Jan Boersma, eroe olimpico dell’isola a forma di reggiseno

Jan Boersma - Puntero

Sebbene non sia certo il nome più noto del mondo dello sport, Jan Boersma ha un posto nella storia. È riuscito a guadagnarselo 36 anni fa, entrando negli annali alla maniera dei pionieri, di quelli che aprono un varco per tanti altri. Ma quel pertugio si è chiuso e oggi Boersma è destinato a sostenere questo onore da solo. Per sempre.

 

Un giorno a Curaçao

Quando dici Curaçao, la prima cosa che ti viene in mente è il liquore a base di scorza di laraha, un’arancia amara. Più che per il sapore, viene in mente per quell’inconfondibile e rara colorazione blu. Ricordo che da bambino credevo che il nome fosse riconducibile all’assonanza con “corazon” – che poi, a pensarci bene, perché mai avrebbe senso l’associazione tra il cuore e il colore blu? – e non ad un risvolto geografico. E invece Curaçao è anche un’isola a nord del Venezuela, quella in cui cresce l’arancia laraha. Un’isola che con l’Italia ha qualcosa in comune, la forma riconducibile a un capo d’abbigliamento: se noi diciamo di vivere nello Stivale, per gli abitanti del luogo l’isola ha la forma di un reggiseno.

Sarà per la musicalità caraibica del nome, per le acque cristalline e la splendida barriera corallina – purtroppo messa a repentaglio da un turismo indiscriminato e selvaggio – o per i colori delle abitazioni che paiono usciti da un libro di favole per bambini, sta di fatto che Curaçao ha proprio l’aria del posto in cui tutti vanno solo per svagarsi: nessuno sembra lavorare mai, neanche quando nominalmente lo sta facendo, tra attività nautiche e gestione di chiringuitos. Ad agevolare questa sensazione c’è il fatto che si tratta di una meta particolarmente ambita, quantomeno limitatamente al Sudamerica, per praticare kitesurf, windsurf e navigazione velistica in generale. Insomma, a Curaçao si va tendenzialmente per divertirsi e rilassarsi.

Dell’assonanza con la parola “cuore” abbiamo già accennato, d’altronde c’è chi ritiene che il nome dell’isola derivi proprio dal portoghese “coraçao”, sebbene con il Portogallo e la relativa lingua non vi siano particolari punti di contatto. Già, perché geograficamente Curaçao fa parte del Sudamerica e la sua popolazione è di origine creola – al punto che la lingua più parlata tra i nativi è il papiamento, ossia una mescolanza di idiomi generata dalla migrazione degli schiavi di ebrei sefarditi provenienti da Capo Verde – ma in realtà si tratta di una delle nazioni costitutive del Regno dei Paesi Bassi, nel trittico noto come ABC, dalle iniziali dei nomi degli stati in questione (Aruba, Bonaire e Curaçao).

Scoperta dagli spagnoli nel 1499, l’isola venne occupata nel diciassettesimo secolo dall’Olanda. Non per fini nobili, si intende: se per quasi 150 anni era stata sostanzialmente abbandonata a se stessa, gli olandesi ne riconobbero il potenziale per via della posizione, organizzando una consistente tratta di schiavi dal porto di Willemstad – ancora oggi capitale dello Stato – con tanto di area mercatale appositamente costruita e dismessa solo nel 1863, oltre due secoli dopo, grazie all’abolizione della schiavitù da parte del Regno dei Paesi Bassi. Nel secolo scorso Curaçao ha rivestito un ruolo nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi fino alla più recente conversione al turismo, passata attraverso una rivolta nel 1969 con cui i popoli nativi chiedevano maggior considerazione nelle scelte politiche e di indirizzo sull’uso della propria terra. Solo dal 2010 il Pais Kòrsou è divenuto uno Stato vero e proprio. Ma la nostra storia risale a diversi anni prima.

Jan Boersma - Puntero

Uno scorcio aereo di Willemstad, capitale di Curaçao

 

La vela nel DNA

I Boersma non sono esattamente il prototipo della famiglia in difficoltà economiche. Jan nasce nei Paesi Bassi nel 1968, vivendo nell’agio e frequentando un ambiente di medio-alta borghesia. I Boersma hanno una barca a vela che non mancano di utilizzare assiduamente: in quei fine settimana in cui non sono sulla loro imbarcazione, sono su quella di amici, tanto che è proprio il figlio a definirli “fanatici della vela”. Un passatempo rilassante e uno status symbol ma non esattamente un hobby ambitissimo per un ragazzino, tendenzialmente più affascinato dall’azione che dall’inerte sfoggio delle ricchezze familiari. Ambizioni giovanili e DNA familiare trovano una comune valvola di sfogo qualche anno più tardi, quando i Boersma decidono di trasferirsi in Giamaica.

