Il calciomercato è una passione tipicamente italiana, capace di infiammare le estati di milioni di tifosi, facendo sognare sotto l’ombrellone il prossimo grande acquisto della propria squadra del cuore, in attesa della stagione che verrà. Tra la seconda metà degli anni Novanta e i primi anni Duemila, la Serie A era la crème de la crème del calcio europeo: ogni estate i top club erano soliti sfidarsi a suon di milioni per acquistare i più grandi campioni in circolazione.
Era il periodo della Juve di Lippi, del Milan di Weah prima e di Šhevchenko poi. Delle romane campioni d’Italia all’alba del nuovo millennio. Del Parma, vincitore della Coppa Uefa nel ’99. Della Fiorentina, guidata da Batistuta.
C’era poi una squadra nella quale hanno militato campioni di enorme spessore. Un club che avrebbe potuto essere punto di riferimento di un decennio ma che, a causa di frenesia ed errori di valutazione del suo stesso presidente, si limitò a svolgere un ruolo da semplice comprimaria. Stiamo parlando della prima Inter di Massimo Moratti.
Moratti oggi è ricordato dai tifosi interisti come il presidente più vincente della storia nerazzurra, capace di centrare nel 2010 il leggendario triplete. Eppure è esistito un tempo non troppo lontano – il periodo dal febbraio 1995 al gennaio 2004 in cui l’imprenditore si defilò per lasciare la presidenza operativa a Giacinto Facchetti, tornando poi nel 2006 – in cui l’Inter per anni ha inseguito disperatamente un titolo. Nonostante fosse spesso considerata la favorita della vigilia, puntualmente erano le dirette concorrenti a veder cucito il tricolore sulle maglie.
Tra le tante possibili motivazioni che hanno portato a una carenza di successi nerazzurri, alcune sono sicuramente legate a diverse sliding doors di mercato. Momenti chiave che, se gestiti con meno frenesia, avrebbero potuto modificare l’esito delle successive stagioni della prima Inter di Moratti.
Il primo abbaglio: Hodgson > Roberto Carlos
Dopo i primi mesi di ambientamento, l’estate 1995 è la prima in cui Moratti diventa operativo a tutti gli effetti. La sua volontà è quella di acquistare calciatori che siano in grado di rendere la squadra competitiva per il titolo sin da subito.
Nonostante un’ottima struttura centrale, è sugli esterni che l’Inter 1995-96 si fa bella. Sulla destra viene acquistato un giovane talento argentino, Javier Zanetti, mentre a sinistra il nuovo terzino è un brasiliano brevilineo e funambolico capace di esplodere dalla distanza un sinistro di rara potenza, comprato dal Palmeiras per la cifra non indifferente di 10 miliardi di lire. Il suo nome è Roberto Carlos da Silva Rocha, ma sarà presto noto al mondo intero semplicemente come Roberto Carlos.
Il giovane brasiliano dimostra sin dalla prima giornata di avere le stimmate del predestinato. Al minuto cinquantatré della sfida casalinga con il neopromosso Vicenza, il match è ancora bloccato sullo 0-0 quando l’arbitro fischia una punizione per i nerazzurri dai trenta metri. Sembra una posizione adatta al cross di un destro, invece è il terzino sinistro brasiliano a incaricarsi della battuta. Dal suo mancino esce una staffilata rasoterra che sfiora appena il terreno e conclude la propria corsa alle spalle del portiere inerme. Un gol straordinario che risveglia San Siro dal torpore e fa gridare i tifosi al fenomeno.
Sembra l’inizio di un idillio che invece si rivelerà essere una mera illusione. Nelle partite successive l’Inter fatica a trovare il risultato nonostante i gol del brasiliano e cambia così tre allenatori nel giro di sette giornate. Alla fine Moratti individua il candidato ideale per la panchina nerazzurra, l’inglese Roy Hodgson, reduce da un’esperienza positiva con la nazionale svizzera.
Tra l’allenatore britannico e Roberto Carlos però non scatta mai la scintilla. Un diamante grezzo come il terzino paulista dovrebbe essere lasciato libero di inventare, senza essere ingabbiato in schemi che non lasciano spazio alla fantasia. Purtroppo per l’Inter però, Hodgson ha la sciagurata idea di avanzare Roberto Carlos e farlo giocare da ala, per cercare di avvicinarlo alla porta vista la sua propensione offensiva. Nonostante le buone intenzioni, il tentativo non porta i risultati sperati. Da quel momento infatti, la stagione di Roberto Carlos peggiora drasticamente, così come quella dei nerazzurri che chiudono settimi e lontanissimi dal vertice.
