Secondo il Vocabolario Treccani, la parola sfiga è un “neologismo del linguaggio giovanile, usato come sinonimo di sfortuna, iella”. Come ben saprete, l’Italia ha collezionato a Parigi un’innumerevole serie di quarti posti che, a prescindere dalle modalità con cui sono maturati, presentano tutti un minimo comune denominatore: la mancanza di c*lo. O almeno questo è ciò che è passato dai media mainstream del nostro Paese.
Sicuramente nel corso di edizioni passate delle Olimpiadi altre nazioni si sono ritrovate nella nostra stessa situazione, se non peggiore, ma noi siamo così: quando decidiamo di fare casino lo facciamo bene e allora, in men che non si dica, ci siamo autoproclamati nazione più sfortunata del mondo. E in fondo ci piace esserlo. Avvertiamo fortissimo il bisogno di giustificare il nostro mancato successo puntando il dito verso un fattore esterno. Questa volta, fatalmente, è toccato alla sfiga.
Tutta colpa di Tamberi
Ma dove nasce esattamente la sfortuna dei nostri atleti? Dalle mani, o meglio, dall’anulare sinistro di Gianmarco Tamberi. Il portabandiera azzurro ha ben pensato di far affondare oltre alla suo anello anche una nazione intera. Secondo una credenza popolare italiana, infatti, perdere la fede nuziale è sinonimo di sfortuna, e allora ecco qua, il gioco è fatto.
Lo stesso Tamberi ha poi esposto tramite un post sui social tutto il suo dispiacere per l’accaduto, scrivendo una propria lettera d’amore nei confronti della moglie, la quale però nel frattempo si era già unita all’ira funesta della fede. Insieme hanno notevolmente acciaccato il povero Gimbo alla vigilia della competizione e infatti è arrivata una diagnosi atroce per un esser umano che deve saltare molto in alto: calcoli renali. Morale della storia? Non sposatevi.
Nadia, tu ci hai capito qualcosa?
Adesso è finalmente giunto il tempo di analizzare i quarti posti più clamorosi di questa spedizione. Partiamo da Nadia Battocletti, medaglia di legno nei 5000 metri femminili di atletica. Eroica, stoica, magnifica, esemplare, davvero splendida. Sì, tutto molto bello, ma come ha fatto ad arrivare quarta? La gara di per sé è stata abbastanza regolare e le chance di podio erano ridotte all’osso, ma la nostra atleta grazie a uno sprint finale si è portata a ridosso dei metalli. Pochi minuti dopo è stata data notizia della squalifica di una collega giunta davanti a lei, la quale si era un attimo dimenticata di essere su una pista di atletica e pensava di trovarsi insieme a un’avversaria all’interno di un tatami e quindi ha spinto un bel po’, un po’ troppo, ecco.
L’atleta squalificata, ovviamente, presenta ricorso e gli viene data ragione, Nadia è costretta ad accontentarsi del quarto posto dopo aver assaporato il bronzo solamente per pochissimo tempo. Cosa ha imparato Nadia da questa storia? Spintonare tutti è cosa buona e giusta.
Un finale emozionante, con la manovra costata la squalifica – poi revocata – a Kipyegon e l’arrivo in volata, con la rimonta di una straordinaria Nadia Battocletti
Per il rotto della cuffia
Lasciamo la pista d’atletica per tuffarci in vasca, quella che dopo la finale dei 100 metri rana femminile stava per esondare a causa delle lacrime (di gioia) di Benedetta Pilato. La nostra nuotatrice ha concluso la finale di specialità con il quarto tempo, precisamente in 1’5’’60. Ma qual è stato il tempo della terza classificata? 1’5’’59. Potremmo già concludere qui la nostra narrazione, trovare le parole giuste inoltre non è facile, ma per fortuna la nostra Benedetta ne ha trovate alcune a dir poco perfette: “Questo è il giorno più bello della mia vita, sono contentissima”.
Una dichiarazione che ci ricorda come vincere non è tutto e che, in men che non si dica, si è trasformata in un vero e proprio urlo generazionale. Purtroppo il messaggio non è stato da tutti ben recepito. L’ex stella della scherma Elisa Di Francisca si è definita incredula dopo aver ascoltato Pilato, risultando poi offensiva nei confronti della giovane nuotatrice. Un siparietto che ha spopolato sui social, dove l’opinione pubblica si è divisa tra indignazione e appoggio a Pilato. Cosa porta via Benedetta da Parigi? Sicuramente non una medaglia, la consapevolezza che tanto benedetta poi non lo sia e che, per toccare il muro d’arrivo prima della sua avversaria, probabilmente bastava non farsi la manicure.
A lungo seconda, terza fino quasi alla fine della volata, quindi quarto posto di un centesimo: una vera beffa per la nostra Benedetta Pilato
Two is megl’ che one
Chi dopo l’avventura della Pilato non ha voglia di ascoltare una nuova storia di vasca? Gli italiani probabilmente. Ma ve la stiamo per raccontare lo stesso. Questa volta, la maledizione di Tamberi ha colpito Simona Quadarella, nuotatrice che, per non farsi mancare nulla, ha ottenuto il quarto posto in due diverse distanze, gli 800 e i 1500 stile libero.
