Un’atleta intersessuale vinse l’oro già alle Olimpiadi del 1932

Atleti intersessuali Stella Walsh - Puntero

Con i Giochi di Amsterdam 1928, le Olimpiadi erano arrivate alla sesta edizione consecutiva in territorio europeo. Gli americani cominciavano a fremere, volevano far vedere al mondo cosa erano in grado di fare e quanto fossero avanti nell’organizzare di grandi eventi. Così, ottenuto il via libera per Los Angeles 1932 ben nove anni prima dall’inizio della rassegna, tutto era già pronto. La città aveva investito fortemente nelle infrastrutture e l’entusiasmo era ai massimi livelli. Tuttavia, con la fine della decade, l’eccitazione degli anni precedenti si esaurì in brevissimo tempo. Questa volta però non fu un conflitto a minacciare la stabilità dei Giochi.

Il 29 ottobre 1929 è una data che tutti gli americani hanno ben presente, il “venerdì nero” in cui crollò la borsa di Wall Street. In un solo giorno, la paura generale dovuta all’instabilità finanziaria, generò un’isterica corsa alla vendita dei titoli che fece precipitare il valore dell’intero comparto azionario da 87 a 19 miliardi di dollari. Da lì un drammatico effetto domino i cui danni alla società furono incalcolabili. Un milione e mezzo di posti di lavoro persi in due mesi, tantissime famiglie rimaste senza stipendio e addirittura i veterani di guerra che marciarono sulla Casa Bianca con scontri violenti nella capitale.

I Giochi di Los Angeles 1932 erano realmente a rischio. La priorità degli americani era arrivare a fine mese, l’unico fatto di interesse pubblico era l’arresto di Al Capone per guai finanziari ma nulla di più. I Giochi Olimpici erano tutt’altro che una priorità. A rincarare la dose, molte delegazioni annunciarono di non avere i mezzi per sostenere un viaggio transoceanico così oneroso per l’epoca.

 

Hollywood e i super impianti

In un contesto tanto depresso e drammatico quale fu la molla che fece scattare improvvisamente l’interesse del pubblico per i Giochi? Gli organizzatori sfruttarono Hollywood come cassa di risonanza ed elemento di richiamo. Il mondo del cinema prestò molto volentieri il suo prestigio e la sua influenza alla causa olimpica. A metà luglio, qualche settimana prima dell’apertura ufficiale, Mary Pickford e Douglas Fairbanks, trasmisero inviti in tutto il mondo per i Giochi e la stampa iniziò a parlare positivamente sui preparativi. In pochissimi giorni la situazione venne completamente ribaltata, arrivando alla cerimonia di apertura con 101.000 persone disposte a pagare due dollari ciascuna per riempire lo stadio.

Gli americani avevano fatto bene i compiti a casa. Studiarono infatti le edizioni passate e mantennero gli elementi migliori e più funzionali. A Los Angeles 1932 ritornò il tripode con la fiamma olimpica introdotto ad Amsterdam e sempre dai Giochi olandesi fu ripresa la pista di atletica divisa in corsie. Ad elementi delle edizioni passate gli americani aggiunsero varie novità come il podio, per onorare ancora più il vincitore ed elevarlo sopra gli altri. Tuttavia il punto di rottura più grande con il passato fu la creazione del villaggio olimpico.

Nelle rassegne precedenti le varie delegazioni dovettero sempre arrangiarsi e cercare in autonomia una sistemazione per gli atleti, che fosse in nave o in uno degli alberghi della città ospitante. Gli americani ribaltarono le carte in tavola, d’altronde potevano vantare un sacco di spazio e terreno edificabile. A Baldwin Hills costruirono per tutti gli atleti tanti piccoli bungalow, sistemazioni di altissimo livello per gli standard architettonici dell’epoca.

Qual era il vero obiettivo di questa idea così rivoluzionaria? Nella visione degli organizzatori tutti gli atleti olimpici erano uguali, i privilegi e i diritti erano gli stessi per chiunque. In questo modo non c’erano più differenze di classe: gli inglesi vengono con una delegazione composta da nobili e lord di alto lignaggio? Non c’è problema, all’Olimpiade però sono atleti, alla stregua del nuotatore giapponese o del fondista algerino, ed è giusto che condividano la sistemazione. Non era importante l’origine o il pedigree. In questo modo si livellarono le differenze sociali con una modalità a cui neanche il Barone aveva mai pensato. Una soluzione che poteva venire in mente solo agli americani, difficilmente per esempio gli inglesi avrebbero proposto un modello del genere per i loro Giochi.