Frustrato, e consapevole dell’interesse nei suoi confronti da parte del Real Madrid, il brasiliano chiede la cessione. La prima sliding door, il primo momento in cui Massimo Moratti deve scegliere tra un suo campione e l’allenatore in carica. Una dinamica non isolata che si ripeterà nuovamente più avanti. Moratti decide di difendere il progetto avviato con Hodgson e cede così Roberto Carlos alle merengues. La storia e gli almanacchi sono impietosi, una scelta sbagliata su tutta la linea: il mister inglese verrà esonerato al termine dell’anno successivo, Roberto Carlos invece, vincerà tutto sia con i Blancos che con la Seleção, entrando nella lista FIFA dei 125 migliori calciatori ancora in vita.
Sintesi di Inter-Vicenza con la punizione vincente di Roberto Carlos
Prestiti dolorosi
La gestione dei giovani talenti è un aspetto fondamentale per la sostenibilità di un club, specialmente per una big. In due casi, la cessione in prestito di un giovane in rampa di lancio ha rappresentato un punto di svolta negativo per la stagione dell’Inter allontanando i nerazzurri dallo scudetto. Stiamo parlando di Recoba nel 1999 e – soprattutto – Adriano nel 2002.
Álvaro Alexander Recoba Rivero, detto “El Chino” per i suoi occhi affusolati, è un fantasista mancino dotato di grande tecnica che l’Inter prende dal Nacionàl nel luglio del ’97 per 7 miliardi di lire. L’esordio di Recoba è da sogno. In un Meazza gremito con 70mila spettatori pronti ad assistere al debutto di Ronaldo il Fenomeno, è il ragazzino uruguaiano a monopolizzare la scena e realizzare una doppietta da cineteca che permette all’Inter di ribaltare il risultato contro il Brescia. Il resto della stagione è molto positivo per El Chino, con l’acuto della vittoria della Coppa Uefa.
Una grande stagione d’esordio che tuttavia non garantisce all’uruguaiano un posto stabile in rosa. L’anno successivo infatti, scivola a sorpresa in fondo alle gerarchie del tecnico Gigi Simoni. La spiegazione più logica è dovuta al fatto che il fantasista di Montevideo, come molti grandi calciatori della storia, non ha un ruolo definito. A causa dello scarso impiego, l’Inter decide allora di cedere il giocatore in prestito al Venezia ultimo in classifica durante la sessione di calciomercato di gennaio. L’arrivo in laguna dà nuova linfa a Recoba che con 10 gol nel solo girone di ritorno, salva da solo il Venezia con giocate da far stropicciare gli occhi ai tifosi veneti, da troppi anni disabituati a vedere nella propria squadra un giocatore di quel livello.
Come ammesso dallo stesso Moratti anni dopo, l’Inter si pentì di quella cessione in prestito. La squadra arrivò mestamente ottava in un campionato senza un vero dominatore, una stagione in cui si sarebbe potuto fare decisamente meglio, con un gruppo arrivato alle ultime partite con poche gambe e ancor meno idee. La fantasia del Chino avrebbe sicuramente fatto comodo.
La doppietta del Chino che ribalta il risultato contro il Brescia
Se quello di Recoba fu un grave sbaglio della prima Inter di Moratti, la cessione in prestito di Adriano nella stagione 2001-2002 è senza dubbio un errore ancora più grossolano.
Quell’anno, tutto sembrava apparecchiato per agguantare finalmente un titolo italiano assente in bacheca ormai da troppo tempo. A una squadra già attrezzata in ogni reparto, viene aggiunto un giovane brasiliano che, anni dopo Ronaldo, torna ad accendere l’entusiasmo dei tifosi nerazzurri. È Adriano, detto “l’Imperatore”. L’attaccante verdeoro ha già dato saggio delle proprie capacità in estate, quando in un’amichevole contro il Real Madrid, decide la partita con un calcio di punizione supersonico, realizzato con una violenza mai vista. Un gesto di rara prepotenza fisica che vale la prima pagina della Gazzetta dello Sport con il titolo “Adriano l’uragano”. Adriano sa essere decisivo fin da subito anche con i tre punti in palio, quando alla terza giornata realizza da subentrante il gol della vittoria contro il Venezia.
