel primo calciomercato nel segno dei petrodollari, il Manchester City spese l’esorbitante cifra di 100 milioni di sterline – equivalenti a circa 140 milioni di euro – per portare nella sponda blu di Manchester giocatori come Robinho, Carlos Tévez, Emmanuel Adebayor e Kolo Touré. A questi primi acquisti seguiranno poi le faraoniche campagne acquisti che renderanno di fatto il City di un’altra categoria rispetto alle altre squadre inglesi.
Tuttavia, a settembre 2010 la UEFA approva la legge sul Fair Play Finanziario e da quel momento iniziano i problemi per il club di Manṣūr. Sostanzialmente, la UEFA può monitorare il rispetto da parte dei club dei parametri posti dalla nuova norma, il più importante dei quali richiede che le società non abbiano uscite sproporzionalmente superiori alle entrate. I primi guai per il Manchester City risalgono al 2014, ben quattro anni prima rispetto alla partenza delle indagini per il processo del 2024. Nelle stagioni 2011-2012 e 2012-2013 il saldo negativo del calciomercato dei Citizens ammonta a 180 milioni di sterline, circostanza che li pone sotto la lente d’indagine della UEFA.
Oltre a questo, le indagini investono anche le sponsorizzazioni con Etihad, Aabar ed Etilsalat, tutte di proprietà più o meno diretta dello stesso Manṣūr. La compagnia aerea viene accusata di essere non una vera sponsorizzazione quanto piuttosto solamente un mezzo dello sceicco per immettere denaro all’interno del club. Nello specifico, si indaga su un ingresso di 68 milioni di sterline utili proprio a salvare il City da penalizzazioni e indagini da parte della UEFA, versati in prima persona dal proprietario del club e non ricavati da una sponsorizzazione reale. Iniziano quindi a emergere i primi dati riguardanti le altre aziende sospette: dalla sponsorizzazione con Aabar il City incassa 4 milioni di euro, indicandone però 17 a bilancio, mentre da quella con Etilsalat i proventi reali ammontano a 5 milioni di euro contro i 18,5 falsamente dichiarati.
Alla fine di questo primo processo, il Manchester City sarà costretto a pagare 20 milioni di euro, pari agli introiti ottenuti grazie alla partecipazione alla Champions League 2013-2014, oltre a subire una limitazione nella lista Champions, che per la stagione seguente sarà composta da 21 calciatori e non 25. Senza contare i limiti ai trasferimenti e la necessità di far registrare un massimo di 30 milioni di euro di passivo nel rapporto tra entrate e uscite per gli anni 2014 e 2015. A settembre 2015, tuttavia, ecco che arriva il dietrofront della UEFA, che sin lì aveva fatto la voce grossa. Vengono ritirate le multe a Manchester City e Paris Saint Germain (altra indagata), affermando che entrambi i club hanno dimostrato di avere rispettato tutti gli obiettivi del pareggio di bilancio.
Siamo nel 2018. Anche la Premier League nel 2012 ha istituito regole simili a quelle approvate dalla UEFA per quanto riguarda il Fair Play Finanziario. Il Profit and Sustainability Rules (PSR) apre una nuova inchiesta sul Manchester City, in seguito ad alcune rivelazioni del settimanale tedesco Der Spiegel. Queste accuse si basano su oltre 18 milioni di documenti finanziari riservati consegnati da una fonte anonima, che ricoprirà un ruolo fondamentale in questa storia. La fonte verrà poi identificata in Rui Pinto, creatore e proprietario del sito Football Leaks.
Pinto, in collaborazione con il giornalista tedesco Rafael Buschmann, aprirà il vaso di Pandora del marcio nel calcio e con le sue accuse porterà vari calciatori a essere condannati per evasione fiscale, Cristiano Ronaldo a essere indagato per stupro dalla polizia di Las Vegas, smaschererà i grandi club impegnati nella creazione della Superlega europea e, per quello che ci interessa, determinerà nuove indagini a carico di Manchester City e Paris Saint Germain per violazioni del Fair Play Finanziario.
Der Spiegel non risparmia nemmeno con Gianni Infantino, numero uno della FIFA, accusato di avere organizzato incontri privati con i vertici delle due società indagate, proponendo loro accordi che non era autorizzato a stipulare. Le accuse mosse ai Citizens sono simili a quelle di quattro anni prima e vengono divise in due categorie: le sponsorizzazioni fittizie e gli stipendi gonfiati. Il trucco è sempre lo stesso: si fanno passare parte degli investimenti della proprietà come sponsorizzazioni di società terze ma in realtà legate alla famiglia Manṣūr, mentre con gli stipendi di giocatori e allenatori si provvede solamente a ritoccare la cifra, ovviamente verso l’alto, aggiungendo al compenso dovuto bonus legati a consulenze e sponsorizzazioni, guarda caso sempre provenienti da società degli Emirati Arabi che possono essere fatte risalire alla famiglia del proprietario del Manchester City.