Non solo il riuscitissimo villaggio olimpico, anche le altre strutture di Los Angeles 1932 furono degli autentici capolavori, a partire dallo stadio. Il centro di gravità dei giochi angelini fu il Coliseum, costruito nella attuale downtown con una capacità ampliata da 75.000 a 101.574 posti e una forma finale simile a una boccia (da qui il termine bowl per indicare alcuni stadi). Durante i lavori di ristrutturazione fu sistemata una lastra di pietra per incidere i nomi dei vincitori dei Giochi e venne installato un modernissimo impianto di illuminazione artificiale per gli eventi notturni.

Chi non è mai stato a Los Angeles probabilmente non se ne renderà conto ma la città è enorme, praticamente infinita con i suoi 89 chilometri quadrati di estensione. Nel 1932 le misure erano più contenute ma le distanze rimanevano comunque impensabili per la concezione europea dei Giochi. Un problema marginale per gli americani, visto il grandissimo numero di automobili di cui potevano disporre. Così mentre negli esclusivi circoli di Beverly Hills si svolgevano le gare ippiche, 50 chilometri più a Sud, a Long Beach, c’era la piscina del nuoto, mentre il Rose Bowl di Pasadena era infiammato dalle gare di ciclismo.

 

La più grande di sempre è a Los Angeles 1932

Se nel 1912 a Stoccolma, gli americani presentarono al mondo l’atleta più incredibile di sempre, ai Giochi di Los Angeles 1932, Babe Didrikson si impose agli onori della cronaca come la figura femminile più forte e poliedrica della storia dello sport.

Nelle edizioni precedenti le donne furono sempre aspro oggetto di contesa. Secondo gli esponenti più conservatori del CIO non avevano il fisico per reggere gli stessi sforzi degli uomini o comunque era scandaloso che partecipassero a discipline che ne mettessero in discussione la femminilità. Le americane al contrario, erano molto disinibite e non si facevano nessun problema ad apparire mascoline. Babe Didrikson fu il riassunto di tutto ciò. Fino ad allora solo le tenniste e le golfiste erano apprezzate per l’eleganza e la signorilità delle due discipline, Babe al contrario fece cambiare completamente la percezione delle atlete.

 

Nata il 26 giugno 1911 a Port Arthur, Texas, da genitori norvegesi, Mildred Ella “Babe” Didrikson mostrò fin da giovane un talento straordinario per lo sport, eccellendo in tutte le discipline a cui si avvicinava, anche se il primo vero amore fu il baseball. A questo proposito ricevette il soprannome Babe in onore del mitico Babe Ruth. Durante la sua adolescenza, la ragazza si fece notare nel basket mentre lavorava per la Employers Casualty Company a Dallas: il suo principale, riconoscendone le grandi doti da centro, fondò per lei le Golden Cyclones. La sua abilità atletica si estendeva a tanti altri sport, tra cui atletica leggera, nuoto, tennis e perfino il bowling.

Alle Olimpiadi di Los Angeles 1932, Babe arrivò da favoritissima per tutte e tre le prove cui era iscritta. Conquistò due medaglie d’oro nel lancio del giavellotto e negli 80 metri ostacoli, stabilendo il record mondiale in entrambe le discipline. Nel salto in alto dovette accontentarsi solo dell’argento, in quanto il tentativo per il primo posto venne annullato perché effettuato con una tecnica per l’epoca illegale. Questi risultati straordinari la resero una figura di spicco nello sport mondiale ma anche un facile bersaglio per il suo atteggiamento e stile non convenzionali per una donna dell’epoca​. Babe fumava sigari, beveva whisky e giocava per soldi a biliardo. Non aveva problemi a dichiarare quello che pensava ed era perfettamente padrona di sé stessa, una donna libera ed emancipata.

Dopo l’esperienza olimpica, Babe iniziò a dedicarsi al golf, disciplina in cui avrebbe lasciato un’impronta indelebile. Nonostante iniziali difficoltà e discriminazioni, divenne rapidamente una delle migliori giocatrici, vincendo numerosi tornei e stabilendo nuovi standard per il panorama femminile. Diventò la prima donna americana a vincere il British Women’s Amateur e fondò nel 1947 la Ladies Professional Golf Association (LPGA – il principale circuito professionistico femminile), di cui fu presidente fino alla sua morte.

