Minuto 71, Stadio Olimpico, Roma. Appena dopo l’uno-due micidiale della Lazio che consegna il temporaneo vantaggio ai biancocelesti, Leão e Theo Hernandez, i due leader tecnici dei rossoneri, combinano – complice una linea laziale non impeccabile – per riportare il Diavolo in parità. Una storia vista tante volte, sono anni ormai che la fascia sinistra è il vero punto di forza del Milan, con il francese e il portoghese veri spauracchi delle difese di tutta Italia. Questa volta però la situazione è diversa, molto diversa. È un gol che fa da campanello d’allarme e fa gridare alla “crisi Milan”.
Le scelte di Fonseca
Paulo Fonseca arriva alla sfida dell’Olimpico sorprendendo tutti, lasciando in panchina Theo e Leão, i due giocatori più rappresentativi a disposizione, dopo la deludente prestazione contro il Parma. Un segnale molto forte dato alla squadra, a ribadire che nessuno è intoccabile, soprattutto dopo prestazioni svogliate come quelle viste al Tardini. Contro i ducali infatti, Theo era stato protagonista in negativo nei gol subiti dal Milan, mentre Leão aveva praticamente passeggiato per il campo, senza mai entrare davvero in partita.
La scelta di Fonseca, pur giusta nei principi, non ha però avuto l’effetto sperato. Se l’idea infatti era quella di stimolare una reazione d’orgoglio, il risultato sul campo è stato ben diverso. Il Milan ha iniziato la partita contro la Lazio con un approccio prudente, chiaramente più focalizzato a non subire gol piuttosto che a farne. La squadra ha giocato con attenzione, cercando di limitare i danni e mantenendo un assetto tattico più mirato a contenere la Lazio che a imporre il proprio gioco. In quest’ottica, il gol di Pavlovic da calcio d’angolo è più una situazione isolata che frutto di una effettiva spinta offensiva. Questo atteggiamento, sebbene possa essere comprensibile dopo gli svarioni nelle prime giornate di campionato, ha evidenziato una mancanza di coraggio da parte della squadra, che ha preferito giocare sulla difensiva piuttosto che tentare di dominare l’avversario.
Nel secondo tempo, il copione è cambiato radicalmente. La Lazio ha iniziato a prendere il controllo del gioco, sfruttando la superiorità fisica e tecnica della propria fascia sinistra. Nuno Tavares rientra in campo con un altro passo e surclassa tecnicamente e fisicamente Emerson Royal, altra scelta del mister portoghese a sostituire Calabria. Due gol fotocopia, entrambi nati da azioni sviluppatesi dal suo lato, hanno messo in luce non solo i limiti tattici del terzino brasiliano, ma anche una preoccupante mancanza di lettura del gioco e di comprensione delle situazioni da parte dell’intera difesa rossonera.
Panic move
Parzialmente rassicurato dal vantaggio all’intervallo, Fonseca si trova così, nel giro di sei minuti, improvvisamente nel baratro. Tornare a Milano con una sconfitta maturata con delle scelte di formazioni così nette, significherebbe avere parecchi mirini puntati sulla testa e in tanti pronti a sparare. Di fronte quindi alla bruttissima piega della partita, Fonseca ricorre alla più classica delle mosse disperate, il cambio di gruppo. Dentro contemporaneamente Musah, Abraham, Hernández e Leão, i due “reietti” inizialmente in panchina.
Una mossa profondamente contraddittoria rispetto al messaggio iniziale. Fonseca ha fatto improvvisamente marcia indietro, affidandosi proprio a quei giocatori che aveva considerato parte del problema, nella speranza di recuperare lo svantaggio.
Neanche il tempo da parte della Lazio di capire come affrontare il nuovo assetto dei rossoneri, che succede il fatto, forse la cosa peggiore che potesse capitare a questa squadra, osservando la situazione con un’ottica più lungimirante, senza limitarsi al freddo risultato della singola partita. Theo e Leão, proprio loro, combinano per segnare il gol del pareggio, sfruttando una difesa della Lazio totalmente fuori posizione e sbilanciata. Un gol che ha messo ancora più in luce le contraddizioni interne al Milan.
La scena durante il cooling break è stata il momento più emblematico dell’intera serata. Mentre la squadra si raggruppa attorno a Fonseca per ricevere indicazioni e cercare di riorganizzarsi per provare a vincere la partita, Theo e Leão si isolano dall’altra parte del campo, lontani dal resto dei compagni, parlottando tra loro. Un gesto che, più di qualsiasi errore tecnico o tattico, evidenzia la frattura all’interno del gruppo rossonero. Anziché comportarsi da leader tecnici ed emotivi, i due hanno mostrato un disinteresse preoccupante, continuando a mantenere un atteggiamento distaccato e poco coinvolto. Un comportamento infantile e ridicolo, protratto per il resto della partita, con Theo che si è limitato a un paio di ripiegamenti difensivi, mentre Leão ha continuato a ciondolare in campo senza una vera e propria posizione, mandando fuori ritmo anche i compagni.