È qui che il padre acquista la sua prima tavola da windsurf e il giovane Jan si innamora immediatamente di questa disciplina, che unisce un profilo più cool per un adolescente a quell’amore per la navigazione in mezzo al mare e per il trasporto ad opera del vento che soffia su una vela, sebbene di dimensioni inferiori e materiali di tutt’altro genere. È un bellissimo passatempo, ma nulla di più. Per ora. Perché diventi qualcosa di grande occorrono degli incastri in un biennio cruciale per Jan Boersma, quello tra il 1983 e il 1984.

Nel 1983, quando il ragazzo ha 15 anni, la famiglia si trasferisce di nuovo. Ad accogliere questi abbienti signori olandesi è una colonia del Regno, per l’appunto Curaçao. Le giornate del giovane Jan seguono il canovaccio tipico di un’isola a forte espansione turistica: il mare, una tavola sormontata da una vela, le onde e il vento a guidare le gesta di molti avventori ma anche di cittadini olandesi stabilitisi in quel lembo di terra. Jan è piuttosto bravo, potrebbe ambire a un livello più alto, all’agonismo. E la spinta arriva dall’evento che più di qualunque altro sa catturare i sogni di un ragazzo, le Olimpiadi: nel 1984, ai Giochi di Los Angeles, fa il suo esordio proprio il windsurf, inizialmente solo maschile nella classe Windglider.

Jan, sedicenne, guarda l’evento in tv e cerca di carpire i segreti dei campioni per migliorare ulteriormente. Si trova anche a tifare e non rimarrà deluso: a portare a casa il primo oro olimpico nella storia di questo sport – e anche piuttosto nettamente – è un olandese, Stephan van den Berg. Sarà uno dei cinque ori della spedizione del Regno, ad interrompere un digiuno lungo dodici anni senza che nessun atleta olandese finisse sul gradino più alto del podio. Per van den Berg è l’inizio della gloria, viene nominato atleta olandese dell’anno, diventa famoso, anche il windsurf riesce finalmente a spartirsi una fetta di torta della notorietà sportiva. E per Jan Boersma è l’inizio del sogno.

 

Il windsurf e un movimento tutto da creare

Se da quanto detto sinora riteneste che nel 1984 fare windsurf a livello agonistico a Curaçao sia semplice, sappiate che vi state sbagliando di grosso. In primo luogo occorre dire che, al netto della recente espansione, negli sport acquatici Curaçao è la sorellastra sfortunata di Aruba e Bonaire, dove invece il movimento è più compatto e avviato. Agli occhi di un ragazzo, la burocrazia è un problema di poco conto, semplicemente Jan si fa regalare dal padre una tavola Windglider e inizia a esercitarsi.

Ma in realtà il problema c’è, eccome. Se è vero che Curaçao è un’isola ventosa e ideale per affinare la propria tecnica, per una carriera agonistica manca la cosa più importante: la federazione. Per visibilità e concorrenza, l’Olanda non può garantire un posto al ragazzo, men che mai alla luce del fatto che si sta allenando praticamente da autodidatta in un’isola che, seppur formalmente si tratti di un territorio del Regno, è situata a circa 8.000 chilometri dalla casa base. Per contro, come abbiamo detto, Curaçao non è uno stato indipendente e non lo sarà fino al 2010, conseguentemente non vanta una federazione autonoma.

A complicare ulteriormente la questione c’è il “caso Aruba”: nell’isola sorella si respira aria di indipendenza, tanto che il CIO approva la creazione di una federazione sportiva interna nel 1985, preludio a quanto avverrà l’anno dopo: il 1° gennaio 1986 il possedimento caraibico diventa membro autonomo del Regno dei Paesi Bassi, uscendo dall’egida di quello che all’epoca era l’insieme di municipalità e possedimenti caraibici del Regno: le Antille Olandesi.