Nel 1953, Babe Didrikson ricevette una diagnosi di cancro e subì un intervento chirurgico che includeva una colostomia. La sua forza fisica e mentale le permise di tornare a competere solo tre mesi dopo l’operazione continuando a vincere tornei. Purtroppo vinse la battaglia ma non la guerra. Il cancro tornò e Babe morì il 27 settembre 1956. Il suo lascito vive ancora oggi, non solo attraverso i suoi record e successi, ma anche grazie al suo contributo fondamentale alla crescita dello sport femminile​.

 

Atleti che si allenavano troppo e cavalieri imbattibili

Se ad Amsterdam la delegazione giapponese si inserì per la prima volta sulla mappa olimpica, a Los Angeles 1932 gli atleti del Sol Levante furono una realtà solidissima. Gli americani – dopo il fiasco olandese – erano convinti di dominare tutte le discipline, il nuoto in particolare, grazie alle strutture di allenamento all’avanguardia. Non avevano però fatto i conti con i nipponici. Cinque ori, cinque argenti, due bronzi e un medagliere di categoria dominato per i ragazzi di coach Ikkaku Matsuzawa. Tuttavia nella delegazione giapponese c’era un atleta che più degli altri lasciò il segno ai Giochi di Los Angeles 1932.

Il Barone Takeichi Nishi nacque il 12 luglio 1902 ad Azabu, Tokyo, come figlio illegittimo di Tokujiro Nishi. Alla morte del padre nel 1912 ereditò il titolo e si formò in un ambiente in cui i cavalli si imposero come una parte essenziale della sua vita, il che lo portò a sviluppare una straordinaria abilità nell’equitazione​​. La sua carriera sportiva raggiunse l’apice ai giochi angelini, dove vinse la medaglia d’oro nella competizione individuale di salto ostacoli, in sella al suo cavallo, Uranus, incontrato in un maneggio italiano. All’epoca gli scambi culturali sull’asse Roma, Berlino e Tokyo erano all’ordine del giorno, non sono una sorpresa dunque i numerosi viaggi del Barone nello Stivale.

Nishi a Los Angeles divenne una celebrità internazionale e conquistò l’ammirazione del pubblico americano. Grazie al suo carisma, la sua padronanza dell’inglese e la sua facilità di interazione con le persone, si inserì rapidamente nella scena hollywoodiana, diventando amico di star del calibro di Charlie Chaplin e Douglas Fairbanks​. Sarebbe ritornato alle Olimpiadi tedesche nel 1936 da assoluto favorito ma in quell’occasione avrebbe perso clamorosamente contro un cavaliere tedesco. Più di un testimone raccontò di come la caduta che costò a Nishi la medaglia d’oro, in realtà fu commessa di proposito per far vincere l’atleta locale in segno di rispetto.

Oltre alla carriera sportiva, Nishi fu un alto ufficiale nell’esercito imperiale giapponese. Dopo aver completato gli studi nel 1924, fu promosso fino a diventare colonnello durante la Seconda Guerra Mondiale, nominato comandante del 26º Reggimento Carri, assegnato alla difesa di Iwo Jima​.

Durante la battaglia per il controllo dell’isola, Nishi guidò le sue truppe con determinazione e regole ferree. Nonostante gli appelli americani affinché si arrendesse, rifiutò di rispondere e continuò a combattere fino alla fine. Le circostanze della sua morte rimangono incerte e sono oggetto di varie teorie. Alcune fonti suggeriscono che sia stato ucciso da una mitragliatrice mentre cercava di raggiungere il quartier generale del reggimento, altre che sia morto suicida con la sua pistola, o che sia stato ucciso dai lanciafiamme americani​. Uranus morì appena una settimana dopo, a sancire un legame strettissimo tra i due e il suo ruolo di unico essere vivente capace per davvero di scalfire la dura scorza del Barone.

