Justin Fashanu, il suicidio del primo calciatore gay dichiarato

Justin Fashanu - Puntero

La mattina del 3 maggio 1998 a Shoreditch, un quartiere situato nell’East End di Londra, il corpo esanime di un uomo viene rinvenuto in un garage semi-abbandonato. Dalla ricostruzione degli inquirenti emerge che l’uomo ha forzato la serratura del garage, ha afferrato un cavo elettrico e lo ha utilizzato per impiccarsi. Ma perché si è tolto la vita? Per comprendere le motivazioni del gesto estremo bisogna innanzitutto dare un nome a questa persona: Justin Fashanu.

 

Gli inizi

Justinus Soni Fashanu nasce a Londra il 19 febbraio 1961. La madre proviene dalla Guyana mentre il padre è nigeriano e di professione fa l’avvocato. I genitori si separano e Justin e suo fratello John sono costretti a passare l’infanzia nell’orfanotrofio Dr Barnardo’s Home: per i due bambini trascorrere i primi anni di vita in una casa-alloggio non è assolutamente una passeggiata. La situazione sembra migliorare quando Justin e John vengono adottati da Alf e Betty Jackson, una coppia proveniente da Attleborough, paese situato nella contea di Norfolk. Nella loro vita all’interno della middle class inglese conoscono il calcio, di cui entrambi si innamorano fin da piccoli. Il fratello John approda al Norwich City a sedici anni e dopo una discreta carriera, che lo porterà anche a vestire la maglia della nazionale inglese, appenderà gli scarpini al chiodo nel 1995, chiudendo la sua avventura nel mondo del calcio all’Aston Villa.

Anche Justin, da adolescente, inizia a giocare per il Norwich City. Fin da subito è chiaro che il ragazzo è talentuoso e secondo molti addetti ai lavori potrà avere una carriera importante: ha un buon rapporto con il gol, tant’è che dal 1978 al 1981 ne mette a segno 35 in 90 presenze. Le sue reti però non bastano a salvare i Canaries e la stagione 1979-80 si conclude con una retrocessione in Second Division. Un verdetto che non mina la bontà del suo campionato: si guadagna un posto nell’Under 21 dei Tre Leoni – con cui giocherà 11 partite con 5 gol tra il 1980 e il 1982 – e vince il premio assegnato dalla BBC per il Gol dell’anno, grazie a uno strepitoso mancino da fuori area al Carrow Road contro il Liverpool di Bob Paisley.

Per non disperderne il valore, a metà della stagione 1980-81 il Norwich decide di prestare il ragazzo agli australiani dell’Adelaide City, da cui si congeda con un bottino di 5 reti in 11 presenze. Ormai è un dato di fatto, Justin sembra essere un giocatore alquanto promettente, tanto che nel 1981 il blasonato Nottingham Forrest di Brian Clough lo acquista per la non modica cifra di un milione di sterline, primo calciatore nero a essere acquistato per una somma così alta. La sua carriera ora è sul trampolino di lancio, cosa potrà mai andare storto? Tutto.

Il meraviglioso gol al Liverpool, valso il premio di Gol dell’anno

 

Incompreso a Nottingham

Nella città di Robin Hood, Justin incontra moltissime difficoltà. I primi problemi riguardano il rettangolo verde: gli viene affidata la maglia numero 9 e su di lui vengono riposte una serie di aspettative di non facile gestione per un ragazzo di soli vent’anni, con inevitabili debolezze e paure.

Se in campo Justin non riesce a inserirsi nel gioco di mister Clough, fatto di passaggi e accelerazioni, fuori dal rettangolo verde la situazione sembra essere ancora più in bilico. Justin porta dentro di sé un segreto: è omosessuale. Se il buonsenso ci dice che non dovrebbe essere un problema, la realtà della società inglese di fine anni ’80 va in tutt’altra direzione: Nottingham, come gran parte dell’Inghilterra, non è ancora pronta a parlare di diritti civili. Così Justin di giorno esce accompagnato dalla fidanzata ma, non appena cala il sole, si reca in locali gay. Oro colato per i tabloid inglesi, da sempre attenti agli aspetti scandalistici: un calciatore omosessuale e per di più nero, niente di più drammatico per l’inglese medio dell’epoca.

Sembra incredibile che un allenatore leggendario come Brian Clough, capace di conquistare due Coppe dei Campioni in due anni con il Nottingham Forrest, non capisca il giovane Justin ma, purtroppo, spesso talento e qualità personali non coincidono: non vogliamo intendere che Clough sia un mostro, è il prodotto della società inglese degli anni ‘50. Anziché proteggere e coccolare il suo giocatore, lo espone al ludibrio innanzi ai suoi compagni di squadra, deridendolo per le sue frequentazioni in locali gay con termini decisamente poco urbani. Parole pesanti e ingiustificate, quelle dell’allenatore, che tempo dopo, nella propria autobiografia, si rivelerà molto pentito del comportamento tenuto nei confronti del ragazzo.

Justin è un ragazzo fragile e sensibile, è pervaso dai sensi di colpa e dai dubbi sulla sua sessualità e tutta la sua carriera ne risente. Presto finisce ai margini della squadra. Non è più ben accetto, senza contare il condizionamento subito dalle tifoserie e gli hooligans avversari, che lo mettono nel mirino di pesanti insulti.

La situazione diventa insostenibile, il giovane prova più volte a convincere la squadra e il mister di essere eterosessuale. Ma, nonostante l’impegno, non ci riesce. L’avventura al Nottingham Forrest si chiude nel peggiore dei modi. 32 presenze e soltanto 3 reti, un vero fallimento.