Fino al 2010, infatti, i territori di Curaçao, Sint Maarten e Bonaire – che dal 10 ottobre 2010 compongono i Paesi Bassi Caraibici o Isole BES assieme a Sint Eustatius e Saba – sono centralizzati sotto il nome di Antille Olandesi, anche sportivamente: pur riconosciute dal CIO molto tardivamente, le Antille hanno partecipato a sette edizioni olimpiche – non consecutive, saltando Melbourne 1956 e Mosca 1980 – senza mai andare a medaglia. Come detto, tuttavia, il problema è legato alla disciplina del windsurf, dove non ci sono federazioni interne: per fortuna il padre di Boersma mette in campo conoscenze e investimenti e, rimboccandosi le maniche, rende possibile il sogno. Non solo creando una federazione ma anche ingaggiando un allenatore federale e istituendo raccolte fondi che permettessero alle Antille Olandesi di partecipare alle gare della PBA – antenata della PWA, la federazione mondiale del windsurf – e della ISAF, la federazione mondiale della vela.

La struttura c’è, adesso ci sono le fondamenta su cui costruire un sogno. E il sogno si chiama Seul 1988.

 

Portabandiera delle Antille e sogno coreano

Boersma ottiene i risultati sperati, è il miglior velista caraibico e, a poche settimane dai Giochi, arriva la conferma: può rappresentare le Antille Olandesi ai Giochi di Seul, i primi che vedranno tra i partecipanti anche Aruba. Su di lui ci sono le poche speranze di una nazione tutt’altro che avvezza a risultati di prestigio: sono appena tre gli atleti che prendono parte alle Olimpiadi e proprio Boersma è il portabandiera. Essendo l’unico rappresentante del suo Paese, nel villaggio olimpico velistico distaccato di Busan fa gruppo con altri atleti caraibici, tra cui la leggenda della vela Peter Holmberg, rappresentante delle Isole Vergini Americane. I due non lo sanno ancora ma finiranno per condividere un traguardo storico.

All’arrivo in Corea del Sud, Boersma parte con un grosso svantaggio: come spesso accade nel windsurf, cambia la classe di gara tra un’edizione e l’altra e, mentre nel 1984 le tappe si sono svolte su una Windglider, stavolta la classe di gara è la Division II. Ma Boersma ha sempre e solo corso le tappe di avvicinamento su una tavola vecchio modello, arrivando ai Giochi senza mai provare una Division II. Il suo unico alleato è il vento: come detto, Curaçao è molto ventosa, l’unica speranza è che lo diventi anche Busan, così da trasformare il campo di regata in un terreno a lui congeniale. Non è chiaro se le preghiere in papiamento abbiano aiutato ma di certo il fato assiste Boersma e il 20 settembre 1988, alla partenza della prima di otto regate previste per il cumulo dei punteggi per l’assegnazione dell’oro, il vento c’è.

Nonostante sia alle prime armi con la nuova tavola, Boersma non delude e si piazza al primo posto innanzi allo svizzero Jan Bonga e al neozelandese Bruce Kendall. Proprio quest’ultimo si rivela l’avversario da battere, perché nelle regate immediatamente successive, mentre l’alleanza tra Boersma e il vento viene meno, è lui il dominatore: altro terzo posto nella Race II, primo nella Race III, quinto nella Race IV. Anche al netto del fatto che la peggior prestazione delle otto regate è destinata ad essere scartata, Boersma appare lontano dalla vetta e in ritardo nella corsa alle medaglie. Il quinto giorno torna il vento, addirittura eccessivo, tanto che viene annullata l’intera giornata di regate. Una delusione per Jan, che vede il sogno allontanarsi.

Il vento era così forte e le condizioni erano così estreme che per motivi di sicurezza decisero di annullare una giornata di regate. Per me fu davvero un peccato: per come ero allenato, più le cose erano estreme, più chance avrei avuto.

Ma il giorno seguente, il 25 settembre, nella Race V mette di nuovo in fila tutti, compresi l’americano Mike Gebhardt, l’olandese Bart Verschoor e l’azzurro Francesco Wirz, avversari principali per una medaglia, visto che Kendall era ormai imprendibile. E se nel penultimo giorno di gara Boersma delude, andando incontro alla prestazione peggiore della settimana di regate – che, come da regolamento, non verrà conteggiata – i due rivali non ne approfittano. Il 27 settembre, ultimo giorno di gara, diventa una data storica per lo sport caraibico.