Le accuse mosse da Football Leaks e Der Spiegel portano la UEFA a indagare e l’organo europeo annuncia di avere riscontrato delle irregolarità nelle informazioni sino a quel momento analizzate, provvedendo quindi a deferire gli inglesi. La sanzione però non arriva per tutto il 2019, facendo ipotizzare una assoluzione e spingendo il City a presentare ricorso, che viene respinto il 16 novembre 2019. Nel 2020 arriva poi la clamorosa sentenza della UEFA, che esclude il Manchester City da ogni competizione europea per le stagioni 2020-2021 e 2021-2022, oltre a condannarlo al pagamento di 30 milioni di euro di multa. Questa sentenza somma le accuse del 2014, conclusesi con un colpo di spugna, a quelle del 2018.
Il City ovviamente non ci sta e presenta ricorso. La difesa dei Citizens si basa sull’affermazione secondo cui le accuse presentate da Football Leaks e Der Spiegel, oltre a essere false, si fondano su prove a loro volta basate su documenti ottenuti illegalmente, che comunque non fornirebbero basi fattuali adeguate per la decisione della UEFA. Viene inoltre invocata la prescrizione delle accuse. Le mail ottenute illegalmente da Rui Pinto e pubblicate sul suo sito verranno poi ammesse come prove ma non saranno considerate sufficienti a incriminare il Manchester City. Servirebbero infatti anche altre prove, relative alla contabilità e alle transazioni ritenute sospette, il pezzo mancante nel puzzle di questa indagine.
La maggior parte dei componenti del collegio arbitrale del TAS ritiene che gli accordi di sponsorizzazione con i vari Etihad, Aabar ed Etilsalat siano proporzionati al valore riportato nei bilanci da parte del City e che lo sceicco Manṣūr, Abu Dhabi Group ed Etihad non siano collegati tra di loro. Sono inoltre cadute in prescrizione le accuse mosse per quanto riguarda gli esercizi di bilancio chiusi a maggio 2012 e maggio 2013, nonché la violazione del Fair Play Finanziario nella stagione 2013-2014. Alla fine il Manchester City se la cava solamente con una multa da 30 milioni euro per la mancata collaborazione durante le indagini, pena poi ridotta a 10 milioni.
A gennaio 2023 arriva l’incriminazione da parte della Premier League. Il processo, come detto, è iniziato il 16 settembre e non si concluderà prima della prossima primavera. Nello specifico, in merito ai già citati 115 capi d’accusa, 54 di essi si riferiscono alla mancata collaborazione nel fornire informazioni finanziarie durante le indagini relative al periodo tra la stagione 2009-2010 a quella 2017-2018. Ulteriori 14 capi d’imputazione attengono all’ostacolo nella cooperazione con l’inchiesta sugli stipendi di giocatori e allenatori nel periodo dal 2009-2010 al 2017-2018, 5 al mancato rispetto dei paletti del Fair Play Finanziario, 7 alle violazioni delle norme sulla sostenibilità e i profitti in Premier League tra la stagione 2015-2016 e quella 2017-2018 comprese, mentre i restanti 35 capi d’imputazione riguardano la mancata collaborazione nelle indagini in atto dal 2018 a oggi.
Ma cosa rischia effettivamente il Manchester City? Davvero difficile a dirsi. Questo caso, per dimensioni e rilevanza, non ha precedenti e risulta quindi impossibile fare una stima dell’ipotetica sanzione nel caso in cui i Citizens fossero ritenuti colpevoli. La FA nella scorsa stagione ha sanzionato Nottingham Forest ed Everton per una violazione delle norme finanziarie della Premier League di portata nettamente inferiore rispetto a quella del City, con i due club penalizzati rispettivamente di 4 e 8 punti. In questo processo c’è indubbiamente molta più carne al fuoco, motivo per cui il ventaglio di soluzioni è ben più ampio, con tanto di possibile enorme detrazione di punti, che porterebbe quindi il City a una clamorosa retrocessione, sebbene la penalità potrebbe anche essere spalmata su più stagioni. L’ipotesi più lontana e inverosimile è invece quella della radiazione dalla FA (Football Association).
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