 

Emarginazione e coming out

Lasciata la città di Robin Hood, Justin si sposta nel sud dell’Inghilterra, più precisamente a Southampton: la sua avventura in prestito nella città da cui partì il Titanic non è degna di nota, con 9 presenze e 3 gol. Il suo cartellino viene poi rilevato dal Notts County, la seconda squadra di Nottingham. In due stagioni e mezzo realizza 20 goal in 64 presenze, un bottino tutto sommato dignitoso visto che nel 1983 deve convivere con un infortunio fastidioso, una ferita al ginocchio che gli darà problemi anche in seguito, limitandone le prestazioni ormai già minate dal contorno extra-sportivo. L’infortunio porta la sua squadra a scaricarlo: passa al Brighton ma il ragazzo è l’ombra di se stesso, quindi nel 1985 decide di fermarsi e di interrompere la carriera da calciatore, cosciente della propria situazione fisica e mentale.

Per cercare di rimettere ordine nella sua vita, Fashanu vola negli Stati Uniti, dove recupera energie mentali e fisiche. Cura il ginocchio e decide di tornare a giocare a calcio a tre anni dall’ultima volta, dapprima con la maglia dei Los Angeles Heat, quindi con quella dei canadesi degli Edmonton Brickmen, preludio al tentativo di tornare protagonista in patria. Seppur per poche apparizioni, veste la maglia di Manchester City, West Ham e Leyton Orient, senza particolare successo. È costretto quindi a ripiegare su ingaggi lontani dai riflettori, accettando di diventare allenatore-giocatore dei dilettanti del Southall: a soli 29 anni, la sua carriera è sull’orlo del baratro.

Ma il 1990 è l’anno in cui Fashanu prova a riprendere in mano la propria vita, diventando il primo calciatore della storia a fare coming out, nella speranza che finalmente possa essere accettato per quello che è. Il tabloid che pubblica la sua intervista sceglie un titolo accattivante: “La star da 1 milione di sterline: sono gay”. Justin vuole urlare al mondo chi è davvero e che non c’è niente di male nell’esserlo. Pensa di poter cambiare le cose. Ma purtroppo questa non è una storia a lieto fine: Justin Fashanu finisce ancora di più ai margini, la gente non accetta che un calciatore, per giunta nero, sia gay. Non lo accetta nemmeno la comunità nera, ritenendo il ragazzo un disonore per l’immagine di tutti.

Perfino il fratello John, in quel momento al Wimbledon, l’unico supporto durante l’infanzia travagliata, lo rinnega e prende le distanze da lui. Justin Fashanu è agli occhi della gente una persona da demonizzare. È solo contro tutti e la fine sembra essere vicina. Si prodiga nella ricerca disperata di qualche squadra disposta ad accoglierlo, partecipa a una serie infinita di provini ma senza successo: il mondo del calcio che conta ha deciso che per lui non c’è posto. Dopo qualche esperienza tra i dilettanti inglesi, il Canada, la Scozia, la Svezia, gli USA e la Nuova Zelanda, la sua carriera calcistica termina a fine 1997, all’età di trentasei anni.

Justin Fashanu - Puntero

Fashanu esulta per il gol al 90′ che vale il successo in campionato del Notts County sull’Arsenal per 1-0, stagione 1982-83

 

Il suicidio

Justin torna negli Stati Uniti per allenare il Maryland Mania Club ma ormai la sua parabola discendente è vicinissima al punto di non ritorno: nel marzo del 1998 Ashton Woods, un ragazzo di diciassette anni, denuncia Justin accusandolo di stupro. Stando alle dichiarazioni fatte dal suo accusatore, Justin, dopo una serata a base di alcol e marijuana, avrebbe narcotizzato il giovane. Il diciassettenne dichiara che, una volta ripresa coscienza il mattino successivo, si sarebbe reso conto che il calciatore gli stava praticando del sesso orale. La polizia lo convoca e Fashanu si dimostra fin da subito pronto a collaborare. Nel 1998 in Maryland vigono ancora leggi alquanto datate: l’omosessualità è considerata un reato e perfino i rapporti orali, anche all’interno del matrimonio. Justin si sente in trappola, così decide di tornare in Gran Bretagna.

Per un paio di settimane riesce a vivere da fuggitivo utilizzando il cognome materno. È pervaso dai sensi di colpa e dalla paura, vorrebbe preparare la linea difensiva. Nessuno però sembra intenzionato ad aiutarlo. È solo, ancora una volta. Il 2 maggio del 1998 si reca al Chariots Roman, una sauna nei pressi di Liverpool Street, quindi la sera stessa chiama il fratello. Gli racconta tutto, gli dice che è solo ma John non sembra desideroso di aiutarlo.

Quando la polizia trova il corpo senza vita di Justin, rinviene anche un biglietto.

Desidero dichiarare che non ho mai e poi mai stuprato quel giovane. Sì, abbiamo avuto un rapporto basato sul consenso reciproco, dopodiché la mattina lui mi ha chiesto denaro. Quando io ho risposto no, mi ha detto: Aspetta e vedrai […] Sperò che il Gesù che amo mi accolga: troverò la pace, infine.

Il suicidio dell’ex calciatore scatena le più reazioni più disparate. Qualche tempo dopo la polizia, ricostruita la vicenda del possibile stupro, arriva alla conclusione che nel racconto del diciassettenne ci sono parecchi buchi e scagiona Justin da tutte le accuse. Come tante storie drammatiche di questa portata, il riconoscimento e la riabilitazione di Justin come calciatore e uomo arriva molti, troppi anni dopo. Nel 2020 viene inserito nella Hall of fame del calcio inglese: un riconoscimento tardivo, ma dovuto. per un calciatore che ha tentato di cambiare le cose, ottenendo solo porte in faccia.

 


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