In una stagione molto combattuta, caratterizzata da un testa a testa con Juventus e Roma fino all’ultima giornata, avere il maggior numero di campioni in rosa è un fattore fondamentale e Adriano ha tutte le carte in regola per aiutare l’Inter a raggiungere lo scudetto. I nerazzurri, invece, confezionando l’ennesimo errore di mercato, cedono l’Imperatore in prestito alla Fiorentina, mentre l’Inter concluderà quel campionato con la cocente delusione del 5 maggio.
I regali ai cugini: scambi Inter-Milan
Tra le più importanti sliding doors di mercato della prima Inter di Moratti troviamo gli scambi scambi ricorrenti con il Milan. In tre occasioni infatti, altrettante trattative sciagurate hanno rafforzato la rosa dei rivali di sempre, portando invece in nerazzurro giocatori di valore parecchio inferiore. Ricordi il cui solo pensiero fa venire i brividi ancora ora ai tifosi interisti.
Maurizio Ganz è uno dei giocatori arrivati durante la prima campagna acquisti targata Massimo Moratti. L’attaccante friulano, reduce da una serie di stagioni molto prolifiche in provincia, è chiamato al grande salto in una big. I suoi numerosi gol nelle prime due stagioni in nerazzurro lo rendono un beniamino dei tifosi e gli valgono il soprannome di “El segna semper lu” – in milanese “segna sempre lui”.
Nonostante l’ottimo bottino, l’acquisto di Ronaldo nel giugno del ’97 porta l’Inter a cedere Ganz al Milan, in cambio di 1,5 miliardi di lire più la seconda metà del cartellino di Moriero, all’epoca in comproprietà. Il futuro decreterà presto chi tra le due milanesi avesse fatto l’affare. Pochi giorni dopo, in occasione dei quarti di finale di coppa Italia infatti, sarà proprio Ganz a segnare uno dei cinque gol con cui il Milan travolge i cugini nerazzurri. L’anno successivo arriva anche la beffa: è il Milan di Ganz a vincere lo scudetto.
Nel 2001 è il turno del giovane e talentuoso centrocampista Andrea Pirlo, reduce da un’eccellente stagione in prestito alla Reggina. Tornato all’Inter, tutto sembra apparecchiato per la sua permanenza e la definitiva consacrazione. Invece, dopo sei mesi caratterizzati da uno scarso impiego e dalla difficoltà a ritagliarsi un ruolo definito nello scacchiere nerazzurro, il futuro Maestro viene prestato al Brescia, squadra in cui sarà protagonista e verrà ricordato per l’assist illuminante a Baggio al Delle Alpi contro la Juventus.
Nonostante si intravedano nel ragazzo lampi di classe purissima, il matrimonio con l’Inter non s’ha da fare. Al suo ritorno dal prestito il biscione decide di cederlo al Milan per 35 miliardi di lire più il cartellino di Brnčić. Il resto è storia. Pirlo diventerà in rossonero uno dei centrocampisti più forti di sempre, vincendo la Champions League e laureandosi Campione del Mondo nel 2006.
Nell’estate del 2002 l’allenatore dell’Inter, l’argentino Héctor Cúper, chiede alla società di acquistare un terzino sinistro di qualità. Il suo desiderio è quello di ingaggiare Coco, promettente laterale difensivo del Milan reduce dai mondiali nippo-coreani giocati da titolare. In cambio, l’amministratore delegato rossonero Adriano Galliani chiede all’Inter Clarence Seedorf, poliedrico centrocampista olandese spesso relegato da Cuper al ruolo di esterno destro. Se errare è umano, perseverare è diabolico. A un solo un anno di distanza dalla cessione di Pirlo, con questo scambio i dirigenti dell’Inter compiono un altro sciagurato errore di valutazione. Coco si rivelerà in nerazzurro un calciatore di medio livello, Seedorf al contrario diventerà un fuoriclasse assoluto che farà le fortune del Milan.