Quadarella arrivava a Parigi con elevate possibilità di medaglia, l’intera nazione era consapevole di ciò, ma torna a casa a mani vuote. Chi altro lo ha fatto? Tamberi, visto che Quadarella, colei che avrebbe dovuto effettuare le operazioni di recupero della fede sul fondo della Senna, non ha voluto rischiare di arrivare quarta anche lì facendosi anticipare da chissà quale creatura presente nelle acque parigine.
Medaglia di legno nella Senna
E a proposito di nuoto e di cose metalliche perse nella Senna, nella 10 chilometri di fondo i nostri si sono superati. Perché sembrava davvero una medaglia alla portata, soprattutto per Gregorio Paltrinieri, a caccia del terzo podio ai Giochi parigini. E accanto a lui nutriva ottime speranze anche Domenico Acerenza. I nostri due alfieri del fondo hanno tenuto a lungo il passo dei primi, tanto che a un certo punto pareva che la lotta per una medaglia fosse proprio tra loro due, con tanto di commenti entusiastici da parte dei cronisti di Eurosport.
Purtroppo non si erano avveduti di una cosa: Paltrinieri era crollato e a fianco di Acerenza era risalito l’ungherese Dávid Betlehem. Quarto posto, una medaglia di legno di primissima qualità: volata all’ultima bracciata, un testa a testa che ha visto i due nuotatori ridursi a una corsa a chi avrebbe toccato prima dopo 10 chilometri e quasi due ore di fatica. Il margine? Appena 6 decimi di secondo. Il tutto con i commentatori che, sgomenti, credevano di poter festeggiare almeno un podio e invece si sono trovati a constatare che era arrivato il ventesimo colpo di sfiga dei Giochi di Parigi.
Questioni di Stato
Abbandoniamo l’acqua per tornare sulla terraferma, dove ad attenderci troviamo Odette Giuffrida che, dal canto suo, sta a sua volta attendendo una decisione a lei favorevole da parte della direttrice di gara Ioana Babiuc. L’italiana ha partecipato alle Olimpiadi di Parigi nella specialità del judo, categoria -52 kg e, se siamo qui a parlare di lei è perché ovviamente ha concluso la sua esperienza con un bel quarto posto. La judoka giunge a Parigi con già due medaglie olimpiche nel suo bagaglio, ottenute a Rio e Tokyo, ma nella capitale francese il suo obiettivo è solo uno: vincere l’oro che ancora le manca. Un obiettivo alla vigilia abbastanza abbordabile, se solo poi quest’ultimo non fosse stato letteralmente distrutto dalla direttrice di gara con un arbitraggio sia in semifinale e sia nella finalina per il bronzo totalmente unilaterale a favore delle avversarie della nostra connazionale.
L’Italia e Odette da giorni si stanno chiedendo il perché di un atteggiamento simile, ma forse la risposta può esserci fornita solo dalla stessa Odette. Il suo quarto posto ha fatto davvero molto scalpore, a tal punto che in difesa dell’atleta è intervenuto addirittura il presidente del CONI Giovanni Malagò, che nel suo intervento non ha detto nulla che non sapessimo già, però ci teneva a farsi valere (e vedere, soprattutto). Odette invece si è limitata a sottolineare come il risultato maturato non era quello sperato e che meritava, sostenendo che sicuramente nell’arbitraggio ha influito. Ottimo, brava Odette, sangue freddo, non possiamo picchiare tutti.
Cosa si porta a casa Odette da questa Olimpiade? Un altro quarto posto nella prova a squadre. Perfetto.
Un carpiato in faccia alla sfortuna
Siamo alla Bercy Arena, struttura scelta per lo svolgimento delle competizioni relative alla ginnastica artistica. La Bercy Arena è stato il teatro di una delle imprese più incredibili di queste Olimpiadi, la conquista dell’argento a squadre dell’Italia. Una delle protagoniste dell’impresa è stata Alice D’Amato, qualificatasi poi per la finale all around, dove, come di consueto, si sfidano le ginnaste che hanno ottenuto i migliori punteggi generali nelle fasi di qualificazione. Quanti sono 132 millesimi di punto? Abbastanza per consegnare ad Alice e all’intera nazione un ulteriore quarto posto. Un volteggio di qua, una capriola di lì, e chi c’è sul podio? Non tu, cara Alice.
Ma questa è una narrazione, per una volta, dal lieto fine, con la ginnasta italiana capace di ottenere poi l’oro in una delle finali di specialità, la trave. Perché abbiamo scelto questo quarto posto per concludere l’articolo? Perché la sfortuna forse esiste, ma anche la volontà di superare sé stessi e di reagire. Come ha fatto D’Amato.
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