Los Angeles 1932 segnò il successo clamoroso della delegazione italiana. Dodici ori e altrettanti argenti e bronzi, per un secondo posto generale nel medagliere: una posizione mai più eguagliata. L’Italia andò fortissimo: come da tradizione nella scherma non ebbe rivali e ottimi risultati vennero anche dalla ginnastica e dal ciclismo. Nell’atletica particolare fu il caso di Luigi Beccali. Il milanese infatti era un’autentica macchina, capace di allenarsi per ore e ore senza sosta. Benito Mussolini, che riponeva grandi speranze nel ragazzo e nel movimento in generale per dare lustro al regime, lo isolò in un paesino della Toscana sotto stretta sorveglianza dei carabinieri per evitare che si allenasse troppo e arrivasse stanco in California per il momento clou. Beccali non fallì l’appuntamento diventando il primo italiano di sempre a conquistare una medaglia d’oro nell’atletica.

 

Piccoli intoppi di una grande Olimpiade

Gli americani organizzarono dei Giochi incredibili per l’epoca. Infrastrutture perfette (molte delle quali fruibili ancora oggi), eventi coinvolgenti e perfino la prima copertura radio in diretta. Non era ancora possibile seguire con la radiocronaca live le varie gare ma, con una serie di programmi dedicati, era possibile per la prima volta conoscere i propri beniamini con interviste e approfondimenti fatti sul campo.

Ovviamente però – come ogni evento di tale portata – non mancarono i piccoli problemi, le zone grigie. Ci fu per esempio il caso di Ralph Metcalfe arrivato secondo nei 100 metri. Finale considerata regolare nel suo svolgimento, sennonché il nativo di Atlanta aveva la sensazione di aver corso in una corsia più lunga. Misurate empiricamente le varie parti della pista, Metcalfe scoprì di aver corso tre metri in più, presentando di conseguenza un reclamo ufficiale. Gli americani, che ovviamente non potevano ammettere un errore così grave, fecero passare la protesta in secondo piano e il ragazzo si dovette accontentare solo del secondo metallo più nobile.

Il vero scandalo però fu quello suscitato dalla polacca Stanisława Walasiewicz, nome americanizzato poi in Stella Walsh. La ragazza vinse i 100 metri siglando il record del mondo, inaugurando una carriera di grandi successi nell’atletica. Ciò che rese particolare la sua storia fu la clamorosa scoperta avvenuta alla sua morte, quando rimase vittima di una rapina in un supermercato di Cleveland. L’autopsia appurò che presentava una rara anomalia, detta mosaicismo, con la presenza di caratteri sessuali di entrambi i generi. Questo sollevò parecchi dubbi sulla legittimità dei suoi successi in campo femminile e portò a dibattiti su come le competizioni sportive dovessero gestire le questioni di genere e intersessualità. Tuttavia, durante la sua vita, Walasiewicz non fu mai oggetto di sospetti o accuse riguardanti la sua identità di genere.

Un’altra atleta polacca, Halina Konopacka fu protagonista di un’ulteriore controversia. Konopacka era la campionessa olimpica in carica nel lancio del disco, già incontrata come prima medaglia d’oro femminile nell’atletica. L’oggetto del contendere riguardava le accuse secondo cui la misura del lancio non fosse stata correttamente registrata. Si diceva che il suo miglior lancio, che avrebbe potuto darle una posizione sul podio, non fosse stato rilevato dai giudici perché impegnati nella gara del giavellotto. Nonostante le accuse, i risultati ufficiali non cambiarono.

Con Los Angeles 1932, gli americani posero l’asticella molto in alto. I Giochi finirono trionfalmente, con una parata d’onore di vessilli e bandiere ad onorare gli atleti e i comitati partecipanti davanti a una folla di quasi 90.000 persone. Fanfare di trombe e scoppi d’artiglieria salutarono l’ammainabandiera del drappo a cinque cerchi, che il sindaco di Los Angeles accettò di custodire fino a quando non sarebbe stata issata quattro anni più tardi a Berlino. Furono i Giochi in cui – in proporzione – si incassò di più: circa 1.250.000 persone pagarono 1,5 milioni di dollari per assistere agli eventi nei sedici giorni. L’ottimismo e la tenacia avevano trionfato su un’economia depressa e Los Angeles aveva messo in piedi un modello che avrebbe fatto scuola per gli anni a venire.

 


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Di Lorenzo Bartolucci

Elegante mitomane stregato dalla scientificità del basket. Mi diverto a sputare sentenze su The Homies e Catenaccio, bilanciando perfettamente il mugugno ligure con l'austerità sabauda.