A fine partita l’imbarazzo di Fonseca nel gestire le domande scomode su quanto accaduto è plateale
Il Milan non ha una guida
Il pareggio contro la Lazio ha messo a nudo tutti i problemi strutturali del Milan, problemi che non sono certo nati quest’estate, ma che si sono incancreniti nel corso degli anni. Il primo e più evidente è la mancanza di una dirigenza forte e presente. Non c’è una figura in grado di dare una direzione chiara al progetto tecnico, di costruire una squadra completa e competitiva, e di intervenire in modo deciso nelle situazioni di crisi.
Il Milan continua a trascinarsi i soliti problemi irrisolti, sessione di mercato dopo sessione. Il terzino destro è una lacuna evidente da anni, e la scelta di puntare fortemente su un giocatore come Emerson Royal, per di più a un prezzo elevato, è stata già in partenza una decisione sbagliata. Lo stesso si può dire per la rotazione carente dei difensori centrali e per il sostituto di Theo Hernández.
Theo, senza una vera alternativa che possa mettere in discussione il suo posto, non ha mai sentito il senso d’urgenza necessario per mantenere alti i suoi standard, dinamica lampante nelle ultime uscite. Di conseguenza, si permette di affrontare le partite con un atteggiamento superficiale e svogliato, ben sapendo che, in ogni caso, il suo posto non è in pericolo.
Altro problema storico del Milan è l’ostinazione a voler giocare con il 4-2-3-1, nonostante la squadra non disponga di un vero trequartista in grado di fare da raccordo tra centrocampo e attacco. La dirigenza e lo staff tecnico sembrano essersi fissati su Loftus-Cheek, cercando di replicare in lui il ruolo che svolgeva Kessié nell’anno dello Scudetto, ma i due sono giocatori molto diversi, con compagni di reparto differenti.
Kessié è stato per il Milan un centrocampista capace di abbinare forza fisica, capacità di inserimento e una discreta visione di gioco, alternando benissimo gli spazi da attaccare con Tonali, mentre Loftus-Cheek è una mezzala di corsa, abile nel portare palla e ribaltare l’azione, ma assolutamente inadatto a ricevere tra le linee spalle alla porta o a fare le giocate di fino richieste dal ruolo.
Il risultato è che il Milan continua a giocare allo stesso modo da anni a prescindere dall’allenatore, con una costruzione del gioco ormai prevedibile e facilmente leggibile dagli avversari. La famosa disposizione a tre in fase di impostazione, con il terzino sinistro che entra dentro il campo, è diventata un marchio di fabbrica che, però, non funziona più come un tempo e tutte le squadra sanno perfettamente come arginare.
Oltre ai problemi tattici e di mercato, il Milan soffre di una mancanza di leadership preoccupante. Nessuno in campo sembra avere la personalità necessaria per prendere in mano la squadra nei momenti di difficoltà e guidarla fuori dalle situazioni complicate. Nella grottesca scena del cooling break, non c’è stato un singolo giocatore che abbia avuto la personalità di andare a prendere i due isolati e di imporsi affinché si aggregassero al resto del gruppo. Il solo Abraham – guarda caso l’ultimo arrivato – ha provato timidamente a riportare Theo e Leao a più miti consigli ma è stato respinto senza troppe cerimonie.
In questo contesto, la presenza di Ibrahimović, un tempo considerata un valore aggiunto, è più un problema che una risorsa. Lo svedese continua ad atteggiarsi come se fosse ancora il giocatore decisivo di un tempo, dentro e fuori dal campo, ma la sua mistica è superata anzi comincia a diventare stucchevole. Quello di cui il Milan ha bisogno non è un ex giocatore che si comporta come una leggenda vivente, ma di una serie di figure di esperienza, di dirigenti che conoscano a fondo il mestiere, in grado di dare una direzione tecnica e comportamentale a una squadra che ha bisogno come l’ossigeno di riferimenti. Ibrahimović in questo senso non è l’uomo adatto. Il gruppo è fragile emotivamente, necessita di stabilità, non di un accentratore egocentrico.
Un problema profondo e difficilmente risolvibile
Il pareggio contro la Lazio non deve essere letto come un semplice incidente di percorso, né come un problema di inizio stagione che si risolverà con il tempo. Non è banalmente “calcio d’agosto”. Le dinamiche viste in campo sono la manifestazione di problemi profondi, radicati nella gestione del Milan e nella costruzione della squadra. Non si tratta di semplici screzi risolvibili, ma di situazioni che si sono incancrenite nel corso degli anni e che difficilmente si risolveranno in poco tempo o con un semplice cambio di allenatore.
La sosta per le nazionali, che in altri casi potrebbe rappresentare un’opportunità per riflettere e riorganizzare le idee, rischia di essere del tutto inutile, considerando quanti effettivi rimarranno a disposizione di Fonseca. Senza un intervento deciso e strutturale, il Milan si avvia verso tempi difficili, con una crisi che potrebbe aggravarsi ulteriormente nei prossimi mesi. A Milanello c’è bisogno di una riflessione profonda e di un cambio di rotta netto, altrimenti la stagione, e forse anche il futuro prossimo, rischiano di essere segnati in modo irreparabile.