Al momento dello start il secondo posto in classifica, con un punteggio di 38,0 punti, è occupato da Wirz, seguito proprio da Boersma con 39,7 e da Gebhardt con 40,0. Potenzialmente in agguato per la zona medaglie anche Verschoor con 43,4 e il francese Robert Nagy con 44,7. Con una classifica così corta, anche un piazzamento può fare la differenza: la vittoria di regata vale 0 punti – vince l’atleta con il punteggio più basso – il secondo posto 3 punti, il terzo 5,7, il quarto 8, il quinto 10. Ad alimentare l’incertezza concorrono l’inserimento nei primi posti di tappa di concorrenti attardati in classifica generale e, al contrario, la scarsa applicazione di Kendall, forte del fatto di poter ancora scartare la peggior prestazione della competizione. A sparigliare le carte è ancora una volta l’amico fedele di Boersma, il vento.

L’antillano è secondo dietro l’austriaco Thomas Wallner, un piazzamento che gli permette di tenere dietro i rivali e addirittura di sopravanzare Wirz, comunque protagonista di un deleterio 19° posto che, non potendo essere scartato a causa del ritiro in Race V, ne determinerà un tracollo fino al sesto posto finale. Un atleta venuto dal nulla per un movimento nazionale nato dal nulla: Boersma è medaglia d’argento, primo atleta medagliato nella storia delle Antille Olandesi. Lo stesso giorno, anche il nuovo amico Holmberg porta a casa l’argento, permettendo anche alle Isole Vergini Americane di raggiungere lo stesso primo, storico traguardo in una settimana di gare veliche resa particolarmente curiosa dal disturbo di una nave nel campo di regata durante la prova di coppia della categoria Flying Dutchman. E se è vero che Boersma è già nella storia, ancora non sa che vi resterà in maniera ancora più indelebile.

Jan Boersma - Puntero

Il pass di un giovanissimo Jan Boersma per i Giochi di Seul

 

Alfiere unico

Boersma non sarà ritenuto il più grande atleta della storia delle Antille Olandesi, anche e soprattutto per la presenza di un buon velocista come Churandy Martina, che in ben due occasioni sarà portabandiera e sfiorerà il podio a Pechino 2008 – nei 100 metri con un 9″93 che vale il quarto posto e nei 200 metri, dove arriva secondo ma viene squalificato per invasione di corsia – prima di optare per la nazionalità olandese. Per Jan però le Olimpiadi e la medaglia hanno rappresentato l’inizio di un percorso inatteso nel professionismo velistico:

Ringrazio mio padre e tutti coloro che mi hanno aiutato e sostenuto per far diventare realtà il mio sogno. La soddisfazione di essere arrivato a questo evento da sfavorito e di tornare a casa con una medaglia è indescrivibile, mi ha fatto credere in me stesso.

La sua carriera non ha più garantito soddisfazioni di tale portata fino al definitivo ritiro. Ma anche dopo di esso, la sua Curaçao è riuscita a dargli un nuovo posto indelebile nella storia. Saliamo sulla macchina del tempo e atterriamo nel 2010: si sono disputate altre cinque edizioni dei Giochi e il già menzionato quarto posto di Martina, nativo proprio di Willemstad, è il miglior risultato post-Seul. Il 1° gennaio 2010 Curaçao e Sint Maarten, sulla falsariga di quanto fatto 24 anni prima da Aruba, diventano membri autonomi del Regno dei Paesi Bassi, seguiti nove mesi dopo dalle Isole BES. È la fine delle Antille Olandesi come istituzione territoriale e, conseguentemente, sportiva, tant’è che il comitato olimpico nazionale viene sciolto definitivamente nel 2011.

Di conseguenza Jan Boersma è e resterà per sempre l’unico atleta delle Antille Olandesi ad essersi assicurato una medaglia olimpica, un onore non condiviso con nessun’altra federazione nazionale.

Oggi Boersma è ancora considerato un grande esponente del movimento velistico, tanto da essere uno dei più attivi promotori dell’inserimento del kitesurf nel programma olimpico, anche al fine di sostenere una delle attività più in voga nella “sua” Curaçao, sebbene sia più diffusa nella Sint Joris Baai che non nella capitale Willemstad, meta preferita da chi pratica windsurf. Nonostante ciò, l’eroe olimpico ha lasciato l’isola a forma di reggiseno e la sua capitale – divenuta patrimonio dell’umanità dell’UNESCO nel 1997 – per intraprendere una carriera diversa, anch’essa per cuori forti. Oggi infatti vive in Oregon ed è un pilota di aerei di linea ma non ha dimenticato l’amore per il mare, il vento e le onde: nel tempo libero, con la moglie Rose e i tre figli pratica ancora windsurf e kitesurf nelle acque americane.

 


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Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.