Imane Khelif non ha colpe. Eppure è lei al centro delle polemiche. Dopo l’incontro vinto con Angela Carini non ha parlato, eppure chiunque, sui social come al bar, sembra avere un’opinione solidissima su chi è la pugile algerina, pare conoscere i suoi pensieri e sapere cosa prova da quando, dopo il ritiro dell’avversaria, la sua identità è diventata teatro di uno scontro ideologico che nulla ha a che vedere con lo sport.
Già, lo sport. In mezzo a veleni e fake news ripetute fino alla nausea che sanno tanto di propaganda, abbiamo quasi dimenticato che Khelif è un’atleta. Una partecipante alle Olimpiadi che è a Parigi perché ne ha diritto. Iscritta al torneo di pugilato femminile perché è nata donna e tale si sente. Questi sono i fatti. È un essere umano intersessuale, la sua storia ormai la conosciamo tutti. Dal 1° agosto non si parla d’altro che di cromosomi, genitali e di livello di testosterone: sembra di essere tornati nel 2020 quando un bel giorno ci siamo svegliati con una gran voglia di dire la nostra su questioni scientifiche di cui sapevamo zero, al massimo zero virgola qualcosa. E proprio come allora ecco i due schieramenti: chi si affida alla scienza e chi non solo la mette in dubbio (atteggiamento tendenzialmente sano, perché la scienza stessa si rinnova di continuo e si evolve anche mediante contraddizione di se stessa) ma la ignora deliberatamente. Chi se ne frega della verità. Troppo impegnativo affrontare una questione complessa, meglio ridurre tutto a bianco o nero. Scegliendo il nero.
Di atleti intersex ne è pieno il grande libro dello sport, che poi altro non è che la rappresentazione a fumetti di chi siamo stati e di chi siamo, forse persino di come saremo. I fuoriclasse sono i nostri idoli perché ci rappresentano, sono insieme la semplificazione e la riduzione a mero gesto fisico delle nostre ambizioni e di ciò che crediamo di poter essere. Questo volume immenso ha un capitolo meno incisivo di altri, un gruppo di pagine solo abbozzate perché l’autore, gli autori, noi, non sappiamo proprio come terminare il racconto: che si fa con gli atleti intersex?
CIO e federazioni nazionali e internazionali sembrano averci capito ancora poco. Ve lo ricordate il caso Semenya? Da allora di progressi ne sono stati fatti pochi e le zone grigie sono rimaste. Del resto la questione non è una matassa facile da sbrogliare. Quindi servirebbe tutto ciò che è mancato nelle ultime ore: serietà e oggettività. Basta farsi un giro su X o Facebook per capire che tira una brutta aria per chi vuole assistere a un dibattito sensato.
In tutto questo, come detto in apertura, c’è Imane Khelif che non ha colpe. Ma viene massacrata perché è come è. Verrebbe da consigliarle di prendere nota dei nomi delle decine di migliaia di italiani che dalla mattina del 1° agosto la insultano senza sosta: a un Paese come il nostro, in cui si va sempre a finire per avvocati, starebbe proprio bene perdere una serie infinita di cause per diffamazione. Si tratterebbe di un record olimpico, a suo modo.
Impossibile non spendere qualche parola per Angela Carini, per quanto sia difficile azzardare un giudizio in merito al suo comportamento prima, durante e dopo l’incontro che le è valso l’eliminazione da Parigi 2024. Di sicuro balza agli occhi il fatto che una pugile si ritiri giustificando tale scelta con il dolore causato da un cazzotto preso sul naso. È oggettivamente strano, un’eventualità a cui non eravamo preparati. Forse dovevamo aspettarcelo? Considerato ciò che l’atleta ha vissuto nei giorni che hanno preceduto lo scontro sul ring con Khelif, forse sì. L’azzurra è stata bombardata dalle insinuazioni sulla sua avversaria, non sarebbe umana se ciò non l’avesse influenzata.
D’altro canto però qualche dubbio sorge, specie se si analizzano i comportamenti e le dichiarazioni poco coerenti del post match. Intanto la mancata stretta di mano all’avversaria, una scelta chiara, un simbolo di antisportività sgradevole, qualunque sia il motivo che ci sta dietro. Poi c’è quel “non è giusto” gridato al mondo mentre l’arbitro sollevava la mano dell’algerina, un’altra caduta di stile che confina con la maleducazione premeditata.
A posteriori, c’è più di qualcosa che non torna nell’atteggiamento di Carini. Un sinistro ondeggiare tra parole da atleta ferita nell’orgoglio e una rabbia malcelata tipica di chi crede di avere subito un’ingiustizia. Ai microfoni la campana ha prima detto di essere dispiaciuta soltanto per l’aspetto sportivo della sua débâcle, per poi dire mezze frasi che lasciano forse troppo spazio all’interpretazione, vedi la dichiarazione rilasciata al TG1 poco dopo aver incontrato la premier Giorgia Meloni. Insomma, Carini, sei dispiaciuta perché le hai prese da un’avversaria alla tua portata o sotto sotto pensi pure tu che Khelif sia un uomo, un trans o chissà cos’altro? E ancora: non sarebbe il caso di prendere le distanze da chi, utilizzando il tuo nome, i tuoi sacrifici e il tuo orgoglio da guerriera (parole tue) sta strumentalizzando una semplice sconfitta sportiva?
In Italia da sempre siamo abituati ad atleti che non si espongono quasi mai, per nessuno motivo se non per qualche generica campagna di beneficenza (e mai di solidarietà, ci mancherebbe), ma il dibattito tossico riguardo Khelif meriterebbe una presa di posizione netta. Carini ha in mano un’arma che in un secondo può disinnescare i peggiori istinti di chi odia la diversità in tutte le sue forme. Dopo aver annunciato a La Stampa di voler dire addio alla boxe, la pugile napoletana dica chiaramente che, come noi, sta dalla parte di Imane e che è schifata dall’odio becero che sta investendo la collega. Quella sì che sarebbe una grande vittoria, un gesto degno di quei fuoriclasse che noi, dalla poltrona di casa, ammiriamo e in cui vogliamo rispecchiarci. Perché mai come oggi siamo assetati di idoli e supereroi, ma ci accontentiamo benvolentieri anche di essere umani che sanno rimanere tali. Umani.
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