Campioni in altre squadre, meteore in nerazzurro
Nel calcio il termine “meteore” raggruppa tutti quei calciatori che hanno avuto una stagione sorprendentemente positiva ma che poi, nel lungo periodo, finiscono per deludere le aspettative create. Tra la metà degli anni Novanta e i primi anni Duemila è stata proprio l’Inter ad avere avuto in rosa il numero più alto di giocatori meteore, fortissimi con le precedenti maglie ma che, una volta acquistati dai nerazzurri, non hanno saputo replicare le stesse prestazioni. Un fattore che senza dubbio ha inciso sul numero di titoli ottenuti dalla squadra in quegli anni.
Ci sono innanzitutto quei giocatori che hanno vinto tanto con altri club, ma che non hanno fatto altrettanto in nerazzurro. Tra i più noti Baggio e Panucci, Peruzzi e Jugović. Per la categoria talenti che hanno trovato le porte chiuse all’Inter ma che sono diventati grandi campioni in altri club, ci sono nomi altisonanti come Cannavaro, Mutu e i già citati Pirlo e Seedorf.
Infine, c’è una lunga lista di calciatori stranieri, talvolta dai nomi esotici, che hanno indossato la maglia nerazzurra senza mai lasciare, nel migliore dei casi, alcun ricordo. Tra questi Vampeta, Hakan Şükür, Šimić, Almeyda e Van der Meyde. Acquisti sbagliati che spesso hanno costretto la dirigenza interista a rimodellare la squadra l’anno successivo.
L’addio all’Inter del Fenomeno
L’addio a Ronaldo il Fenomeno è stato sicuramente uno dei momenti più amari della prima parte della gestione Moratti. Metafora di quello che sarebbe potuto essere, ma che invece non è stato.
Dopo un primo anno da campionissimo in cui Ronaldo dimostra di essere uno dei giocatori più forti del pianeta, il ginocchio del brasiliano cede il 21 novembre 1999, durante una sfida contro il Lecce, per avere poi una tragica ricaduta il 12 aprile del 2000, durante la finale di Coppa Italia. Da quel momento in poi, per l’attaccante carioca inizia un calvario interminabile, con ulteriori ricadute che fanno slittare continuamente il suo ritorno in campo.
La luce in fondo al tunnel comincia a intravedersi nella stagione 2001-2002, quando Ronaldo riesce finalmente a tornare in campo per dare il proprio apporto a un’Inter lanciatissima verso il primo scudetto dell’era Moratti. L’epilogo, però, sarà il più amaro di tutti: all’ultima giornata di campionato l’Inter cede il passo ai rivali della Juventus, perdendo a Roma contro la Lazio per 4-2. L’immagine che resta negli occhi di tutti i tifosi interisti è quella del Fenomeno in lacrime a fine partita.
Gli strascichi lasciati dall’amaro finale di stagione sono enormi. La tensione tra Ronaldo, nel frattempo fresco campione del Mondo con il Brasile, e l’hombre vertical Héctor Cúper diventa insostenibile, tanto da spingere il brasiliano a recarsi direttamente da Massimo Moratti per trovare una soluzione.
“O me o lui.” Sono sostanzialmente queste le parole dette quel giorno dal Fenomeno al suo presidente. Ancora una volta, dunque, Moratti si trova a scegliere tra un suo campione e l’allenatore in carica. E ancora una volta, come in passato con Roberto Carlos, la scelta ricade sul mister. Dopo essersi tutelato con l’acquisto di Hernàn Crespo dalla Lazio, Moratti cede Ronaldo al Real Madrid durante l’ultimo giorno di mercato. Probabilmente la cessione più dolorosa nella storia recente del tifo interista.
Il brasiliano sicuramente avrebbe ancora qualcosa da dare, tanto che vincerà nuovamente il Pallone d’oro nel 2002. La stagione successiva sarà invece per l’Inter l’ennesima in cui i proclami estivi non si tradurranno in successi sul campo.
La fine del primo ciclo dell’Inter di Moratti
Il primo ciclo di Moratti all’Inter si chiuderà il 30 gennaio 2004, con il ruolo di presidente operativo affidato all’ex capitano Giacinto Facchetti. Dopo questo momentaneo periodo di pausa in cui però mantenne sempre la proprietà del club, Moratti tornerà alla guida dell’Inter nel 2006, dopo la morte della storica bandiera nerazzurra. Al suo rientro, riuscirà finalmente a fare le scelte giuste per riportare l’Inter alla vittoria, traducendo sul campo ciò che per anni era stato soltanto in potenza.
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